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Il quesito

Quando è lecito uccidere un leader in guerra

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Dopo l’uccisione del capo politico di Hamas e di uno dei capi militari di Hezbollah, ci si può domandare: è lecito uccidere un leader militare o politico di una nazione con cui si è in guerra? Dalla legittima difesa al principio di proporzione, vediamo i criteri dal punto di vista morale.

Attualità 01_08_2024
Proteste a Karachi per uccisione Ismail Haniyeh (Ap-LaPresse)

Da queste stesse colonne Stefano Magni, ieri, ci informava che «a Teheran, un missile guidato ha centrato la residenza di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas». Israele non ha rivendicato, ma è quasi certo che la mano che ha guidato il missile fosse la sua. Magni aggiunge che, a seguito della strage compiuta da Hezbollah sabato 27 luglio a danno degli israeliani, è stato colpito un comando di Hezbollah nel quartiere Da’aheh di Beirut, uccidendo Fuad Shukr, uno dei capi militari di Hezbollah.

Astraiamo per il momento da questi due casi e domandiamoci: è lecito uccidere un leader militare o politico di una nazione con cui si è in guerra anche nel territorio di una nazione non coinvolta direttamente nel conflitto? La risposta è positiva a patto che si rispettino alcuni criteri. Il rimando principale è alla legittima difesa che prende il nome di guerra difensiva quando l’ingiusto aggressore non è una persona fisica, ma un’intera nazione. Come per la legittima difesa, la guerra difensiva risulta lecita perché rivolta ad una nazione non innocente, ossia ad una nazione che ingiustamente aggredisce un’altra innocente. In modo più analitico, l’atto materiale di uccidere un capo dell’esercito o del governo della nazione che aggredisce ingiustamente è informato dal fine moralmente lecito di difendere una nazione. Le modalità per difendersi possono essere molteplici: uccidere i soldati nemici, sabotare gli impianti, assediare le città, ricorrere all’attività di intelligence, depistare e quindi diffondere notizie false, allarmanti, etc., sottoporre ad interrogatorio i prigionieri senza sfociare nella tortura, compravendere le informazioni, acquistare alla causa il nemico e così via.

Una di queste modalità è anche quella di eliminare i leader della nazione nemica, ossia persone che rivestono ruoli apicali direttamente coinvolti nel conflitto. Dunque, almeno in questa prima fase dell’analisi dell’azione morale della guerra giusta, appare lecita l’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran e di Fuad Shukr a Beirut. C’è da aggiungere che un principio che vincola ogni azione astrattamente buona, compresa quindi la guerra giusta, è il principio di proporzione. Ossia, ogni nostra azione deve essere tesa a produrre più effetti positivi che negativi, altrimenti l’azione è inutile o addirittura dannosa. Fermandoci ad un primo passo dell’analisi dell’azione morale, possiamo dunque dire che uccidere un capo è più efficace che uccidere 100 o 1.000 soldati semplici. Infatti il “capo” comanda le membra.

Detto tutto ciò, però, è bene ricordare i criteri indicati dal Catechismo della Chiesa Cattolica perché la guerra da difensiva, e quindi giusta, non diventi offensiva, e quindi ingiusta: «che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione» (2309).

In merito alla durevolezza, gravità e certezza dei danni provocati da Hamas ad Israele, tali caratteristiche appaiono evidenti nel conflitto in corso: si tratta di un’offensiva che perdura da decenni e che ha provocato moltissime vittime da una parte e dall’altra. In merito alle altre soluzioni per porre fine all’inimicizia tra le due parti è necessario ricordare che è sempre doveroso, anche nel corso del conflitto, individuare soluzioni più pacifiche. Questo ovviamente rimane valido anche nel conflitto israelo-palestinese, seppur tale traguardo oggi appaia quasi irrealistico.

Infine il Catechismo rammenta il principio di proporzione, a cui accennavamo prima. La difesa deve essere proporzionata all’offesa. Non è lecito uccidere un nemico quando con la sua morte si provoca poi, seppur indirettamente, il decesso di 100 vittime innocenti. Su questo aspetto giuste critiche sono state mosse al governo israeliano, tenuto conto dell’enorme numero di civili uccisi e derubricati come effetti collaterali.

I civili uccisi, su entrambi i fronti, non sono l’unica voce da tenere in considerazione per comprendere se si rispetta il principio di proporzione. Altre voci, che attengono inoltre all’uccisione dei due leader prima indicati, potrebbero essere: la probabile reazione violenta di Hamas; il consolidamento di una situazione bellica e quindi il progressivo estinguersi di una soluzione pacifica; l’allargamento del conflitto ad altri Paesi; l’erosione dei rapporti diplomatici tra nazioni non direttamente coinvolte nel conflitto ma comunque vicine ad una o all’altra fazione.

In sintesi, uccidere i leader nemici è azione astrattamente buona per il fine difensivo che si persegue, ma poi questo fine deve essere calato nelle condizioni concrete per verificare se l’azione difensiva produca più effetti positivi che negativi nel breve e lungo periodo. In poche parole occorre verificare se il gioco vale la candela.



LIBANO

Rappresaglia: Israele uccide Shukr a Beirut e Haniyeh a Teheran

31_07_2024 Stefano Magni

Dopo la strage di Majdal Shams del 27 luglio, ad opera di Hezbollah, Israele risponde con un raid mirato, a Beirut. Ucciso uno dei capi del Partito di Dio, Fuad Shukr. La mattina successiva, Ismail Haniyeh viene ucciso a Teheran.