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BERLINO

Merkel: anche il governo "Kenya" pur di escludere l'AfD

Dal 24 settembre, giorno delle elezioni parlamentari in Germania, a Berlino non c’è un governo. Si potrebbe formare anche domani stesso, se la Cdu/Csu della Merkel accettasse l'alleanza con l'AfD. Ma pur di tenere fuori dai giochi la nuova destra, si aprono tavoli negoziali che cercano di conciliare partiti inconciliabili.

Esteri 27_11_2017
Schulz e la Merkel

Dal 24 settembre, giorno delle elezioni parlamentari in Germania, a Berlino non c’è un governo. La “locomotiva d’Europa” conferma una tendenza che ormai sta diventando cronica in tutto il vecchio continente. Prima ci sono stati i casi eclatanti del Belgio (record di durata un paese europeo senza governo), quello più recente della Spagna e quello ancor più recente dell’Olanda. Per non parlare dell’elezione ripetuta del presidente della repubblica in Austria. Per uscire dall’impasse, la Merkel aveva prima pensato ad una coalizione eterogenea detta “Giamaica” (per i colori dei tre partiti coinvolti, nero, giallo e verde), con Cdu/Csu, Liberali e Verdi. Poi, saltato il tavolo, sta meditando di tornare a una grande coalizione con i socialdemocratici. Il tutto ha un solo scopo: escludere dal governo il partito di destra, l’AfD.

Non ci sono altri motivi razionali per comprendere l’impasse tedesca. Era puramente illusorio pensare che potesse reggere una coalizione con democristiani, verdi e liberali nello stesso governo. I democristiani della Cdu/Csu, sono membri del Partito Popolare Europeo, hanno caratterizzato la politica della cosiddetta “austerità”, hanno mantenuto bassa la pressione dello Stato sull’economia permettendo una continua crescita, si sono dimostrati disponibili ad aiutare altri paesi europei in crisi solo in cambio di serie garanzie di riforme. I Liberali, sebbene siano sempre stati laicisti, possono anche sposarsi con i democristiani in un governo comune, spingendo l’acceleratore sull’austerità. Cioè sui tagli alla spesa pubblica (ma anche alle tasse, di conseguenza), sulla possibilità di votare per l’espulsione dei paesi beneficiari degli aiuti tedeschi ma inadempienti, come la Grecia. Liberali e Cdu/Csu hanno storicamente già governato assieme, più di una volta, a partire dallo storico governo Adenauer, quello della ricostruzione, fino al secondo governo Merkel. Ma i Verdi? Hanno un programma economico che è semplicemente l’opposto rispetto a quello dei Liberali, tutto basato su una maggior spesa pubblica a livello europeo, una maggiore integrazione politica continentale, un’apertura pressoché incondizionata all’immigrazione. Alle proposte sull’aumento del budget europeo, sono i Liberali che hanno fatto saltare la trattativa, il 20 novembre. “Meglio non governare che governare male”, è stato il laconico commento di Christian Lindner, il leader liberale. La Merkel, al contrario, avrebbe voluto proseguire nel negoziato.

Ma perché la Merkel ha subito un salasso di voti così grave da perdere la maggioranza? Perché, governando assieme ai socialdemocratici (Spd), ha aperto alle istanze di sinistra sull’immigrazione (oltre a condividerle lei, in prima persona, stando alle sue numerose dichiarazioni in merito) e ha pagato caro questa concessione. Tanto da dover fare marcia indietro e presentarsi come la candidata “legge e ordine”. Troppo tardi, perché alle elezioni, la Cdu/Csu ha perso dieci punti percentuali, e la Spd ha conseguito il suo peggior risultato di sempre. I democristiani della Cdu/Csu includono anche i cattolici conservatori bavaresi, che non sono dissimili dall’AfD, quanto a programma e visione della politica. Il flusso di voti dal centro alla destra, nelle ultime elezioni, dimostra come l’elettorato della Merkel sia, per certi versi, sovrapponibile a quello della nuova formazione di destra. Le richieste di questa maggioranza silenziosa tedesca sono chiare: stop all’immigrazione incontrollata, stop all’islamizzazione (specie dopo il crescendo di attentati in Germania), disponibilità limitata ad aiutare i paesi dell’Ue in crisi da debito sovrano e solo in cambio di garanzie più precise, più ordine, meno tasse, un welfare che pensi ai tedeschi prima che agli stranieri. Sono all’incirca queste le priorità di un popolo di centro-destra che, deluso dalla politica di sinistra di Angela Merkel, l’ha punita “emigrando” verso l’AfD.

La lezione che avrebbe dovuto trarre Angela Merkel da questo salasso di elettori, dovrebbe essere solo una: tornare a parlare da leader di destra e cercare un accordo con l’AfD, per appianare la rivalità e frenare l’emorragia di consensi. Ma questa ipotesi, semplicemente, non viene neppure discussa. In compenso, fallite le trattative sul governo “Giamaica” si pensa di avviare quelle per il governo “Kenya” (nero, verde e rosso): Cdu/Csu, Verdi e Socialdemocratici. Dunque tornerebbe una grande coalizione, proprio quella che gli elettori hanno clamorosamente bocciato, per di più peggiorata dall'ingresso degli ultra-europeisti e ultra-immigrazionisti verdi. Il leader della Spd, Martin Schulz, che fino alla settimana scorsa si opponeva a un ritorno al governo, da venerdì si è detto disponibile. E’ lo stesso presidente della repubblica federale, Frank Walter Steinmeier a orchestrare l’incontro fra opposti. E a non voler neppure ritornare al voto.

Si cerca di tenere assieme partiti incompatibili e perdenti, pur di tener fuori dal governo l’AfD. Non si vuole neppure tornare alle urne, sempre per paura che l’AfD possa prendere ancora più voti. Dunque è l’AfD l’unico motivo di preoccupazione delle istituzioni democratiche tedesche ed è a causa della paura che genera che si preferisce uno stallo prolungato a un governo che la includa. Ma l’AfD merita il terrore che provoca? Il peggiore incubo di tutte le forze democratiche tedesche è un eventuale ritorno del nazismo. Ma l’AfD ha veramente qualcosa a che vedere col nazismo? Forse si dà troppo per scontato che un partito che si oppone sia all’immigrazione incontrollata che all’islamizzazione lo faccia per “razzismo” (che però è tutta un’altra cosa). Così come si dà per scontato che un partito che privilegia l’identità nazionale sull’integrazione europea lo faccia per nazionalismo (anche se l’identità è un concetto difensivo, mentre il nazionalismo tedesco fu pericoloso storicamente perché era espansionista). La difesa della famiglia, dall’opposizione all’aborto fino a quella ai matrimoni gay, è poi considerata come una politica “contraria ai diritti umani”: forse i democristiani stessi hanno dimenticato che quello era il loro programma, fino a poco tempo fa.

L’AfD, fino a prova contraria, è un partito “nazista” solo per chi lo vuol giudicare tale, per motivi politici più che per un'analisi obiettiva. O per paura che si metta in moto quella potente macchina mediatica-istituzionale che ha già gettato fango su Orban, poi sui conservatori polacchi, poi sulla Brexit e ora lo potrebbe fare anche con un eventuale governo tedesco di destra. Una macchina che non risponde ad alcun elettorato, ma che è in grado di trasformare un partito, o un paese intero, in un paria d'Europa.