Mori ha ragione: l'aborto sarà diritto, ma...
Maurizio Mori spiega nel libro "Consulta di Bioetica Onlus. Trent’anni di impegno per un’etica laica innovativa della cultura italiana" che grazie alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (che li privò della loro origine metafisica) l’aborto sarà un diritto umano. Si può comprendere però la strada per tornare indietro: non bastano le motivazioni politico-giuridiche, occorre parlare di Dio, natura umana e diritto naturale.
Maurizio Mori, professore ordinario di Filosofia morale presso l’università di Torino, ha dato di recente alle stampe un volume, di carattere divulgativo, dal titolo: «Consulta di Bioetica Onlus. Trent’anni di impegno per un’etica laica innovativa della cultura italiana». La Consulta di Bioetica, come si può intuire leggendo il sottotitolo del libro, è da decenni un’associazione nemica dei cosiddetti princìpi non negoziabili e rappresenta l’antitesi perfetta del Magistero della Chiesa cattolica in tema di aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, eutanasia, omosessualità, etc.
Mori, presidente della medesima Consulta, dedica i tre capitoli del volume a ripercorrere le tappe dell’impegno eversivo della Consulta sui temi morali. Seguono due appendici, una dedicata al Comitato Nazionale di Bioetica e una dal titolo «Bioetica e diritti umani». Il volume si chiude con un Addendum: «Perché l’aborto diventerà presto un diritto umano. Per una storia del dibattito all’ONU». Vogliamo soffermarci su tale Addendum, attingendo altresì ad altre sezioni del volume.
La previsione di Mori, ahinoi corretta, secondo la quale in futuro l’aborto verrà qualificato come diritto umano è suffragata da diversi motivi ben descritti nel libro. Il primo e il più rilevante deve essere rinvenuto nel fondamento ultimo della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo dell’ONU, un fondamento che ha carattere convenzionale. Mori ricorda che «il filosofo cattolico Jacques Maritain aveva notato la meraviglia manifestata dai componenti della Commissione di fronte al fatto che "si fossero trovati tutti d’accordo, nel formulare la lista di Diritti, vari campioni d’ideologie violentemente avverse. 'Sì, risposero, noi siamo d’accordo su questi Diritti, ma a condizione che non ci si domandi il perché. Col perché comincia la disputa’"». Maritain salutava con favore questo accordo sui diritti fondamentali perché l’intesa aveva finalità meramente pragmatiche. In breve l’importante era trovarsi concordi sul fatto che, ad esempio, la vita fosse un diritto da difendere, essendo invece relativamente importante trovare una visione condivisa sui motivi che obbligavano a difendere la vita.
Mori poi rammenta che ampi settori della cultura cattolica di allora respingevano l’orientamento di Maritain. Ad esempio nella Premessa generale della «Dichiarazione dei diritti dell’uomo» elaborata dalla National Catholic Welfare Conference del 1 febbraio 1947 si poteva leggere: «Dio, Creatore della specie umana, ha imposto all’uomo dei doveri derivanti dalla sua dignità personale, dal suo destino immortale e dalle relazioni inerenti alla sua natura sociale. Questi doveri lo impegnano di fronte al Creatore, a se stesso, alla sua famiglia, ai suoi concittadini, allo Stato ed alla comunità internazionale. Per dargli modo di adempiere questi doveri l’uomo è stato investito di taluni diritti naturali ed inalienabili. Questi doveri e questi diritti formano la sostanza della legge naturale accessibile alla luce della ragione». Dunque fonte dei cosiddetti diritti dell’uomo sono alcuni doveri che trovano la loro origine su un piano metafisico proprio del giusnaturalismo classico. I diritti fondamentali quindi non possono incardinarsi sulla mera convenzione umana, bensì nella natura umana e quindi in ultima istanza in Dio.
Nella monografia di Mori si ipotizza che, all’indomani della attuale formulazione dell’art. 1 della Dichiarazione che così recita «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», Pio XII, in forma anonima, avesse scritto l’articolo «Lo Statuto dell’Onu. L’ostracismo a Dio», pubblicato sull’Osservatore Romano, in cui il Pontefice rammenta che nella Dichiarazione «ad ammonire gli esseri umani ch’essi son liberi ed eguali, e dotati di coscienza e di intelletto, e tenuti a considerarsi fratelli, non è più Dio ma l’uomo. Sono cioè essi medesimi che si autoinvestono di prerogative di cui si potranno ad arbitrio spogliare». In sintesi da un piano oggettivo, in cui l’intelletto riconosce una struttura ontologica presente nella natura umana da cui promano doveri e quindi diritti, si passa ad un piano soggettivo dove, in buona sostanza, è la volontà a generare i diritti fondamentali, potendo così aggiungerne di nuovi, modificarli o eliminarli.
