Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Felice di Como a cura di Ermes Dovico
SCISSIONI

Germania, la destra vince ma teme la sua ombra

La destra vince e si sfalda. Strano esito quello del “day after” elettorale tedesco. Ci sono già voci di scissione (smentite in giornata) fra Cdu e Csu. Ma la notizia più clamorosa viene dall'AfD, vincitrice morale delle elezioni, abbandonata il giorno stesso dalla sua leader Frauke Petry.

Esteri 26_09_2017
Frauke Petry

La destra vince e si sfalda. Strano esito quello del “day after” elettorale tedesco. La Cdu-Csu potrebbe dividersi (anche se la notizia viene per ora smentita), dopo che ha vinto con il peggior risultato dal 1949 (ma comunque ha vinto). Ma anche l’AfD, vincitrice “morale” di queste elezioni, perché ha portato la sua prima nutrita pattuglia di 94 candidati in Parlamento, perde la sua leader Frauke Petry, che annuncia l’uscita dal partito e il suo auto-esilio nel gruppo misto.

Frauke Petry ha indetto la sua conferenza stampa all’indomani del clamoroso risultato del partito. Che ci fossero problemi interni alla leadership era chiaro agli osservatori tedeschi sin da maggio, ai tempi dell’ultimo congresso nazionale. Ma nessuno, neppure lo stesso portavoce del partito di destra, si aspettava che all’indomani di una vittoria storica la leader che ha dato forma all’AfD, invece di annunciare il successo, ringraziare gli elettori e riassumere le prossime azioni, prendesse la parola per annunciare le dimissioni. Le accuse al partito sono pesanti: “permette il razzismo e si limita alla protesta”. Dunque: “Da quella specie di partito anarcoide che era, l’AfD è diventato nelle ultime settimane una formazione di successo all’opposizione, ma non può offrire una credibile alternativa di governo”. Le sue parole paiono essere una reazione al discorso della vittoria (a quanto pare nemmeno concordato) di un altro leader del partito, Alexander Gauland, il portavoce federale. Subito dopo aver visto gli ottimi risultati ha tuonato contro gli immigrati: “Un milione di stranieri è stato portato in questo paese e ha portato via un pezzo della nostra patria, noi dell’AfD non volevamo che succedesse. Non vogliamo che la Germania sia invasa da stranieri portatori di un’altra cultura”. A risultati ancora incerti aveva dichiarato che “in parlamento daremo la caccia alla Merkel”.

Ma perché la Petry si scandalizza? Lei stessa ha dato questo stile al partito. Nel pieno della crisi degli immigrati, nel 2015, aveva scandalizzato mezzo mondo affermando che, se necessario, come ultima risorsa, le guardie di frontiera avrebbero dovuto sparare sugli immigrati clandestini. AfD era stata fondata due anni prima da un gruppo di economisti, capitanati da Bernd Lucke, che usavano tutt’altro linguaggio per esprimere ben altre idee. Il motivo della loro discesa in campo era la valuta unica europea: erano convinti che l’euro non potesse reggere alla prova della storia. Il partito, con questo programma puramente euroscettico aveva sfiorato la soglia di sbarramento del 5% alle elezioni federali del 2013, ma nel 2014, alle elezioni europee, aveva ottenuto il 7,1% dei voti, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e aveva mandato i suoi primi sette eurodeputati a Strasburgo. Una volta giunti all’europarlamento, i deputati dell’AfD avevano optato per imparentarsi con l’Ecr il gruppo guidato dal Partito Conservatore britannico di David Cameron. La svolta nazionalista, o “populista”, è venuta proprio con la vittoria della Petry, nel congresso del 2015, che aveva portato all’uscita di Lucke, alla rottura con l’Ecr e a una drastica trasformazione dei suoi punti programmatici. Al primo punto in agenda è stata posta la lotta all’immigrazione clandestina e all'islamizzazione, poi tutta una serie di temi etici: opposizione all’aborto, ai matrimoni gay e sostegno alle famiglie numerose. Il linguaggio usato da allora ad oggi è sempre stato quello caratteristico dei movimenti di piazza: forte, aggressivo, studiato apposta per far indignare i media e far gridare allo scandalo.

Alice Weidel, la candidata alla cancelleria dell'Afd, ha fatto coming out: è lesbica dichiarata e convivente con Sarah Brossard originaria dello Sri Lanka. Grande confusione sotto il cielo della destra? “Non sono nell'Afd nonostante la mia omosessualità – ha dichiarato la candidata cancelliera - ma perché sono omosessuale”. “A noi omosessuali non interessa nulla del matrimonio per tutti se di sera non possiamo uscire di casa. Ci sono bande di musulmani che danno la caccia agli omosessuali”. Ma non è neppure per lei che la Petry ha lasciato. Più probabilmente, sa che il partito rischia di essere dominato dalla sua ala destra. Ancora più a destra della linea conservatrice che lei ha impresso alla sua formazione. Un gruppo interno che include personaggi molto discussi, come Bjorn Hocke, uno dei fondatori del 2013, il politico che, nel gennaio scorso, ha fatto scalpore per aver deplorato il memoriale dell’Olocausto a Berlino, affermando che “La Germania è l’unico paese ad avere un memoriale della vergogna nel cuore della sua capitale” e dunque “occorre una svolta di 180 gradi nella politica delle commemorazioni”. Ecco che, gratta due centimetri sotto la scorza di un conservatore, e spunta un discorso che suona lugubremente vicino all’apologia del Terzo Reich, nell'unico paese in Europa che non può che condannare il suo passato recente.

Insomma, la causa della rottura della Petry è comprensibilmente proprio questa: la paura di vedere il proprio nome associato a un partito che potrebbe passare per nazista. E’ questo il motivo per cui, fino al 2013, non era mai sorto nulla di serio a destra della Cdu-Csu. E’ questo lo stesso motivo per cui la Merkel ha fatto politiche di sinistra, lodate dal mondo dei media e dai governi europei, ma foriere della sua pessima performance elettorale. E’ tale l’ansia di prendere le distanze dalla “destra”, genericamente intesa, che si preferisce perdere l’elettorato, o prendere le distanze dal proprio partito anche dopo una vittoria. Dunque l’opinione pubblica si sta spostando a destra in modo molto evidente: complessivamente ci sono 18 punti di distanza dei partiti di destra e centrodestra, rispetto a quelli di centrosinistra e sinistra. Ma la classe politica, ancora incapace di affrontare i fantasmi del passato, non è evidentemente in grado di soddisfare questa domanda.