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L'INTERVISTA/DANIEL PIPES

L'inverno demografico rende l'Europa un pezzo d'Africa

Daniel Pipes, giornalista e politologo statunitense, non è ottimista sul futuro dell'Europa. Immigrazione dall'Africa e islamizzazione stanno trasformando il Vecchio Continente. E non in meglio. Causa: l'inverno demografico. Complici: le "6P", cioè le sei classi intellettuali e politiche che costituiscono la nostra classe dirigente. 

Attualità 12_10_2022
Daniel Pipes

Giornalista, scrittore, politologo e docente universitario statunitense, specializzato in politica internazionale (specie di Medio Oriente) e antiterrorismo, Daniel Pipes ha ricoperto incarichi di responsabilità durante la presidenza di Bush figlio. Direttore del Council on Foreign Relations, ha  fondato il Middle East Forum. Il Boston Globe ha scritto, “Se si fosse dato retta alle ammonizioni di Pipes, non ci sarebbe mai stato un 11 Settembre”. Il Wall Street Journal lo ha definito “un autorevole commentatore di Medio Oriente”. L’MSNBC lo descrive come uno dei più noti “luminari politici di Medio Oriente”. Nel 2016, Pipes faceva notare come l’establishment fosse certo del fatto che tutto potesse andare per il verso giusto: i curdi sarebbero diventati lavoratori produttivi, i somali dei buoni cittadini e i problemi islamisti si sarebbero dissolti magicamente. Sei anni dopo, il mondo è cambiato, ma la più grande questione che l’Europa deve affrontare resta quella di sapere chi – establishment o la popolazione – determinerà il futuro del Continente.

Professore, dal momento che la popolazione autoctona europea continua a diminuire - e i tassi di natalità non fanno auspicare alcun tipo di ripresa - e intanto si prevede che quella africana triplicherà entro il 2100, l’Africa rappresenta il futuro dell’Europa?
Potrebbe esserlo a meno che qualcosa non cambi, e velocemente. Nel 1885, l’Europa (escluse Russia e Tracia turca) aveva una popolazione stimata di 240 milioni di persone, mentre l’Africa contava circa 100 milioni di abitanti. Oggi, il rapporto è di 600 milioni di europei contro 1,25 miliardi di africani. I demografi prevedono che nel 2050 la popolazione sarà rispettivamente di 600 milioni e 2,5 miliardi. Quindi, nel corso di 165 anni, l’Africa sarà cresciuta dieci volte più velocemente dell’Europa. Nel 2100 i numeri dovrebbero essere circa 500 milioni e 4 miliardi.

È un problema più per l’Europa o per l’Africa?
Secondo l’analista Stephen Smith, questa immigrazione è più un problema per l’Africa che per l’Europa, sulla base del fatto che i suoi talenti e i giovani stanno andando via. Io noto, invece, il problema d’invadere l’Europa con popoli di una cultura estremamente estranea a quella occidentale. A meno che non venga presto innalzata una barriera efficace contro l’immigrazione illimitata, l’Europa potrebbe trasformarsi in un’estensione dell’Africa.

Prima dell’attacco russo, gli ucraini, che hanno il reddito pro capite più basso d’Europa, non sarebbero stati i benvenuti. Poi improvvisamente lo sono diventati. Questo precedente indica crisi future che legittimano flussi migratori altrimenti considerati illegali?
La crisi ucraina è una grande eccezione perché gli ucraini sono europei. La grande maggioranza degli aspiranti migranti in Europa proviene da paesi extraeuropei e quindi non sarà accolta allo stesso modo. 

L’Italia è il Paese europeo più colpito dall’immigrazione illegale. Sebbene la Lega, quand’era al Viminale, sia riuscita a ridurre gli ingressi del 97%, i rimpatri sono rimasti un problema. Perché?
Come ha dimostrato Matteo Salvini, è relativamente semplice impedire l’ingresso di clandestini disponendo la polizia di frontiera, rifiutando le “navi taxi” piene di migranti illegali e inviando segnali forti a potenziali clandestini. Al contrario, il rimpatrio coinvolge le famiglie, il lavoro e il sistema giudiziario, rendendo lo stesso molto più costoso, complesso e spesso senza successo.

L’Isis e le altre organizzazioni terroristiche islamiche cercano di sfruttare l’immigrazione illegale per infiltrarsi in Europa. In che misura questo rappresenta un problema?
I jihadisti, travestiti da normali immigrati, sono stati coinvolti con successo in scontri violenti sia in Europa che in Nord America. Finché i migranti non controllati avranno accesso ai paesi occidentali, dovremmo aspettarci che questo schema continui tranquillamente.

Cosa pensa di una recente decisione della Commissione dell’Ue di promuovere l’hijab come simbolo di diversità e libertà?
È in linea all’attitudine, ormai tradizionale, di quelle che io chiamo le 6P: polizia, politici, stampa (press), preti, professori e pubblici ministeri. Vedono la cultura europea come moralmente inferiore a quella di altre regioni perché rea di razzismo, imperialismo e fascismo (come se questi orrori fossero limitati all’Europa!). Sono ansiosi di importare costumi che degradino la civiltà europea.

I leader europei sono complici o ignorano l’islamizzazione dell’Occidente?
Complici: le 6P accolgono favorevolmente l’islamizzazione. Denigrano il cristianesimo e l’ebraismo, ma accolgono e celebrano l’islam come la religione delle vittime virtuose.

Bat Ye'or ritiene le istituzioni europee colpevoli di promuovere l’islamizzazione incoraggiando l’immigrazione dai paesi musulmani e poi chiedendo il dialogo culturale. Lei è d’accordo?
Sì. Solo che lei vede questo processo come più organizzato e rilevante di me, ma questa è una piccola differenza.

Ci sono governi occidentali alleati con l’islam radicale?
In modi limitati, in determinati momenti e in alcuni luoghi, sì. Ad esempio in Libia e Turchia.

In Francia torna più che mai la questione del velo nelle scuole. Perché è importante che le ragazze indossino l’hijab?
L’hijab designa le ragazze come musulmane, le isola dagli altri  studenti e ne afferma la superiorità attraverso la presunta modestia del velo.

E perché così tanti politici e intellettuali insistono sul fatto che l’hijab è solo un innocente simbolo culturale, analogo al velo di una suora cattolica?
Perché è capace di erodere i costumi europei.

Considerata la crescita dell’antisemitismo musulmano, gli ebrei hanno un futuro in Europa?
Penso di no. In un blog che ho aperto nel 2004 e che non ho mai smesso di aggiornare - La vita ebrea in un’Europa sempre più musulmana -, documento una piccola parte dei travagli che gli ebrei europei stanno patendo, dal bigottismo all’omicidio. Ed è interessante notare come negli ultimi anni, gli europei non ebrei hanno iniziato a invidiare gli ebrei perché hanno un luogo in cui rifugiarsi. Michel Houellebecq, nel romanzo Soumission, fa dire alla fidanzata ebrea di un cristiano, che sta scappando da un governo islamista in Francia, che si trasferirà in Israele. Le risponde tristemente: “Non c’è Israele per me”.