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IL CASO

Mondiali e Qatargate: Ue strumento di poteri esterni

I campionati mondiali di calcio del Qatar hanno raggiunto la loro conclusione “sportiva” in un clima surreale che illustra l'assoluta permeabilità delle istituzioni del Vecchio Continente a ogni pressione da parte di regimi autoritari mediorientali o nordafricani. Dietro le proclamazioni altisonanti sui “diritti” e l'”inclusione” sbandierate ai quattro venti c'è invece l'azione a favore di ben precisi interessi politici di Stati, derivante da do ut des opachi, fuori da ogni regola e principio tra l'islam fondamentalista e i settori prevalenti delle sinistre progressiste euro-occidentali.

Editoriali 19_12_2022

I campionati mondiali di calcio del Qatar hanno raggiunto la loro conclusione “sportiva” in un clima surreale, se non proprio da teatro dell'assurdo, portando fino alle estreme conseguenze le contraddizioni che ne inficiavano la credibilità fin dal loro concepimento. Proprio mentre, infatti, il torneo si svolgeva sul campo è esploso lo scandalo clamoroso della corruzione operata dal governo del Qatar nei confronti di molti membri del Parlamento europeo: uno scandalo che sempre più va estendendosi e minaccia di coinvolgere tutte le istituzioni dell'Ue, dimostrando eloquentemente come l'assegnazione e l'organizzazione dei mondiali siano parte di un unico grande disegno di “lobbying” del paese del Golfo e anche di altri Paesi arabi, come il Marocco, nei confronti dell'Europa.

Questo esito non sorprende certo chi conosce il ruolo svolto dal Qatar e dal fondamentalismo islamico nella politica internazionale, o le sue influenze di lunga data sulle classi politiche occidentali. Né sorprende, più in generale, alla luce della storia delle grandi kermesse sportive internazionali, che da sempre sono strumenti nemmeno troppo velati di propaganda da parte di regimi di vario genere: dalla Coppa del mondo italiana del 1934 alle olimpiadi di Berlino del 1936, fino al “mundial” argentino della dittatura di Videla del 1978, alle olimpiadi di Pechino del 2008 e ai mondiali giocati in Russia nel 2018. D'altra parte, nel caso attuale del Qatar fin dall'assegnazione del torneo (avvenuta addirittura con un quadriennio di anticipo, nel 2009) la “narrazione” buonista sullo sport che affratella e costruisce ponti, cucita a forza intorno ad esso, era stata messa radicalmente in questione dai più che legittimi dubbi sul potere di condizionamento dei petrodollari qatarioti sulla FIFA, sfociati anche in inchieste giudiziarie, mai concluse da condanne. E più recentemente, all'inizio del torneo stesso, quei dubbi erano tornati a circolare, con l'aggiunta di pesanti accuse di sfruttamento schiavistico della manodopera di immigrati asiatici usata nel paese per  la costruzioni degli impianti sportivi.

I campionati si erano aperti, insomma, in un clima di generale imbarazzo e sospetto. Un clima accentuato dal discorso inaugurale del presidente della FIFA Gianni Infantino, che goffamente aveva provato a conciliare la retorica politicalcorrettista imposta in ogni sede dello sport internazionale con la difesa del governo del paese ospitante dipinto come un luogo di grande progresso dei “diritti”. Erano continuati poi con l'altrettanto paradossale  corto circuito tra i frusti e retorici gesti simbolici in favore delle cause più amate oggi dall'ideologia dominante occidentale – i braccialetti arcobaleno per l'agenda Lgbtq e gli “inginocchiamenti antirazzisti” pro Black Lives Matter – e la cruda realtà di un mondo non-occidentale (tipicamente rappresentato dal regime qatariota, che passa come uno schiacciasassi sui diritti di gay e donne); nonché l'atteggiamento di gran parte dei Paesi africani che considerano ridicolo e fuorviante l'antirazzismo ideologizzato occidentale (resterà impressa la comica scena della partita Inghilterra-Senegal: inginocchiati i primi, in piedi fieramente i secondi).

