Libia, pronto anche l'Egitto a scendere in guerra
Se le forze di Tripoli appoggiate dai turchi tentassero la conquista di Sirte e al-Jufra, l'Egitto interverrebbe direttamente con il consenso dei capi tribù della Cirenaica. Il Cairo non può accettare la minaccia turca al proprio confine. Intanto si intensificano le voci sui jihadisti siriani arrivati e in arrivo sulle coste italiane.
Si fa più concreta la possibilità di un intervento bellico dell’Egitto in Libia qualora le forze di Tripoli appoggiate dai turchi tentassero di conquistare le roccaforti di Sirte e al-Jufra in mano alle milizie dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.
Il 16 luglio, il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha incontrato i capi tribù della Cirenaica (la regione orientale libica controllata da Haftar) assicurando che “l’Egitto non rimarrà inerte di fronte alla minaccia diretta alla sicurezza nazionale”. Da parte loro, i leader tribali gli hanno dato il mandato di intervenire in Libia in caso di una offensiva verso Est da parte delle forze del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli.
Di fatto le tribù dell’est, preoccupate dal “ritorno” del dominio turco, hanno ottenuto la protezione del presidente egiziano che aveva definito Sirte e al-Jufra la “linea rossa” che i turchi non devono superare.
Al-Sisi aveva già avuto il via libera a un intervento militare sia dal Parlamento di Tobruk che dall’LNA ma lunedì è arrivata anche l’autorizzazione unanime del Parlamento del Cairo, che ha approvato l’invio di truppe in Libia “per difendere la sicurezza nazionale contro gli atti criminale e le milizie armate e gli elementi terroristi stranieri”, come ha riportato la stampa ufficiale egiziana.
Al-Sisi ha quindi le carte politiche in regola per dare il via a un intervento militare in Libia ritenuto però da molti analisti improbabile per i costi da sostenere e per le incognite che aprirebbe specie nei confronti della Turchia con cui il rischio di una guerra aperta diverrebbe tangibile.
In realtà la questione militare turco-egiziana va valutata nei suoi diversi aspetti. Le divisioni schierate dall’esercito egiziano al confine libico sono in grado di sbaragliare rapidamente le milizie di Tripoli, i mercenari siriani filo-turchi e i consiglieri militari che Ankara ha inviato in Libia. Un blitz convenzionale appoggiato dalle forze aeree e navali che Il Cairo è in grado di mobilitare sbaraglierebbero ogni resistenza e in pochi giorni conquisterebbero Tripoli.
I costi dell’operazione sarebbero per lo più a carico degli sponsor del Cairo, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, ma il prezzo da pagare comporterebbe il vantaggio di cacciare i turchi dal Mediterraneo Centrale: la flotta egiziana è del resto in grado di bloccare le navi turche che venissero impiegate per rifornire il GNA.
Certo dovrebbe trattarsi di un blitz rapido, non solo per limitare la durata del conflitto ma anche per mettere il mondo e soprattutto gli USA (che in Libia sostengono le posizioni turche) di fronte al fatto compiuto.
Inoltre anche i russi, molto vicini al Cairo, temono un blitz militare egiziano che metterebbe la crisi libica nelle mani degli arabi sottraendo influenza alla Turchia ma anche a Mosca, che oggi punta invece a un’intesa negoziale con Ankara per “congelare” quanto meno il conflitto.
Di certo Il Cairo non può accettare vicino ai suoi confini la presenza dei Fratelli Musulmani (movimento politico fuorilegge in Egitto ma molto radicato nel GNA e sostenuto da Ankara) e ha la necessità di ammonire duramente la Turchia, oggi alleata anche dell’Etiopia, ai ferri corti con l’Egitto per la questione delle dighe sul Nilo.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito le iniziative di Egitto e Emirati Arabi Uniti “illegali e inaccettabili”. “Continueremo a tenere fede a tutte le responsabilità che ci siamo presi. Non lasceremo soli i nostri fratelli libici, perché le nostre relazioni con la Libia sono vecchie di 500 anni. Siamo un governo legittimo che combatte contro i golpisti”, ha aggiunto il capo di Stato turco che ora non esclude “un nuovo accordo con Tripoli”.
Secondo Ahmed al Mismari, portavoce dell’LNA, la Turchia sta convertendo la città di Misurata “in una base per gestire le sue operazioni e sta portando ancora più mercenari e attrezzature militari in Libia”.
Misurata del resto costituisce la retrovia logistica per le operazioni del GNA contro Sirte e anche contro al-Jufra e nelle ultime settimane ha visto l’arrivo nel suo porto di mercantili carichi di armi e munizioni inclusi i carri armati M-60, mentre l’aeroporto è protetto da difese antiaeree missilistiche turche.
L’LNA avrebbe mobilitato per difendere Sirte e al-Jufra oltre 25 mila combattenti inclusi i contractors russi della società Wagner e mercenari ciadiani, sudanesi e siriani reclutati tra le milizie filo governative, mentre sul lato opposto della barricata i turchi avrebbero affiancato alle milizie di Misurata diverse migliaia di mercenari siriani arruolati tra le milizie anti-Assad.
Secondo un rapporto del Pentagono la Turchia ha inviato solo 3.800 mercenari siriani in Libia nei primi tre mesi del 2020: uomini a cui la Turchia avrebbe pagato stipendi e offerto la cittadinanza per combattere al fianco delle milizie del GNA.
Numeri decisamente più bassi di quelli rilevati dall’LNA (17mila mercenari) e dall’Osservatorio siriano per i diritti umani - Ondus - (15.300) anche se la stima del Pentagono si ferma a fine marzo mentre i flussi di mercenari dalla Turchia alla Libia sono continuati anche nei mesi successivi.
Curiosamente, benché i mercenari siriani provengano tutti da milizie turcomanne e jihadiste (Fratellanza Musulmana, qaediste e persino ex miliziani dello Stato Islamico), il rapporto del Pentagono afferma di non aver trovato alcun legame tra i mercenari siriani ingaggiati dalla Turchia e gruppi terroristici., osservando che l’afflusso di miliziani sia stato motivato da ragioni economiche più che dall’ideologia politica o religiosa.
Secondo l’Ondus Ankara paga 2mila dollari al mese i mercenari siriani più una assicurazione che risarcisce le famiglie in caso di morte o ferimento ma molte fonti in Europa e nel mondo arabo hanno evidenziato il rischio che tra i mercenari siriani in Libia vi siano jihadisti interessati a raggiungere l’Europa con i flussi migratori illegali.
La loro presenza in Libia è considerata una minaccia da diversi servizi segreti europei mentre l’LNA ha denunciato che decine di jihadisti arruolati dai turchi sono già sbarcati illegalmente in Italia.
Lo studio del Pentagono aggiunge che la Turchia avrebbe dispiegato in Libia anche un “numero sconosciuto” di militari regolari durante i primi mesi dell’anno. Secondo fonti libiche sarebbero almeno 1.500 i militari e i contractors turchi schierati per lo più a Tripoli, Misurata e nella base aerea di al-Watya.
Gli Stati Uniti sembrano preoccuparsi più della presenza in Libia dei contractors russi, stimati in oltre 3mila combattenti appartenenti alla società militare privata Wagner con una ventina di aerei da combattimento Mig 29 e Sukhoi Su-24, e schierati a supporto delle forze di Haftar.