Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
i venerdì della bussola

L'utopia vaccinista alla prova dei dati, questione di verità

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La narrativa delle virostar e gli errori della campagna vaccinale al centro della diretta del 13 settembre con Paolo Bellavite. Per non lasciare che la politica entri a gamba tesa nel dibattito scientifico.

Attualità 14_09_2024

Ripartono “i venerdì della Bussola” con la diretta del 13 settembre sul tema Non ci ha salvati il vaccino, titolo dell’omonimo libro (della collana “I libri della Bussola”) del professor Paolo Bellavite, ricercatore e già docente di Patologia Generale presso l'Università di Verona, intervistato da Andrea Zambrano.
Titolo volutamente provocatorio nel senso migliore del termine, ovvero di suscitare la discussione, dal momento che «la scienza non è un totem», ma «è discutere, porre dubbi». Cosa che Bellavite ha fatto sin da prima della campagna vaccinale, esponendo dati e dubbi, anche attraverso una serie di articoli su La Bussola, oltre che in una trasmissione su La7 che nel 2021 gli costò la revoca dell’incarico di ricercatore da parte dell’ateneo veronese.

Non ci ha salvati il vaccino riprende inoltre «la narrativa delle virostar»: all’inizio del 2021 Fabrizio Pregliasco dichiarava: «Solo il vaccino ci salverà». Ma sin dall’anno precedente, l’allora ministro Roberto Speranza «disse che saremmo rimasti in lockdown finché non fosse arrivato il vaccino salvatore». «Un approccio assolutista, si sarebbe potuto parlare anche delle cure», osserva Bellavite, il quale all’epoca su La Bussola aveva ricordato due parametri per valutare un vaccino: sicurezza ed efficacia. In base agli studi clinici pubblicati nel dicembre 2021, spiega, «sospettai che questo famoso 95% di efficacia potesse derivare da alcuni artefatti sperimentali», tra cui il fatto che «quelli che avevano testato il vaccino avevano ricevuto un prodotto molto forte come concentrazione, mentre quelli che avevano testato il placebo avevano ricevuto solo la salina». Probabilmente i primi «sapevano di aver ricevuto il vaccino proprio per gli effetti avversi». Un test in cui uno dei due gruppi riconosca facilmente cosa gli è stato somministrato, nota Bellavite, è un’anomalia. Secondo punto, «un’efficacia molto strana rispetto alla comparsa dei sintomi: non avevano neanche fatto i tamponi per vedere se le persone avevano ricevuto un’infezione». Altro aspetto riguardo all’efficacia in termini di «vite salvate» («e non semplicemente di qualche sintomo»): «nei due gruppi, cioè il placebo e il vaccino, non c’era nessuna differenza». Ancora un errore tecnico, ripercosso nella comunicazione: «si dava un’efficacia del 95%, che era un’efficacia relativa» alla differenza col placebo, «ma non si parlava dell’efficacia assoluta», di quale rischio avrebbe eliminato il vaccino. «Questo rischio era dell’1%, non del 95».

La questione chiama in causa, a monte, la stessa natura e i metodi della scienza: «C’erano problemi tecnici che ho messo in luce perché credo che la scienza sia tale proprio in quanto capace di discutere, di porre dubbi, domande», afferma Bellavite, ricordando che già allora «si vedeva che non era la scienza a guidare le discussioni». Nella trasmissione su La7 «dimostrai, numeri alla mano, che i danni da vaccino erano sottostimati di circa cento volte. Ma questi numeri venivano fuori da studi scientifici, non erano mie idee», tant’è che le autorità accademiche si scagliarono contro Bellavite in nome della «fiducia nei vaccini».

Tuttora, «continuano a uscire articoli a favore o contrari, con dati epidemiologici di diversa natura: a seconda di come li si vede i dati possono dire una cosa o l’altra»; a riprova del fatto che «la scienza è aperta in realtà», almeno al livello della letteratura scientifica, non di quello «della comunicazione e della politica». Al riguardo cita i tentativi di togliere la clausola relativa allo studio sui problemi dei vaccini dalla legge che istituisce la Commissione di inchiesta parlamentare sul Covid. Malgrado la Commissione abbia tra i suoi scopi anche la verifica di quanto accaduto durante la campagna vaccinale, «l’aspetto politico è entrato a gamba tesa nel dibattito scientifico», ricorda Zambrano, all’insegna del draghiano: «Non ti vaccini - Ti ammali – Muori», assimilato anche dalle gerarchie ecclesiastiche che per Bellavite avrebbero potuto invece «invocare maggiore libertà e il diritto all’obiezione di coscienza». Cosa che lui stesso e altri medici cattolici hanno chiesto in una lettera al Santo Padre.

A sollevare domande, in un clima dominato dalla paura (di ammalarsi, di contagiare o di perdere il lavoro), c’è stato «un popolo che protestava. Un popolo fatto di vaccinati, di non vaccinati, di vaccinati danneggiati», che chiedeva «maggiore libertà soprattutto sull’obbligo vaccinale e sul green pass». «Se non mi vogliono in università, le cose le racconto a voi», disse Bellavite, scendendo a sua volta in piazza, «sui vantaggi e svantaggi dei vaccini e anche su come si potrebbe curare questa malattia». Tra i vari eventi cui ha partecipato, un “No Draghi Day” curiosamente intitolato: La piazza contro la pazzia, «un gioco di parole piazza/pazzia, perché si era arrivati a un livello di ossessione vaccinale e anche di paura di questi contagi», mentre «scendere in piazza era anche un conforto», tanto più in un periodo in cui si predicava il distanziamento a oltranza. Incontri con varie realtà (tra cui la Bussola, il Comitato Ascoltami o l’Osservatorio Van Thuan) che hanno dato impulso anche alla ricerca, attraverso la Commissione tecnico-scientifica indipendente e il gruppo InfoVax guidato dal dottor Alberto Donzelli.

«Ma nessuno ha chiesto scusa», osserva uno spettatore intervenuto durante la diretta – il che, aggiunge un altro, «fa pensare che nell’eventualità di un’altra crisi sanitaria si possano ripetere le stesse ingiustizie». Insomma, chiede Zambrano, «la paura di nuove emergenze su cui far leva» è divenuta un metodo politico? In realtà, risponde Bellavite, «è un insieme, non è solo politica ma un’ideologia diffusa» e non riguarda solo «eventuali altre pandemie» né la questione «vaccini sì o no», ma la democrazia, la scienza, l’informazione, l’andamento del mondo in generale dominato da tendenze di stampo globalista. «La questione vaccinale è cruciale ma non è l’unica» e non occorre essere complottisti per notare che a spingerla sono state le stesse «persone che hanno proposto un reset mondiale anche in economia» facenti capo al WEF di Davos.

Quanto al futuro, una maggiore consapevolezza c’è tra la gente più che nelle autorità. «Basti vedere che gli ultimi richiami non li ha fatti nessuno, nonostante abbiano spinto al massimo». E un altro elemento di speranza è che «il popolo italiano è resistente al totalitarismo». In breve, «non ottimisti, ma speranzosi», conclude Bellavite, ricordando che il monito di San Paolo a non conformarsi alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2) non vale solo per i vaccini, ma anche per l’etica o la guerra, e dovremmo averlo nel dna.
 



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