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TRADITIONIS CUSTODES

Messa antica: le amnesie di Roche, che contraddice BXVI

È trapelata la risposta che mons. Roche ha inviato al cardinale Nichols che chiedeva chiarimenti su alcuni aspetti del motu proprio di Francesco sulla Messa in latino, specie per l’amministrazione dei sacramenti. Il prefetto per il Culto Divino ritiene il rituale antico contrario all’«ecclesiologia», contraddicendo Benedetto XVI che ne sottolineava la dignità e chiariva che il Messale del 1962 non è mai stato abrogato. E Roche dimentica perfino un indulto del ’71, indicando di quale morte si vuol far morire il Vetus Ordo.

Ecclesia 11_11_2021 English Español

È stata resa pubblica la risposta di monsignor Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, alle richieste di chiarimento su alcuni punti del motu proprio Traditionis Custodes da parte dell’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols (vedi qui). Il 28 luglio scorso, il cardinale domandava alla Congregazione competente se fosse in arrivo un’istruzione applicativa del motu proprio dello scorso 16 luglio e si interrogava su alcuni aspetti che il testo di TC lasciava in sospeso.

Il cardinale chiedeva, tra l’altro, se l’art. 8 di TC, con il quale venivano abrogate «le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio», fosse da estendere all’amministrazione dei sacramenti nella forma straordinaria e al Breviarium Romanum. In effetti, TC non vi faceva alcun riferimento, mentre Summorum Pontificum, all’art. 9, §§ 1-3, conferiva esplicitamente ai parroci la licenza «di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime», agli Ordinari «la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano» e ai chierici costituiti in sacris la possibilità d’utilizzo del Breviario del 1962.

Che la risposta di mons. Roche (nella foto) non sia contraddistinta da inequivocabilità è il minimo che si possa dire, perché da un lato afferma che per la Congregazione sarebbe chiaro «che la nuova legislazione abroghi ciò che è stato concesso precedentemente in via eccezionale e limitata», ma nel contempo riconosce che TC «menziona soltanto l’uso del Missale Romanum del 1962 e le celebrazioni eucaristiche». Insomma: sì, no, fate voi. Purché seguiate il criterio guida di tutto il motu proprio, ossia tollerare le eccezioni e impedire lo sviluppo: «Ci sono stati considerevoli fraintendimenti delle precedenti misure - spiega mons. Roche - con l’aumento di pratiche, sviluppo e promozione, che in non piccola parte hanno incoraggiato una crescita che non era stata prevista o sancita dai precedenti pontefici».

Roche segue la linea espressa da Francesco nella lettera che accompagna TC, secondo la quale le intenzioni di riconciliazione del mondo “tradizionalista” di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sarebbero state in seguito fraintese quasi avessero sancito un “crescete e moltiplicatevi”.

Il Summorum Pontificum aveva permesso ad ogni sacerdote di rito latino, nelle Messe senza il popolo, di celebrare utilizzando il Messale antico (art. 2), concedendo anche ai fedeli di parteciparvi (art. 4); aveva esteso questa possibilità anche agli istituti di vita consacrata e alle società di vita apostolica, prevedendo che nelle comunità questo potesse avvenire «spesso o abitualmente o permanentemente», con l’autorizzazione dei Superiori maggiori (art. 3): aveva inoltre esortato i parroci ad accogliere le richieste di gruppi stabili legati alla liturgia antica, prevedendo celebrazioni nei giorni feriali come in quelli festivi, e anche in occasioni particolari (art. 5). È evidente che si tratta di un atto di governo volto a far uscire dall’eccezionalità del regime di indulto i riti liturgici antichi; diversamente si sarebbe rimasti alla legislazione prevista da Quattuor abhinc annos, nel 1984. È altresì evidente che queste concessioni avrebbero necessariamente moltiplicato il numero dei sacerdoti, dei fedeli, delle celebrazioni; non si capisce, dunque, come si possa affermare che i precedenti pontefici non avrebbero previsto né sancito una prospettiva di crescita.

La risposta di Roche, oltre ad essere contraddetta dal testo del motu proprio del 2007, dimostra anche di essere del tutto estranea a quanto, per quarant’anni, è accaduto nella Chiesa relativamente al rito latino antico. «L’aumento di pratiche», come le celebrazioni dei sacramenti, nella forma antica, in aggiunta all’uso del solo Messale, non è stato il frutto di un travisamento, ma una facoltà che la Chiesa ha riconosciuto agli istituti “tradizionali” già a partire dal 1988 con la Fraternità San Pietro fino al 2006 con l’Istituto del Buon Pastore. Poi il motu proprio di Benedetto XVI, che, come si è visto, ha esteso a tutti i sacerdoti e agli Ordinari l’utilizzo del rituale antico anche per i sacramenti.

L’interpretazione del prefetto della Congregazione per il Culto Divino, che ricorda molto quella dei compagni di merende che hanno vaneggiato per anni - e continuano a farlo - di uno “spirito del Concilio”, arriva fino a fare con nonchalance un’affermazione contraddetta apertis verbis da Benedetto XVI. «Il fraintendimento e la promozione dell’uso di questi testi, dopo semplici limitate concessioni dei precedenti pontefici sono stati utilizzati per incoraggiare una liturgia differente dalla riforma conciliare (e che di fatto fu abrogata dal Papa San Paolo VI) e un’ecclesiologia che non appartiene al magistero della Chiesa». Peccato che Benedetto XVI abbia detto proprio l’esatto contrario; e non una volta sola. Il primo articolo di SP considera lecito l’utilizzo della «edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa». Per evitare che qualcuno facesse le orecchie da mercante su questo punto, nella lettera ai vescovi del 7 luglio 2007, Ratzinger ribadiva che «quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso».

Da dove viene dunque il malinteso (fraudolento)? Interpretazione falsa e tendenziosa degli atti pontifici relativi alla liturgia antica, antecedenti al pontificato di Bergoglio; contraddizione aperta e palese con quanto insegnato da Benedetto XVI (col quale però, a parole, si continua ad affermare di essere in perfetta continuità), e infine il teatrino della lettera smarrita. Il cardinale Nichols ricorda a Roche l’esistenza di un indulto del 1971, concesso dalla Congregazione per il Culto Divino all’allora arcivescovo di Westminster, il cardinale John Carmel Heenan, per tutti i vescovi d’Inghilterra, per dare ai fedeli la possibilità di partecipare, in alcune circostanze, alla Messa antica. Queste circostanze riguardano soprattutto le celebrazioni funebri. Incredibile, ma vero, Roche, nato nel West Yorkshire, vescovo ausiliare di Westminster, poi vescovo di Leeds e, infine, prima segretario e poi prefetto della Congregazione che ha competenza universale per il Culto, non ha memoria di questa lettera e non riesce a trovarla negli archivi. Se qualcuno è in contatto con Roche, gli dica che la può trovare qui.

Ma Roche ha già deciso, a prescindere: «In ogni caso, bisogna tener presente che il n. 8 di Traditionis Custodes abroga ogni precedente norma, istruzione, permesso e uso non conformi alla vigente legislazione». Gli istituti e le comunità di rito antico sono avvisati.