Sulla stessa frequenza d’onda un altro articolo dell’Osservatore Romano dal titolo «I diritti dell’uomo» del 31 ottobre 1948 in cui si fa presente che l’esclusione di Dio come fonte di ogni diritto avrà si portato ad unità d’intenti sul livello pratico, ma condurrà l’uomo a decretare «d’arbitrio suo ciò che di suo arbitrio potrà mutare. E lo muterà, prima o poi». Ecco quindi che se l’accesso all’aborto poteva inizialmente non essere considerato un diritto umano, oggi potrebbe non essere più così perché tutto dipende dall’arbitrio dei singoli che convenzionalmente potranno decidere in modo difforme al passato. O per dirla con Mori, la «Dichiarazione universale abbandona il fondamento metafisico dei diritti e si propone come documento laico che ragiona "etsi deus non daretur ", collocandosi nel quadro dell’etica nuova affermata dalla bioetica. I diritti umani non sono assoluti, né sono statici e fissi, ma possono evolvere e svilupparsi a seconda delle esigenze umane». E poi aggiunge: «Merita di essere ricordato che è soprattutto per questa ragione che il Vaticano non ha firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani». Detto ciò, però, l’autore rammenta altresì che da Giovanni XXIII in avanti i pontefici hanno sempre più accolto con favore la medesima Dichiarazione.
Dunque una prima motivazione per cui in futuro l’aborto potrà essere annoverato tra i diritti umani compresi implicitamente nell’elenco di quelli indicati dalla Dichiarazione sta nel fatto che il loro fondamento è convenzionale. Un secondo motivo è di carattere storico, ma altresì rivelatore dello spirito che innerva la Dichiarazione: le delegazioni del Cile e del Libano avevano proposto una modifica alla bozza di base, modifica che prevedeva espressamente il diritto alla vita a favore dei concepiti. Queste modifiche vennero respinte.
Terzo motivo per affermare che in futuro l’aborto si ammanterà delle vesti di diritto umano: «di fatto – scrive Mori – in ambito Onu da ormai alcuni decenni sono stati elaborati nuovi diritti, i "diritti riproduttivi" e i "diritti sessuali" [contraccezione e aborto N.d.A] a garanzia della salute riproduttiva e sessuale». Moltissimi documenti ONU che qualificano l’aborto come diritto ormai hanno posto le premesse giuridiche perché l’aborto assurga al rango di diritto umano.
Il tentativo di Trump di invertire la rotta ingaggiando una battaglia serrata con l’ONU viene giudicata da Mori come una parentesi che non riuscirà a intralciare questa dinamica che porterà a positivizzare in forma solenne il diritto di abortire.
Mori, naturalmente, si compiace di tale dinamica. Noi all’opposto la condanniamo. Però ringraziamo l’autore per il seguente motivo. Nella descrizione presente in questo volume degli eventi che hanno innescato tale processo di legittimazione sovranazionale del fenomeno abortivo, si può individuare la strategia per ribaltare la situazione. Se il rifiuto di una fondazione metafisica ha generato una Dichiarazione dei diritti dell’uomo per nulla universale perché esclude dal suo ombrello di tutela i nascituri, ciò significa che per garantire anche sul piano del diritto positivo internazionale il diritto alla vita dei nascituri occorre riscoprire il suo fondamento metafisico. E occorre farlo prima di tutto – ma non esclusivamente – sul piano culturale. Nella sezione del libro di Mori di cui prima abbiamo offerto la sintesi è quindi presente la soluzione per un mutamento radicale della deriva oggi in atto.
La strada che vede la lotta all’abortismo globale incentrata solo su motivazioni di carattere politico e giuridico è una strada senza uscita perché alla fine, spesso senza saperlo, conferma le premesse sostenute dal fronte pro-choice: il diritto si autofonda nella mera convenzione. Ciò non toglie che il giurista e il politico non possano che battagliare con le armi del diritto, ma occorre ancorare tale disputa su un piano superiore, meta-giuridico. L’invito quindi, come ha insegnato l’esperienza trumpiana, è quello di tornare a parlare di Dio, di natura umana e di diritto naturale anche e soprattutto quando si parla di diritti umani.