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INTERVISTA / MARGHERITA BORSALINO

"Mio marito Giuseppe Garrone, combattente per la Vita"

Mamme e bambini salvati dall’aborto, insieme a tante donne che rischiavano di suicidarsi dopo aver abortito. «Telefonavano a SOS Vita nel cuore della notte, anche alle due, per confidare il loro strazio. E Giuseppe c’era sempre». L’amicizia con Madre Teresa, che benedì la sua idea delle culle per la vita, oggi una sessantina in Italia. Le amarezze all’epoca della Legge 40, di cui contestava la logica del “male minore”. In occasione della 43^ Giornata per la Vita, la Bussola ricorda - con un’intervista alla moglie Margherita Borsalino - la figura di Giuseppe Garrone, morto il 3 febbraio di 10 anni fa.
- UNA LUCE PER LA VITA, CAMPAGNA CHE FA CULTURA, di Tommaso Scandroglio

Vita e bioetica 07_02_2021

Ricorre oggi la 43^ Giornata per la Vita, istituita dalla Conferenza episcopale italiana sul finire del 1978, a pochi mesi di distanza dalla promulgazione della legge sull’aborto. L’appuntamento di quest’anno cade quattro giorni dopo il 10° anniversario della morte di una delle figure più interessanti del panorama pro-vita italiano: Giuseppe Garrone. Piemontese di grande fede, ha speso 27 anni a tempo pieno per salvare i bambini dall’aborto e, con essi, le loro mamme, per le quali percorreva chilometri su chilometri ed era sempre pronto a offrire sostegno e consigli, al telefono o di persona. Diverse le iniziative di aiuto che ideò - tra cui le culle per la vita, oggi una sessantina in Italia - e che continuano a dare i loro frutti.

La Nuova Bussola ne ha intervistato la moglie, Margherita Borsalino Garrone.

Signora Garrone, ci dice quando suo marito iniziò ad impegnarsi a tempo pieno a difesa della vita?
Nel 1983, quando fondammo il Movimento per la Vita di Casale Monferrato, con Bruna Tumelero, che qualche anno prima aveva fondato il Cav locale. Giuseppe si era già impegnato contro l’approvazione delle leggi sul divorzio e l’aborto, ma era un impegno da conciliare con il lavoro da insegnante nelle medie. Nel 1983 ottenne dal Ministero il distaccamento dell’insegnamento, per poter fare educazione alla Vita nelle scuole, in giro per l’Italia. Questa esperienza, che durò cinque anni, lo fece entrare in contatto con i movimenti che in quel periodo nascevano un po’ dappertutto, grazie all’impulso del fondatore dell’Mpv, Francesco Migliori.

Oggi proporre di fare educazione alla Vita causerebbe una levata di scudi…
Sì, ai tempi era ancora possibile. Per Giuseppe ha significato conoscere a fondo la situazione dei giovani e realizzare quanto fosse stato deleterio il Sessantotto, soprattutto in capo agli insegnanti che usavano le lezioni per propagare le nuove idee su sessualità, aborto, famiglia, ecc.

La scelta dell’impegno pro-vita a tempo pieno è legata a qualche fatto particolare?
Mio marito nel 1983 aveva subìto un intervento rischiosissimo: gli fu sostituito un tratto della carotide, e dopo dovette fare rieducazione al linguaggio e alla mobilità. Recuperò bene, ancora aveva 44 anni. Ma per capire meglio la scelta dell’educazione alla Vita dobbiamo fare un bel passo indietro.

Ci dica.
Giuseppe fu il quinto di sei figli, i suoi genitori erano molto poveri. Quando sua mamma, Laura, si trovò incinta di lui, l’ostetrica del paese andò a trovarla e le disse: “Stai tranquilla, Laura, questa sera vengo io e ti libero”. Ma sua mamma, che non aveva alcuna intenzione di abortire e confidava in Dio, cacciò l’ostetrica: “Mio figlio nascerà senza di te”. Giuseppe nacque il 28 marzo 1939. L’unica persona ad assistere Laura fu una sorella, molto emotiva, e il risultato fu che il cordone ombelicale rimase per un po’ attorno al collo. E Giuseppe credeva che potesse essere una causa del suo problema alla carotide. Comunque, è stato un prediletto del Signore.

Anche la madre di san Giovanni Paolo II, in circostanze diverse, rifiutò di abortire. Suo marito conobbe personalmente Wojtyla?
Ebbe modo di incontrarlo in alcune udienze, sempre presentato da qualcuno. Un’occasione fu quando era in corso il dibattito sulla Legge 40: lui venne introdotto dal cardinale Trujillo e chiese la benedizione al Santo Padre, spiegandogli la durezza della lotta. Giovanni Paolo II era ormai con poche forze, ma alzò il braccio e gli diede una grande benedizione, tanto che poi gli amici, meravigliati, chiesero a Giuseppe cosa avesse detto al Papa.

Nel luglio 2020 un bambino è stato salvato a Bari attraverso una culla per la vita, un’idea di Giuseppe. Come gli venne?
Nel 1992 sentimmo in Tv l’ennesimo caso di neonato trovato morto nella spazzatura. Giuseppe pensò quindi a un “cassonetto per la vita”, ma incontrò ostacoli non solo dai laicisti ma anche da una parte della Chiesa locale, che possedeva l’edificio dove si trovava la sede dell’Mpv di Casale. Mio marito era distrutto. Grazie a Dio, il nostro parroco, don Franco, un giorno lo rincuorò così: “Giuseppe, non scendere dalla croce”. Il senso era che mio marito aveva iniziato ad amare intensamente le vite dei bambini non nati, e doveva perciò prepararsi a soffrire. Sono due cose legate, l’amore e la sofferenza, ce lo insegna Gesù.