Le clamorose indagini sulle vagonate di soldi cash e altri benefit regalati dall'emirato ai parlamentari europei soltanto per avere da loro opinioni favorevoli al regime rappresentano, dunque, il logico coronamento di una situazione paradossale. Di più, esse completano il mosaico della grande compravendita di cui l'assegnazione dei mondiali è stata parte, e degli obiettivi che i qatarioti si prefiggevano: ingresso delle loro aerolinee nel mercato del Vecchio Continente, libera circolazione dei suoi cittadini senza visti, vendita di gas a prezzi convenienti, acquisti di armi, e via dicendo.

Soprattutto, il quadro che si va via via definendo getta una luce inquietante sull'effettiva realtà, oggi, dell'Unione europea e delle democrazie europee. Esso illustra bene, infatti, innanzitutto l'assoluta permeabilità delle istituzioni del Vecchio Continente a ogni pressione da parte di regimi autoritari mediorientali o nordafricani. Dimostra inoltre come, almeno in un caso specifico e ben documentabile, dietro le proclamazioni altisonanti sui “diritti” e l'”inclusione” sbandierate ai quattro venti continuamente da vertici e classi politiche Ue ci sia invece, molto prosaicamente, l'azione a favore di ben precisi interessi politici di Stati, derivante da do ut des opachi, fuori da ogni regola e principio. Indica, poi, con chiarezza come negli ultimi decenni si sia andata stringendo un'alleanza di fatto, fondata su comuni interessi, tra l'islam fondamentalista e i settori prevalenti delle sinistre progressiste euro-occidentali, cementato dalle succitate retoriche sull'inclusione.

Ma, ancor più, lo scandalo delle “dazioni” di Doha alimenta la precisa impressione che il caso del “lobbying” qatariota e marocchino sia soltanto la punta di un enorme iceberg, e che se quest'ultimo emergesse in piena luce avrebbe effetti destabilizzanti senza precedenti sull'Occidente come lo conosciamo.

Esso, infatti, apre la strada a ulteriori interrogativi, ai quali la politica e la giustizia dovrebbero dare urgentemente risposta.

È possibile che la linea politica dei Paesi Ue e le prese di posizione delle istituzioni comunitarie siano stati influenzati, in altri casi e su altri temi, da azioni altrettanto disinvolte da parte di attori esterni? Il pensiero corre subito, in tal senso, all'atteggiamento ostentatamente “dialogante” dell'Ue nei confronti del regime iraniano, strettamente alleato peraltro al Qatar, sulla questione nucleare. O alle vistose oscillazioni europee sull'aggressiva campagna promozionale posta in atto negli anni scorsi dalla Cina di Xi Jinping in merito al grande progetto di “Nuova via della seta”. O alla dipendenza sviluppata dal continente nei confronti del gas russo sotto la guida della Germania di Angela Merkel, quando Putin ancora non era il “demonio” oggi dipinto dall'asse Washington/G7/Bruxelles ma organizzava i mondiali e sponsorizzava con la Gazprom la Champions League. O, per converso, alla repentina conversione dell'Unione in senso atlantista e anti-putiniano nel caso della guerra russo-ucraina.

Inoltre, se apparati statuali avessero davvero avuto tanta influenza, non potrebbero averla avuta grandi  interessi privati? Ad esempio quelli di giganteschi potentati dell'industria farmaceutica non potrebbero aver avuto un ruolo nella politica Ue su misure restrittive, campagne vaccinali e “green pass” all'epoca della pandemia di Covid-19?

Se anche soltanto alcuni di questi sospetti fossero supportati da prove, l'Ue e il Vecchio Continente apparirebbero, impietosamente, come un grande vaso di coccio, un vuoto contenitore in balia di forze ben più energiche nello scacchiere di potenza globale. E del “sogno europeo” resterebbe soltanto una vuota, ipocrita retorica moralista che sempre più suonerebbe come una moneta falsa.