Lo Sposalizio di Maria e Giuseppe, una festa da reintrodurre
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Fino al 1961 la liturgia ricordava nella data odierna le nozze verginali dei due Santi Sposi, segno dell'unione e del connubio più perfetti che esistano: quelli di Dio e della sua Chiesa. Un messaggio di estrema attualità in tempi di crisi del matrimonio e della vita consacrata.
Fino al 1961, il calendario liturgico del Rito romano prevedeva per il 23 gennaio, tra le feste da celebrare in alcuni luoghi, lo Sposalizio della SS. Vergine. Il grande propugnatore di questa festa liturgica, che si diffuse più tardi tra alcuni ordini religiosi, in primis i Francescani, fu il cancelliere dell'Università di Parigi, Jean Charlier de Gerson (1363-1429), detto anche il Doctor Christianissimus, discepolo della figura gigantesca del cardinale Pierre d'Ailly (1350-1420), cui succedette alla carica di cancelliere nel 1395.
Il nome di Jean Gerson è fortemente legato a quello di San Giuseppe, perché il teologo e mistico francese impiegò numerose energie per approfondire teologicamente la figura del padre putativo di Gesù e diffonderne la devozione. Ne sostenne, per esempio, la santificazione in utero, in qualche modo analoga a quella del Battista; ma soprattutto si adoperò perché fosse riconosciuta e celebrata una festa liturgica in onore dello sposalizio del castissimo sposo con la santissima Vergine.
Nell'agosto del 1413, scrisse a questo proposito una lettera, l'Épître sur le culte de saint Joseph, indirizzata a tutte le chiese, in particolare a quelle dedicate alla Madonna sotto qualsiasi titolo. Fu la prima di una lunga serie di ripetute esortazioni per sensibilizzare il mondo cattolico, religioso e civile, ad una maggiore attenzione al culto verso San Giuseppe e specificamente nei riguardi del santo Sposalizio. Il 26 settembre dello stesso anno fece un'esortazione pubblica; il 23 novembre si rivolse al duca di Berry, chiedendogli di essere il primo a istituire questa festa; nello stesso periodo pubblicò le note Considérations sur saint Joseph; tra il 1414 e il 1417 pose mano al Josephina, un poema di circa tremila esametri latini ed oltre trecento note in due volumi, che passano in rassegna i misteri della vita di Cristo in relazione a San Giuseppe e introducono nella devozione cattolica l'idea di una “trinità” terrena, quella della Sacra Famiglia appunto.
A Gerson dobbiamo una riflessione di grande interesse sul senso del matrimonio verginale di Maria e Giuseppe. Nelle Considérations, egli sottolineava come in questo sposalizio «è significata l'unione della santa Chiesa a Gesù suo sposo, e dell'anima a Dio». Non è difficile riconoscere l'eco del testo fondamentale di San Paolo (cf. Ef 5, 25-32), che svela il mistero grande del matrimonio in riferimento al rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa; ma è di particolare rilevanza che l'espressione dell'Apostolo venga attribuita allo sposalizio di Maria e Giuseppe, quasi a rilevare in quest'ultimo un'esemplarità archetipica di ogni matrimonio.
La stessa enfasi la ritroviamo in un suo discorso pronunciato davanti al re, nel quale Gerson rendeva grazie «allo sposo verginale di Nostra Signora, San Giuseppe, il cui matrimonio fu segno dell'unione e del connubio più perfetti che esistano: quelli di Dio e della sua Chiesa. Dobbiamo onorare questo matrimonio verginale, questa unione sacra e sacrosanta, noi che desideriamo la pace e l'unione». Il contesto storico era quello della grande divisione della Cristianità, a causa del Grande Scisma d'Occidente; lo sposalizio di Maria e Giuseppe veniva richiamato per domandare pace e unione, ma ancora una volta, vediamo come questo matrimonio si elevi su ogni altro quanto alla capacità di significare l'unione tra Dio e la Chiesa, non solo per la santità morale dei suoi membri, ma anche per la sua caratteristica di matrimonio contratto tra un uomo e una donna cui Gerson sosteneva essere stato concesso il singolare privilegio della santificazione nel grembo materno, ossia di essere nati senza il peccato originale.
Oggi abbiamo la certezza che, nel caso della Vergine, si trattò di molto di più, ossia del singolare privilegio dell'Immacolata Concezione; nel caso di san Giuseppe, la Chiesa non ha un insegnamento uniforme e definitivo sulla sua santificazione nel grembo materno, né di un suo concepimento immacolato, sebbene un forte argomento sottolinei la convenienza almeno della sua santificazione in utero, dal momento che fu predestinato ad essere non solo il Precursore del Figlio di Dio, come San Giovanni Battista, del quale conosciamo con certezza la sua santificazione nel grembo della madre, ma addirittura il Padre putativo, perché sposo castissimo della sempre vergine Maria.
Facciamo un ulteriore passo in avanti: «Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già alle soglie dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si spande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della vita». Così San Giovanni Paolo II nella Redemptoris Custos (n. 7), citando San Paolo VI.
Il testo è notevole, perché riprende la grande idea teologica della “ricapitolazione” di Sant'Ireneo di Lione, inserendovi però questa volta lo sposalizio di Maria e Giuseppe. Ricordiamo che la ricapitolazione considera la redenzione degli uomini come un rinnovamento dell'ordine antico, sfigurato dal peccato. E dunque il primo Adamo è ricapitolato/rinnovato nel nuovo, Gesù Cristo, come la prima Eva lo è nella seconda, Maria Santissima, andando così a costituire una nuova coppia (Gesù-Maria) che rinnova e sostituisce l'antica (Adamo-Eva). L'inserimento della coppia sponsale Maria-Giuseppe va a riempire, potremmo dire, una lacuna del parallelo, perché il rapporto tra Gesù e Maria fu sì misticamente sponsale, ma nei loro rapporti umani fu quello tra madre e figlio. Era perciò conveniente che una coppia veramente sponsale sul piano umano inaugurasse i tempi nuovi, ricapitolando e superando l'antica coppia, che segnava l'esordio dei tempi antichi. Lo sposalizio di Maria e Giuseppe inaugura una “nuova creazione”: Dio conduce nuovamente all'uomo la nuova Eva (cf. Gen 2, 22), ma questa volta in un rapporto non solo esente da ogni concupiscenza, ma sovraelevato ad una verginità perpetua che sigilla e garantisce l'intervento diretto di Dio sia nel concepimento che nella persona che dovrà nascere.
Lo sposalizio di Maria e Giuseppe significa così l'unione di Cristo e della Chiesa più di ogni altro matrimonio della Nuova Alleanza e diviene archetipo sia del matrimonio che della verginità consacrata e del celibato. La mancanza della consumazione non toglie affatto la reciproca donazione completa degli sposi, i quali divengono realmente padroni del corpo del coniuge, ma per custodirne l'integrità al servizio di Dio; la loro unione mantiene così la nota della custodia della verginità, caratteristica del rapporto tra Cristo e la Chiesa, senza sacrificare una vera fecondità, che Dio concede in una modalità misteriosa, superiore a quella pensata nella creazione. È in questo sposalizio che Dio ha dunque posto le origini della vita cristiana, espressa sia nella forma della vita matrimoniale, sia in quella della verginità per il Regno dei Cieli. Davvero, «questo mistero è grande!».
E, data la crisi radicale sia del matrimonio che della vita consacrata, potrebbe essere una grande grazia reintrodurre questa festa nel calendario liturgico. Ma questa volta non solo per qualche ordine religioso, ma per la Chiesa universale, perché dove abbonda il peccato, sovrabbondi la grazia.
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