Come si risolse la questione?
Giuseppe disse al consiglio direttivo dell’Mpv: “Dobbiamo comprare la sede”. Lo presero per pazzo, perché non c’erano i soldi. Ma lui non demorse, fissò un termine e avviò una sottoscrizione. Intanto l’idea del “cassonetto” aveva fatto il giro del mondo. Se ne erano interessati un numero esagerato di giornali, Tg, con tanto disprezzo per questa idea “medievale”. Per farla breve, un giorno un convento olandese di suore di San Giuseppe fece versare all’Mpv 7.000 fiorini, che corrispondevano a 6-7 milioni di lire. Da allora la sottoscrizione divenne sempre più generosa e potemmo acquistare la sede dove ci troviamo tuttora, installando, nel ’95, la culla per la vita. È stata la Provvidenza.

Santa Teresa di Calcutta ha scritto una splendida lettera sui bambini non nati, indirizzata proprio all’Mpv di Casale. Ma suo marito la conobbe di persona?
Sì, a Firenze, in un grande incontro organizzato dalla diocesi. Le parlò faccia a faccia. Poi Madre Teresa mandò alle sue suore a Roma alcune medaglie miracolose da consegnare a Giuseppe, che le ebbe attraverso il dottor Pino Noia. Nel ‘92 mio marito, ai tempi dell’idea del cassonetto, le scrisse chiedendole una benedizione. E Madre Teresa rispose con quella formidabile lettera autografa, di cui conservo l’originale [vedi foto].

Qualche storia particolare?
Guardi, il bene che Giuseppe ha fatto dà frutti ancora oggi. A novembre è venuta da me una mamma con la figlia nata 24 anni fa. Quella stessa figlia, incinta, era intenzionata ad abortire per difficoltà economiche. Ma la madre, ricordando l’aiuto ricevuto a suo tempo da Giuseppe, le ha detto: “Ascoltami, prima andiamo all’Mpv”. Io non conoscevo la signora ma appena è arrivata in sede, e ha visto la foto di Giuseppe, ha detto alla figlia: “È lui che ti ha fatto nascere”. Da lì per me è stato semplice convincere la ragazza a non abortire. Oggi in Piemonte non c’è più il Progetto Gemma - in cui Giuseppe venne coinvolto da Mario Paolo Rocchi, l’ideatore - ma dopo la sua morte è stato pensato, in suo onore, lo Zainetto per la Vita, che consiste nel dare 200 euro al mese per un anno intero alla madre in difficoltà che scarta l’aborto. Sono soldi che raccoglie Federvita Piemonte attraverso amici e benefattori.

Prima ha accennato alla Legge 40, è a seguito di quel dibattito che nacque il Comitato Verità e Vita?
Sì, la Legge 40 fu divisiva per l’Mpv italiano. Non so dire se fu Carlo Casini, che allora ne era il presidente, o la presidenza della Cei a prendere l’iniziativa. Ma di certo c’è che la posizione maggioritaria in Parlamento, sostenuta dall’esterno da Casini, fosse per il “male minore”. E si diceva che i paletti della legge avrebbero impedito altre storture. Invece, la posizione di Giuseppe e di altri 27 membri importanti dell’Mpv - tra cui Migliori, Rocchi, Silvio Ghielmi e Mario Palmaro - era di opporsi a ogni forma di fecondazione extracorporea, anche omologa. I 28 spiegavano che l’Mpv dovesse indicare la verità tutta intera sulla natura umana, non proporre un compromesso politico che creava una legge sbagliata.

A proposito di difesa della verità, suo marito fu anche amico dell’oggi venerabile Jérôme Lejeune.
Sì. Nel ’92, poco prima che fallisse il primo tentativo di installare il “cassonetto per la vita”, Giuseppe organizzò un convegno a cui partecipò anche Lejeune. Il grande genetista disse: “Non avrei mai immaginato di trovarmi oggi alla seconda inaugurazione della ruota che è stata inventata in Francia da un monaco”. E raccontò la storia dell’invenzione nel Medioevo della ruota degli esposti.

Sempre nel ’92, Giuseppe lanciò il numero verde SOS Vita.
Il numero nacque per aiutare le mamme ad accogliere i bambini, ma anche per ascoltare coloro che avevano abortito e chiamavano, in cerca di una persona a cui parlare, a qualunque ora. Giuseppe, per primo in Italia, volle appositamente attivare il numero verde su cellulare, che allora pesava parecchio… Noi abbiamo gestito direttamente SOS Vita [oggi 800 813 000, ndr] per un paio di anni, alternandoci con Bruna Tumelero: e sa quante donne chiamavano nel cuore della notte, anche alle due, per confidare il loro strazio e quante hanno rischiato il suicidio? Per loro, lui c’era sempre.

A una coppia di sposi che non riusciva ad avere figli, ed era tentata di ricorrere alla fecondazione in provetta, suo marito consigliò tra l’altro di pregare come Gesù nel Getsemani. Ma fu un caso isolato o era normale che lo cercassero anche per questi consigli?
Giuseppe ricordava sempre che è il Padre celeste che dona la vita e che bisogna abbandonarsi alla sua volontà. Consigliò molte coppie e le mandava dalla Madonna dei Fiori, presso Bra. Ancora oggi ricevo testimonianze di persone consigliate da Giuseppe e con figli nati dopo questi pellegrinaggi! Questa fede lo guidava in tutte le cose. Poco prima di morire, invitandoci a dividerci i compiti per continuare la nostra missione, ci disse: “Guardate che alla Provvidenza non si è accorciato il braccio. Quindi, fidatevi e credete nella Vita”.