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PIZZABALLA

Preghiera e digiuno, la risposta dei cattolici in Terrasanta

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Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per la pace martedì 17. L'appello è stato rilanciato nella parrocchia di Gaza e in quelle di Israele, aperte tutti i giorni per la preghiera e l'adorazione. "Serve un miracolo". 

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Ecclesia 13_10_2023
Il cardinale Pizzaballa al Santo Sepolcro

«Chiedo a tutti i cristiani della Terra Santa di fare una giornata di preghiera e di digiuno per la pace e la riconciliazione». A lanciare l’invito è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini. In un messaggio, a nome di tutti gli Ordinari di Terra Santa, invita parrocchie e comunità religiose, per martedì prossimo, 17 ottobre, a «fare un giorno di digiuno e astinenza, e di preghiera. Si organizzino momenti di preghiera con adorazione eucaristica e con il rosario alla Vergine Santissima. Probabilmente in molte parti delle nostre diocesi le circostanze non permetteranno la riunione di grandi assemblee. Nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nelle famiglie, sarà comunque possibile organizzarsi per avere semplici e sobri momenti comuni di preghiera».

Un invito accorato in un momento di grande pericolo e violenza per la Terra Santa, che ha visto morire migliaia di persone e ancor più di feriti, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi. «Siamo stati improvvisamente catapultati in un mare di violenza inaudita - si legge nel messaggio di Pizzaballa -. L’odio, che purtroppo già sperimentiamo da troppo tempo, aumenterà ancora di più, e la spirale di violenza che ne consegue creerà altra distruzione. Tutto sembra parlare di morte». I cattolici di Terra Santa sono invitati ad incontrarsi, prosegue l’invito del patriarca: «nella preghiera corale, per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione».

Una richiesta accolta da tutti i parroci e da tutte le comunità religiose presenti in Israele e nella Cisgiordania. A Gaza, don Youssef, vicario parrocchiale di padre Gabriel Romanelli, e le suore hanno già organizzato quotidianamente dei momenti di preghiera con i fedeli. «Di mattina, alle otto si celebra la messa giornaliera – ha dichiarato don Gabriel - nel pomeriggio facciamo orazione e recitiamo il santo rosario. Solo un miracolo potrà mettere fine a questa tragedia».

Nel frattempo, nella Striscia la situazione peggiora di ora in ora. La popolazione sfollata si è concentrata principalmente al confine orientale e nelle zone meridionali, con la previsione di un aumento di profughi nei prossimi giorni. In ventimila hanno cercato protezione nelle scuole gestite dall'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e l'occupazione (Unrwa), in tanti hanno trovato rifugio, oltre che in parrocchia, anche nei locali della scuola gestita dalle suore del Rosario. I residenti del campo profughi di Jabalia, nel Nord della Striscia, hanno paura. Sono terrorizzati. L’intera area a est del campo è stata distrutta da pesanti bombardamenti e da attacchi aerei. La zona è a soli due chilometri dal confine e la distruzione di un enorme quartiere fa presagire il peggio, ossia che le forze israeliane si stiano aprendo la strada per un’invasione di terra come quella avvenuta nel quartiere di Shejaeya nel 2014. A Gaza non c'è né acqua, né elettricità. «Aiuti umanitari a Gaza? Nessun interruttore elettrico sarà acceso, nessuna pompa dell’acqua funzionerà e nessuna autobotte di carburante entrerà finché gli ostaggi israeliani non saranno tornati a casa», ha detto il ministro dell'Energia Israel Katz.

In Cisgiordania abuna Ibrahim Shomali, parroco di Reneh, un villaggio arabo situato tra Nazaret e Cana di Galilea, dopo aver appreso il messaggio del patriarca, ha immediatamente rivolto un invito ai parrocchiani a partecipare martedì prossimo all'adorazione eucaristica e al santo rosario e ha aggiunto: «La Vergine chieda a suo figlio, come ha fatto a Cana, un miracolo per ottenere la pace in Terra Santa, oggi martoriata da barbarie ingiustificabili». Abuna Yacoub Rafidi è il parroco di Ramallah, una tra le più grandi parrocchie del Patriarcato. Città vicina ai villaggi di Nablus e Jenin dove l'esercito israeliano per mesi ha svolto massicce operazioni militari. «La situazione è drammatica. Non possiamo uscire dalla città, né per recarci a Gerusalemme, né tanto meno andare a Betlemme. È tutto presidiato - dice – e sono stati disposti nuovi posti di blocco per il timore di attacchi. Per martedì prossimo è stata organizzata una giornata di preghiera. Inizierà alle otto del mattino per concludersi con la messa delle diciotto. Parteciperanno anche gli studenti delle scuole con i loro insegnanti. Sono previste meditazioni, preghiere e soprattutto l’invocazione della pace».

Anche i francescani hanno rivolto un appello per pregare e digiunare per la pace. «Nei santuari da noi custoditi, che ci richiamano a quanto Gesù ha detto e fatto per la nostra riconciliazione - ha dichiarato padre Francesco Patton, custode di Terra Santa -, le nostre fraternità pregheranno per tutte le vittime, specialmente per i civili, gli ostaggi e per i loro familiari. Preghiamo perché nei cuori si spengano l'odio, la rabbia e la paura che generano la violenza. Preghiamo perché la comunità internazionale favorisca iniziative di mediazione e di pace, nella tutela specialmente dei civili».

In Italia la Conferenza Episcopale Italiana ha indetto, per martedì prossimo, in comunione con i cattolici della Terra Santa, una giornata di preghiera e di digiuno.