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ECOLOGIA UMANA/3

L'utopia del Green Deal unisce finanza e anticapitalisti

Gli obiettivi ambiziosi della de-carbonizzazione non sono raggiungibili, realisticamente, entro i termini previsti. Ma costeranno molto a chi proverà a raggiungerli. E allora perché, con tenacia, il mondo intero ha imboccato la strada della lotta al cambiamento climatico, con questi metodi? Per una inedita coalizione di poteri molto forti. 

Creato 16_03_2022
Manifestazione per la Cop26

La strategia degli organi dell’Onu preposti alla analisi e sorveglianza del cambiamento climatico (Ipcc e Unfcc) è quella di perseguire il processo di decarbonizzazione proponendo ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni antropiche di CO2 e in una continua fuga in avanti si arrivati a proporre che nel 2050 (Green New Deal) si debba far a meno dei combustibili fossili che ora coprono l’80% del fabbisogno mondiale.

Questo obiettivo, pensando di soddisfare l’attuale fabbisogno energetico, coperto da combustibili fossili con le fonti rinnovabili eolico e solare fotovoltaico comporterebbe di mettere in funzione ogni giorno, da ora ad allora, 6mila grandi pale eoliche o 60km2 di pannelli fotovoltaici. Anche con un mix di queste due fonti l’obiettivo non sarebbe certo raggiungibile. Questi numeri anche tenendo conto dei rinvii a dopo il 2050 richiesti e di fatto ottenuti a Glasgow da Cina ed India non lasciano spazio a illusioni sulla realizzabilità della decarbonizzazione basata su eolico e fotovoltaico. È chiaro come calcoli di questo tipo siano affetti da notevole incertezza perché non tengono conto dello sviluppo tecnologico e del contributo delle altre fonti rinnovabili, alcune già in parte sfruttate ed altre poco promettenti, ciò non di meno permettono di stimare l’ordine di grandezza del problema e mostrare la irrealizzabilità pratica dell’obiettivo del Green New Deal.  Non c’è neppure speranza di progresso delle rese di questi dispositivi perché potranno un poco migliorare, ma sono già prossime al limite fisico teorico.

 UE, Nord America e Australia hanno una responsabilità storica nei confronti del resto del mondo, visto che gran parte delle emissioni passate sono dovute a loro, ma sarebbe ingenuo ignorare che gran parte delle emissioni future arriveranno da Paesi, alcuni dei quali già sulla via di un tumultuoso sviluppo ed altri tuttora sotto sviluppati ma che giustamente rivendicano il proprio diritto a svilupparsi. I Paesi più in ritardo in termini di sviluppo economico hanno inviato a Glasgow delegazioni numerose per sostenere la richiesta di compensazioni per i danni subiti in conseguenza delle emissioni passate e ritengono scontato che la decarbonizzazione debba riguardare solo i Paesi sviluppati. Come esempi le Isole Marshall con una popolazione di 60mila abitanti hanno inviato 35 delegati, gli Usa con una popolazione di 320 milioni hanno inviato 169 delegati, come il Ghana che ha una popolazione di 41 milioni.

È certo che i Paesi per svilupparsi devono disporre di energia sicura, affidabile e basso costo e ciò a breve si può ottenere solo con i combustibili fossili (la fonte energetica più conveniente). I Paesi più sottosviluppati rivendicano da quelli sviluppati delle compensazioni per le emissioni passate. Si parla di un centinaio di miliardi di euro all’anno, ma c’è il rischio che i compensi richiesti e che certamente saranno almeno in parte ottenuti serviranno ad alimentare il cattivo sottogoverno con viaggi premio alle future Cop (conferenze sul clima, ndr) di molti loro delegati. Non si comprende, ad esempio, come mai non si prenda in considerazione la costruzione di grandi impianti idroelettrici che potrebbero dare un contributo importante, specialmente nei Paesi in via di sviluppo e che potrebbero associarsi al controllo idrogeologico del territorio e come riserve d’acqua per all’uso agricolo.

 È pure incomprensibile l'ostracismo verso la fonte nucleare che, pur nel turbine di una gigantesca campagna di disinformazione, dà un contributo al fabbisogno energetico doppio di quello delle fonti solare fotovoltaico ed eolico e potrebbe dare un importante contributo al taglio delle emissioni di CO2.

