Medici di base più vicini ai pazienti, una riforma epocale
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Garantire assistenza continua a livello territoriale, con un medico a disposizione non solo dei propri assistiti. È l'obiettivo principale del ministro Schillaci, per superare la scarsità di personale e ricucire il rapporto di fiducia incrinato nell'era Covid.
C’era una volta il Medico Condotto, una figura quasi epica che lavorava su un territorio senza limitazioni di orario, sempre a disposizione dei pazienti. Poi venne il Medico della Mutua, che mentre si sviluppava la medicina ospedaliera nel dopoguerra, ricopriva un ruolo piuttosto marginale nel sistema sanitario. Poi dopo la riforma del 1978, vennero gli attuali Medici di Base, sostanzialmente dei lavoratori autonomi, dei liberi professionisti, ma pagati dal Sistema Sanitario, in un regime di convenzione, che li retribuisce in base al numero di assistiti, indipendentemente dal fatto che questi vengano o meno visitati.
Oggi potrebbe avvenire un cambiamento che qualcuno definisce come epocale. Il Ministro Schillaci sta lavorando ad una riforma, che potrebbe essere approvata a breve, che prevede la modifica dell’impianto legislativo vigente, per cui i medici di base diventeranno dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale come già adesso lo sono gli ospedalieri.
La riforma prevede che i nuovi medici di famiglia saranno assunti, in un rapporto di impiego diretto con il SSN, mentre quelli già in servizio potranno scegliere se rimanere liberi professionisti o passare al nuovo regime; dovranno operare sia nei propri studi che nei nuovi presidi territoriali, garantendo la copertura dalle 8 alle 20 con servizi diagnostici avanzati; si stabilisce un impegno settimanale di 38 ore, analogo a quello dei colleghi ospedalieri, suddiviso tra assistenza diretta ai pazienti e programmazione territoriale. Il nuovo modello prevede che i medici di famiglia alternino l’attività con i propri assistiti e quella a disposizione della comunità locale.
La Riforma Schillaci, contro la quale si stanno già levando veementi proteste da parte dei sindacati dei Medici di Base, non è altro che l’ovvia conseguenza di quanto previsto già dal PNRR, il mitico Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza voluto da Draghi, ovvero che si realizzassero Case della Comunità (CdC) come nuovo modello di assistenza territoriale. Tali strutture vennero poi delineate nel DM 77 del 23 maggio 2022. Il progetto del Ministero della Salute si poneva l’obiettivo di potenziare e sviluppare l’assistenza sanitaria territoriale nel SSN implementando nuovi modelli organizzativi e ridefinendo le funzioni e il coordinamento delle realtà già presenti nel territorio. Tra i vari strumenti introdotti dal Ministero troviamo le Case della Comunità, che dovranno essere attivate nella misura di 1.350 entro la metà del 2026, e per le quali si potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia strutture di nuova gestione.
La Casa della Comunità deve essere il luogo fisico al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria. Prevede un modello di intervento multidisciplinare e al suo interno devono trovarsi Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Specialisti Ambulatoriali, Infermieri e Psicologi.
Schillaci pertanto ha ora come obiettivo far funzionare le 1.350 Case della Comunità finanziate con 2 miliardi di euro dal PNRR.
Non possono restare delle realtà virtuali, e tantomeno strutture sanitarie prive di figure come quelle dei medici di medicina generale. Presso queste CDC gli utenti potranno avere modo di accedere sempre a visite mediche, in ogni giorno feriale.
I potenti sindacati dei medici di base, come si diceva, stanno contestando con forza tale scelta, che vedono come penalizzante dal punto di vista economico. In realtà, il medico di base assunto dal SSN guadagnerebbe quanto i colleghi ospedalieri, con lo stesso numero di ore. Con il sistema attuale, invece, un medico di base con il massimo degli assistiti, percepisce il doppio di un ospedaliero, anche se è vero – come ripetono spesso– che hanno diverse spese di gestione della propria professione.
Tuttavia la preoccupazione principale del disegno di riforma è rivolto ai bisogni dei pazienti, non alle richieste economiche dei medici. In pratica il nuovo medico di famiglia dovrà essere a disposizione non solo dei propri assistiti, ma anche rispondere alle necessità di tutti i pazienti della zona in cui opera. In questo modo verrà garantita ai cittadini la presenza di un medico di famiglia durante l’intera giornata e tutta la settimana. Il luogo di lavoro privilegiato sarà nelle Case della Comunità, ma anche in altri ambulatori pubblici che le Regioni dovranno mettere a disposizione per assicurare la capillarità dell’assistenza: nessun Comune, neppure il più piccolo, dovrà rimanere sguarnito.
Così, contrariamente a quanto sostengono i detrattori della riforma, i pazienti non dovranno rinunciare al proprio medico di fiducia, ma vedranno la sua attività affiancata a quella di altri colleghi. Potrebbe essere la soluzione a quello che sta diventando un problema drammatico, cioè la scarsità di medici di base, dovuta alla sciagurata mancata programmazione degli anni scorsi.
L’esperienza degli anni della pandemia Covid, inoltre, ha aumentato la sfiducia nei confronti dei medici di base, visti come meri esecutori di protocolli, e troppo spesso scarsamente reperibili e disponibili alle visite. È importante che si recuperi un tipo di rapporto fiduciario tra medici e pazienti, in particolare perché la popolazione diventa sempre più anziana, fragile, e bisognosa di cure.
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