Non è Big Pharma: lo scandalo oppioidi lascia in pace i colossi
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L'azienda responsabile della dipendenza da ossicodone nel mirino (e giustamente) di Disney e Netflix. Che avranno così la coscienza a posto per non doversi occupare prima o poi di altri problemi a livelli più alti e intoccabili.
Sui canali Disney e Netflix sono uscite a poca distanza di tempo due miniserie dedicate all’epidemia ormai fuori controllo negli USA causata dall’oppioide ossicodone, Dopesick e Painkiller. Da molti anni, il grande Paese affronta questa tragica crisi che ha provocato – si calcola – centinaia di migliaia di morti.
Queste sostanze hanno effetti del tutto simili a quelle derivate dal papavero ma sono molto più potenti. Interi quartieri nelle principali città statunitensi sono oggi abitati da tossicodipendenti che non riescono a uscire dal giro vizioso e trascorrono le loro giornate in un ozio doloroso. In medicina gli oppioidi sono antidolorifici indispensabili per la terapia del dolore o per le operazioni chirurgiche: sopprimono o attutiscono il dolore severo. Il problema si crea nell’uso che se ne fa prescindendo dal controllo medico e utilizzandoli come droghe. Sono molto pericolosi al di fuori dell’uso indicato perché causano dipendenza fisica dopo pochi giorni e, se l’assunzione viene interrotta di colpo, gli effetti da astinenza sono pericolosissimi. L’uso prolungato mina il fisico spesso in modo fatale. Rispetto ad altre sostanze psicotrope, come le benzodiazepine, gli assuntori non possono facilmente ottenere prescrizioni mediche se non sono soggetti a dolori, perché esse sono possibili soltanto a strette condizioni. Per procurarseli devono ricorrere al mercato nero o a spacciatori che si riforniscono da produttori indipendenti.
Se in questi ultimi anni l’epidemia più grave è quella del fentanyl – analgesico 80 volte più potente della morfina – resta molto diffuso anche l’ossicodone, farmaco di origine semisintetica, analgesico molto utilizzato nella terapia del dolore ma introdotto con nuova formulazione dalla Purdue Pharma nel 1996. Proprio dell’ossicodone e dell’epidemia di dipendenza si è occupato un magistrale libro di indagine, Dopesick, in due volumi, scritto da Beth Macy nel 2019 che è diventato un classico della letteratura d’inchiesta. La Macy racconta la diffusione della dipendenza da ossicodone (nome commerciale OxyContin) collegandola alle difficili condizioni lavorative dei minatori degli Appalachi dove il farmaco fu all’inizio promosso. La casa farmaceutica che lo produceva, la Purdue, ha nascosto i dati che ne dimostravano la pericolosità e la facilità con cui se ne diventa dipendenti. Il libro della Macy ricostruisce fatti e dati e racconta le menzogne dell’azienda farmaceutica e l’inganno perpetrato nei confronti dei medici, la connivenza di altri, le morti dei minatori, prima che la sostanza diventasse una delle droghe più richieste. La farmaceutica Purdue fu trascinata in processo e costretta, recentemente, al risarcimento di oltre 8 miliardi di dollari. La famiglia proprietaria a sua volta è stata multata.
I giornali scrivono che queste serie sono un attacco a “Big Pharma”. Ma è davvero così? È possibile che, un domani, altri casi di dubbia sanità, letteralmente globali, possano essere oggetto di un simile trattamento? Probabilmente no. Con Dopesick e Painkiller, le grandi piattaforme di streaming (e le altre che hanno distribuito le serie) potranno dimostrare di essere state coraggiose e di aver difeso la pubblica opinione rendendo noto lo scandalo della Purdue Pharma. Con questa patente di onestà, potranno evitare altre produzioni sui recenti avvenimenti pandemici che sollevano interessi giganteschi, molto superiori e molto più estesi di quelli di cui si è resa colpevole la farmaceutica di New York, che pure ha causato una strage. In fondo, la Purdue era e resta una azienda farmaceutica minore rispetto ad altre. E dunque davvero queste miniserie “criticano Big Pharma” e “dimostrano la loro indipendenza”?
Non è proprio così. Perché la Purdue non è “Big Pharma”. Se le intoccabili Pfizer e Novartis hanno un giro di affari di oltre 50 miliardi di dollari e la Johnson & Johnson di 81 (con le controllate i numeri possono triplicare), la Purdue fattura 3 miliardi di dollari ed è controllata da un’unica famiglia, la Sackler. È un’azienda privata, familiare, fuori dal gioco degli incroci societari che legano industria dell’intrattenimento, media e farmaceutica. Essa è ben meno potente dei giganteschi conglomerati ad azionariato diffuso controllati dai grandi fondi d’investimento. Nonostante ciò, ha potuto fare tanto danno.
Dopesick e Painkiller pare – è un sospetto che formuliamo sperando di essere smentiti – un’intelligente operazione di lavaggio della coscienza: ci si occupa della piccola e colpevolissima Purdue, giustamente. Al contempo si potrà evitare, presto o tardi, di doversi occupare di altri scandali globali del mondo della sanità. Detto questo, di queste due miniserie non si può dire che bene: sono ben fatte, ben scritte e ben interpretate. Viene anche ben descritta la funzione degli informatori farmaceutici, il modo in cui vengono manipolati gli articoli scientifici con abstract che ne modificano il significato o lo amplificano e del come, insomma, la “scienza” possa essere utilizzata male, malissimo, omettendo informazioni di fondamentale importanza e facendo sì che la dipendenza di molte migliaia di persone crei, a un certo punto, la domanda di un mercato parallelo. Che qualcosa di simile sia poi avvenuto di nuovo, e non soltanto nel campo degli antidolorifici e che le pratiche malate tra le farmaceutiche siano estremamente diffuse, è ben più che un sospetto.
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