Lo statalismo climatico entra nella Costituzione
L’8 febbraio 2022, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge di riforma costituzionale che introduce importanti modifiche agli articoli 9 e 41 della nostra Carta fondamentale. L’ingresso dell’ideologia verde al livello più alto della legislazione italiana iscrive un’ipoteca molto pericolosa per il nostro futuro.
- TRANSIZIONE VERDE di Ernesto Pedrocchi
Le recenti modifiche introdotte agli artt. 9 e 41 della nostra Costituzione sono già state trattate in questa sede da Eugenio Capozzi. Non sono una bella notizia, e stupisce che siano passate praticamente all’unanimità (1 solo voto contrario) e nel disinteresse generale. Vale la pena, quindi, rammentarle e aggiungere alcune considerazioni ulteriori.
Nella versione originaria dell’art. 9 della Costituzione – che rientra nella sezione dei princìpi fondamentali, e quindi particolarmente rilevanti –, comparivano i seguenti due punti: «1. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. 2. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Ora è stato aggiunto un terzo comma, che recita così: «3. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
Tali modifiche segnano un allontanamento dalla precedente visione “culturale”, centrata sull’uomo e sulla famiglia secondo la prospettiva antropocentrica giudaico-cristiana – nella quale il mondo è stato donato all’uomo, fatto «a immagine e somiglianza» di Dio (Gn 1,26-27) «perché lo lavorasse e lo custodisse» (Gn 2,15) –, per andare verso una vaga prospettiva “biocentrica”. Sfuma così la visione gerarchica del “creato”, ridotto a mero “ambiente”, in una prospettiva antispecista: l’uomo diviene una delle tante specie che abitano il pianeta, al massimo un primus inter pares. Nel nuovo dettato costituzionale, infatti, il focus si sposta sulla «tutela dell’ambiente e degli animali», implicitamente “dall’uomo”, considerato come una potenziale minaccia per l’equilibrio naturale, dando alla politica il compito di preservarlo immutato, quasi fosse un parco naturale o un museo. L’uomo non è più il “sub Creatore” di cui parlava il celebre scrittore inglese, John Ronald Ruel Tolkien (1892-1973), chiamato a contribuire con la sua intelligenza e la sua libertà al piano divino della creazione, ma un possibile elemento di disturbo: non pago di consumare risorse, l’uomo si permette anche di emettere anidride carbonica e di turbare un equilibrio che, in sua assenza, sarebbe invece perfetto. Il nuovo dettato costituzionale è all’insegna dell’“ecologicamente corretto”, diventato il pensiero unico dominante nel nostro mondo: nella sua vaghezza consentirà al legislatore ordinario, alla giurisprudenza e all’esecutivo di turno, in tesi, di imporre sacrifici assurdi sull’altare di Gaia, sia sul piano del benessere materiale sia su quello della libertà, non solo economica.
La nuova “religione civile” della “sostenibilità” ambientale in salsa Onu è ben rappresentata dalle posizioni deliranti del Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, che ha definito l’essere umano «biologicamente» come «un parassita perché consuma energia senza produrre nulla», in un mondo «progettato per tre miliardi di persone»: non è chiaro da dove il ministro della transizione ideologica – viste le sue dichiarazioni andrebbe chiamato così – abbia tratto tale informazione, e soprattutto che cosa proponga di fare con i circa 5 miliardi di «parassiti» in eccesso. Il nuovo riferimento costituzionale a un supposto e non meglio precisato «interesse delle future generazioni» appare poi paradossale alla luce del suicidio demografico in atto nei Paesi sviluppati. Tale folle visione è opposta per diametrum all’autentica «ecologia umana» proposta da Papa Benedetto XVI nel discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011: occorre rispettare innanzitutto la natura dell’uomo, e conseguentemente anche il creato.
Per quanto riguarda poi l’art. 41 della Carta fondamentale – che rientra nella parte dedicata ai «diritti e doveri dei cittadini», nel Titolo III dei «rapporti economici» –, vengono inseriti alcuni incisi nei commi 2 e 3 (in grassetto nel testo): «1. L’iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». Occorre evidenziare che il testo costituzionale – frutto di un compromesso in Assemblea costituente tra più istanze: liberali, cattoliche, marxiste – già prima delle recenti modifiche conteneva degli elementi suscettibili di interpretazione in senso più o meno “dirigistico” e lato sensu “socialista”, come la storia economica del secondo dopoguerra ha ampiamente dimostrato. A tali pesanti ipoteche “sociali” originarie, si aggiungono ora nuove ipoteche “ambientali”, con un’ulteriore minaccia per la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata. Il nuovo testo costituzionale, ad esempio, consentirà di varare leggi che mettono fuori mercato abitazioni con classe energetica ritenuta “troppo” bassa, come già si fa con i veicoli ritenuti “troppo” inquinanti, come anche l’imposizione di tasse pesanti per frenare quei consumi giudicati poco “verdi”, per via di emissioni di CO2 ritenute eccessive; e chissà cos’altro in futuro, magari la chiusura di interi comparti produttivi o anche l’imposizione di nuovi lockdown, giustificandoli con nuove “emergenze”, climatiche o energetiche che siano.
