Rappresaglia: Israele uccide Shukr a Beirut e Haniyeh a Teheran
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Dopo la strage di Majdal Shams del 27 luglio, ad opera di Hezbollah, Israele risponde con un raid mirato, a Beirut. Ucciso uno dei capi del Partito di Dio, Fuad Shukr. La mattina successiva, Ismail Haniyeh viene ucciso a Teheran.
Alle 2 di questa mattina, a Teheran, un missile guidato ha centrato la residenza di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, uno dei fondatori del movimento terrorista islamico. Israele non ha rivendicato, anche se si tratterebbe di una nuova dimostrazione che può colpire dove vuole e quando vuole in territorio iraniano. E Hamas perde la sua testa.
Nel frattempo la crisi sul fronte Israele-Libano si è conclusa, con la risposta armata israeliana all’attacco e alla strage compiuta da Hezbollah sabato 27 luglio. Nel tardo pomeriggio del 30 luglio, gli aerei israeliani hanno colpito una sede del comando di Hezbollah nel quartiere Da’aheh di Beirut, roccaforte del “partito di Dio” nella capitale libanese. Anche se non c’è ancora una conferma ufficiale, gli israeliani hanno ucciso Fuad Shukr, uno dei capi militari di Hezbollah, ritenuto dall’intelligence direttamente responsabile per l’attacco del 27 luglio. A seguito del raid aereo, un ufficiale dell’Idf ha confermato all’agenzia Bloomberg che «non è prevista alcuna altra azione militare, al momento».
La crisi con il Libano è iniziata con una vera strage degli innocenti. Un gruppo di ragazzini di etnia drusa stava giocando a calcio, nella città di Majdal Shams, sulle alture del Golan, quando Hezbollah ha lanciato una salva di almeno quaranta razzi. Uno ha centrato in pieno il campetto da calcio, uccidendo sul colpo 9 ragazzi e ferendone altri quaranta, tre dei quali sarebbero morti poco dopo. Fortissima l’emozione e il cordoglio nella comunità drusa, una delle minoranze etniche e religiose più importanti anche nell’esercito israeliano (i drusi, per motivi religiosi, sono fedelissimi allo Stato a cui appartengono). Durante i funerali, le autorità druse hanno chiesto una reazione dura. Sono volate parole grosse, “Beirut deve bruciare” si sentiva gridare durante i funerali delle vittime: “Perché Beirut esiste ancora? Se non ci difendete dovremo difenderci da soli!”
Benjamin Netanyahu, tornato in anticipo dalla sua visita negli Usa, si è trovato in mezzo a pressioni incrociate. Da un lato la comunità drusa che chiedeva giustizia. E il governo non può permettersi di ignorare le richieste delle minoranze non ebraiche, non può trattarle come se fossero cittadini di secondo ordine. Dall’altro, invece, la pressione contraria di Antony Blinken, dell’alleato americano. Agli Usa, infatti, spaventa la prospettiva di una guerra in Libano, perché potrebbe coinvolgere anche Siria, Iran e in ultima istanza anche la Russia. Ad aggiungere un forte carico di stress in mezzo a questa tensione è stato anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che, a una convention del partito islamico Akp, ha dichiarato, testualmente: «Dobbiamo essere molto forti affinché Israele non possa fare queste cose alla Palestina. Proprio come siamo entrati in Karabakh, proprio come siamo entrati in Libia, potremmo fare lo stesso qui. Non c’è nulla che non possiamo fare».
Dopo lunghi incontri al vertice delle forze armate, Israele ha partorito una risposta limitata, ma letale, come ha fatto con lo Yemen, recentemente, in risposta a un drone su Tel Aviv e come ha fatto con l’Iran in risposta al lancio di missili del 13 aprile scorso. Invece di colpire le postazioni di Hezbollah in Libano o di bombardare Beirut in modo più massiccio, ha optato per l’omicidio mirato di uno dei principali capi di Hezbollah. Fuad Shukr era considerato il terzo uomo più importante del partito filo-iraniano, membro dei massimi organi al suo vertice e consigliere di Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah in Libano, che lo definiva come il suo “braccio destro”. Secondo le forze armate israeliane, Shukr era «il responsabile della maggior parte degli armamenti più avanzati di Hezbollah, tra cui missili guidati, missili da crociera, missili antinave, razzi a lunga gittata e droni» e del «rafforzamento delle forze del gruppo terroristico, della pianificazione e dell'esecuzione di attacchi terroristici contro lo Stato di Israele».
Con un attacco mirato a uno dei capi di Hezbollah, preceduto due giorni prima dal bombardamento delle postazioni in Libano da cui era partito l’attacco del 27 luglio, Israele comunica che intende restare entro i binari del conflitto sul confine settentrionale: incassare i colpi meno letali e rispondere ai bombardamenti più duri con raid mirati, per uccidere i capi del movimento. Ed è un conflitto che dura dall’8 ottobre scorso, incominciato all’indomani del pogrom scatenato da Hamas nel Sud.
La pressione è fortissima, perché gli attacchi di Hezbollah, anche se raramente provocano massacri come quello di sabato scorso, hanno comunque reso inabitabile tutto il nord di Israele. Una fascia di 5 km dal confine è stata completamente evacuata: dal nord provengono circa 80mila sfollati interni che tuttora sono ospiti in altre città più sicure. I vasti incendi provocati dai continui lanci di razzi dal Libano hanno rovinato parchi e zone rimboschite, aree agricole e cittadine di confine. Uno dei motivi della protesta contro Netanyahu è la sua mancanza di determinazione nel rispondere a questa sfida continua, dal nord. Ma una guerra libanese, oltre ad essere potenzialmente la causa di un conflitto regionale più vasto, si prospetta molto difficile per le forze armate israeliane. Hezbollah si è dotato, nel corso degli ultimi diciotto anni di tregua (dalla fine della guerra del 2006), di circa 150mila missili, distribuiti in duecento villaggi al confine con Israele. Si tratta di una potenza pari a dieci, quindici volte tanto quella di Hamas.
L'attacco al vertice di Hamas, a Teheran, risponde invece a tutt'altra logica. Fin dal pogrom del 7 ottobre, Israele ha promesso che avrebbe punito tutti i vertici di Hamas, ovunque essi fossero. Netanyahu lo aveva dichiarato il 18 novembre: "Tutti i membri di Hamas sono morti che camminano". Hanyieh, capo politico di Hamas, vive in Qatar. Si era recato temporaneamente a Teheran per assistere all'insediamento del nuovo presidente, Masoud Pezeshkian. Con la sua uccisione, nel cuore della capitale iraniana, Israele ha voluto dimostrare alla Repubblica Islamica la sua vulnerabilità. Fonti del New York Times, infatti, hanno riferito che i funzionari iraniani sono «in stato di shock totale». Per Hamas si tratta della perdita più importante in assoluto, dall'inizio del conflitto.