Cosa ci può essere dietro? Il principale interesse a monte di questa strategia dello “stato di paura” legato al cambiamento climatico, a cui si associa artificiosamente ogni avversità che accada sul pianeta, è probabilmente politico: l’aspirazione di riuscire ad avviare una Governance mondiale con l’obiettivo nobile di lottare contro le diseguaglianze. La lotta alla povertà ha una sua grande valenza ed è importante che venga perseguita indipendentemente da altri obiettivi; volerla quindi legare all’Agw (riscaldamento globale di origine antropica, ndr), le cui criticità sono state precedentemente descritte, rischia di risultare controproducente.

Al momento la lotta al Agw si configura in una penalizzazione di Nord America ed Europa, ma la decarbonizzazione ha fatto subito sviluppare il settore delle energie rinnovabili (Carbon Free Economy Cfe) che risulterà molto costoso a vantaggio di grandi imprese nei Paesi sviluppati e molto probabilmente della Cina che ha sfruttato l’opportunità di non sottostare a vincoli di emissioni di CO2. La decarbonizzazione non andrà a vantaggio dei Paesi poveri che, come detto, hanno bisogno di energia sicura, affidabile e a basso costo e dovranno riuscire a realizzare reti elettriche che coprano tutti i luoghi abitati e a disporre di sistemi di trasporto affidabili per poter sperare di raggiungere una discreta prosperità. Puntare allo sviluppo delle energie rinnovabili impedendo l’uso dei combustibili fossili rischia di tradursi nella costruzione di un’infrastruttura energetica inadeguata con un enorme spreco di risorse. È evidente che al punto a cui si è ora arrivati l’interesse principale è quello di tutti gli operatori coinvolti nella Cfe e non sarà facile fermarli.

C’è un’anomala alleanza dietro all’ipotesi dell’Agw: Ambientalisti puri nostalgici che pensano che le energie rinnovabili possano sostituire i combustibili fossili e che rifiutano a priori il nucleare. Altri ambientalisti più attenti e aggiornati hanno capito che quella delle fonti rinnovabili non è la strada giusta (M. Schellenberger, M.Moore ed altri). Il Papa che pensa così di poter combattere la povertà, (obiettivo lodevole ma che non ha bisogno di legarsi all’ipotesi dell’Agw). I Paesi poveri che rivendicano compensazioni per i fantomatici danni subiti a seguito del cambiamento del clima causato dai Paesi ricchi. Si noti che molti di questi Paesi sono nella zona equatoriale e in parte nell’emisfero sud in cui si è sentito meno il cambiamento climatico. Buona parte del mondo della finanza che pensa di riuscire a dare una mossa all’economia con nuove produzioni (energie rinnovabili e tutto ciò che può contribuire alla decarbonizzazione), a loro vantaggio e non certo per i Paesi poveri. La Cina che non crede alla natura antropica del cambiamento climatico, tanto che sta mettendo in funzione una centrale a carbone da circa 1000MW ogni settimana, ma che vede nell’isteria del mondo occidentale per l’Agw l’opportunità di un grande mercato per i propri prodotti: pannelli fotovoltaici, batterie al litio (sta monopolizzando le miniere di litio), auto elettriche ecc. L’anticapitalismo che non muore mai e cerca sempre un’alternativa per risorgere. I tanti che lavorano nell’ambito di tutte le attività legate alla lotta all’Agw.

Se tutti i soldi dilapidati in questi decenni per combattere l’Agw fossero stati impegnati per combattere la povertà l’avremmo fortemente ridotta. A maggior ragione questo vale per le prospettive future. Per quanto riguarda il rischio che cambiamenti del clima di natura antropica o naturale minaccino insediamenti umani con gravi pericoli per gli abitanti, la strategia corretta è quella dell’adattamento perseguita con efficacia dall’uomo in tutta la sua storia e che molto proficuamente si contrappone al contenimento delle emissioni antropiche di CO2 (strategia della mitigazione), valida solo se ci fosse certezza del legame fra clima globale ed emissioni antropiche e se tutti i Paesi la perseguissero, fatto evidentemente impensabile.