Le novità introdotte aumentano quindi i rischi pianificatori, di derive dirigistiche e di controllo, con gravi falsificazioni della concorrenza: c’è da scommettere che il capitalismo clientelare, sempre a caccia del denaro dei contribuenti grazie alle collusioni col potere politico e sindacale, ne approfitterà per nuovi “assalti alla diligenza” della spesa pubblica, a partire dai piani di investimento pubblici previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (a debito e spesati su tutti i cittadini); ma anche dei risparmi privati, convogliati dalla cosiddetta “finanza sostenibile” ESG (acronimo di Envinronmental, Social, Governance) a trazione Onu, secondo metriche del World Economic Forum di Davos. Nel mentre, altre industrie ritenute poco strategiche chiuderanno i battenti, in specie piccole e medie imprese che si è deciso di “liquidare” progressivamente con un processo di “distruzione creatrice”, non certo frutto di un leale confronto di mercato per selezionare i migliori ma con decisioni politiche prese dall’alto.
Tanti tasselli di un progetto di reset globale dei sistemi sociali, economici e politici, in veloce fase di implementazione grazie all’«opportunità», come dice il leader del WEF, Klaus Schwab, fornita dalla confusione e debolezza del sistema sociale, economico e politico post-CoViD (e ora gravemente accentuata dal conflitto in corso in Ucraina). Gli utili saranno privati, o meglio di alcuni privati, mentre i costi saranno pubblici, sulle spalle di tutti i consumatori e contribuenti: le famiglie della classe media e medio-bassa, insomma, pagheranno – anzi, stanno già pagando – il conto dell’avventurismo ideologico ecologista che tanto male ha provocato e provocherà al mondo, al nostro Paese così dipendente dall’estero per gli approvvigionamenti energetici, alle industrie più “energivore” e alle famiglie italiane strangolate dai forti rincari dei prezzi.
Considerando l’esplosione dei prezzi delle materie prime con l’inizio del conflitto in Ucraina – già in forte rialzo prima delle ostilità a causa, in particolare, dei costi della transizione ecologica (il cosiddetto green premium di cui ha parlato Bill Gates) –, si dovrebbe imporre con realismo un’urgente revisione delle priorità, nella prospettiva della “sicurezza energetica” dell’Italia e dell’intero continente europeo. A tal proposito, l’8 marzo 2022 la Commissione europea ha varato il piano REPowerEU, nella prospettiva «di rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, a cominciare da gas, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia». Il vicepresidente della Commissione, Franz Timmermans, ha dichiarato: «buttiamoci nelle energie rinnovabili alla velocità della luce […]. La guerra di Putin in Ucraina dimostra l’urgenza di accelerare la nostra transizione energetica pulita».
Il tema della sicurezza, vista la forte dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, è giustamente centrale e strategico, e stupisce che non sia stato preso in considerazione negli anni passati, neppure dopo l’occupazione manu militari e la conseguente annessione della Crimea da parte della Russia nel lontano 2014. Il rischio, tuttavia, è che la Commissione e i governi europei, spinti dalle lobby verdi, vogliano approfittare della nuova crisi per accelerare ulteriormente nella “transizione ideologica” in atto. Che si accompagnerà, inevitabilmente, a un’ulteriore avanzata del perimetro di intervento statale (con un mix di bastone e carota) e quindi un rafforzamento anche del capitalismo clientelare, che beneficerà di questo «stato di eccezione permanente».
La nostra Costituzione è stata perfettamente allineata all’agenda dello statalismo climatico: ora, la palla passerà al legislatore ordinario, all’interpretazione della giurisprudenza e all’esecutivo. Il conto di tale ostinazione lo pagheremo tutti, col portafoglio e con restrizioni alla libertà: proseguendo di questo passo, gli anni Venti di questo secolo, tutt’altro che ruggenti, potrebbero vedere l’evaporazione della classe media, segno evidente dell’avanzata del nuovo “socialismo liberale”, tinto di verde. Green is the new Red.