L'Humanae Vitae: audace, profetica e sempre più attuale
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Dalla relazione sessuale escludendo i figli ai figli generati, anzi "prodotti", escludendo il sesso, fino a un futuro che a forza di manipolazioni farà a meno non solo della dualità maschio-femmina, ma dell'uomo stesso. Dalla deriva post-umana ci salverà solo un'antropologia integrale: ecco la perenne validità dell'enciclica di Paolo VI, nelle parole del cardinal Ladaria Ferrer.
Pubblichiamo l'intervento Humanae Vitae come enciclica audace e profetica. La sua rilevanza oggi del cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, intervenuto al Convegno “Il corpo è mio”. Humanae Vitae, l’audacia di una enciclica sulla sessualità e la procreazione organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune (Roma, 19-20 maggio).
Saluto ai partecipanti
Desidero salutare cordialmente la presidente della Fondazione in Spagna, la dott. Mónica López Barahona, e ringraziarla per l’invito a partecipare a questo congresso internazionale dedicato alla Humanae Vitae, organizzato dalla Cattedra internazionale di bioetica Jérôme Lejeune. Saluto inoltre tutti i partecipanti, augurando loro un felice soggiorno a Roma.
Introduzione
L’enciclica Humanae Vitae ha affrontato questioni relative alla sessualità, all’amore e alla vita, intimamente interconnesse tra di loro. Si tratta di questioni che coinvolgono ogni essere umano di qualunque epoca. Per questo motivo, il suo messaggio resta tuttora valido e attuale. Papa Benedetto XVI lo esprimeva con queste parole: «Quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi. La verità espressa nell’Humanae vitae non muta; anzi, proprio alla luce delle nuove scoperte scientifiche, il suo insegnamento si fa più attuale e provoca a riflettere sul valore intrinseco che possiede» (Discorso ai partecipanti al congresso internazionale nel 40° anniversario dell’enciclica Humanae Vitae, 10 maggio 2008).
Lo stesso Papa Francesco ci invitava, nella sua esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, a tornare a riscoprire «il messaggio della enciclica Humanae Vitae di Paolo VI» (n. 82), come una dottrina non solo da conservare, ma che ci viene proposta perché sia vissuta. Una norma che trascende l’ambito dell’amore coniugale e che è punto di riferimento per vivere la verità del linguaggio dell’amore in ogni relazione interpersonale.
L’audacia della Humanae Vitae
Si è insistito sull’audacia di Paolo VI nel resistere alle pressioni perché fosse approvato l’uso di anticoncezionali ormonali nei rapporti sessuali nell’ambito del matrimonio cattolico. Tuttavia, a mio modesto avviso, la vera audacia dell’enciclica risiede molto più in profondità. Essa è di carattere antropologico ed è, in tal senso, il fatto che questa enciclica ci può aiutare oggi ad affrontare le sfide antropologiche che si presentano nella nostra società.
Nel rispondere al problema dell’uso degli anticoncezionali, l’enciclica situa il suo giudizio morale in un’ampia prospettiva antropologica, con una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione divina (cfr. n. 7). L’enciclica fonda la sua dottrina sulla verità dell’atto di amore coniugale nella «connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (n. 12). Su questo fondamento si oppone all’antropologia dominante che considera l’essere umano costruttore di senso in virtù delle sue azioni. Nell’ambito della sessualità questo si traduce nella pretesa che l’uomo non può limitarsi a essere soggetto passivo delle leggi del suo corpo, ma che sia lui stesso a dare significato alla propria sessualità. È l’antropologia che antepone la libertà alla natura, come se fossero due elementi inconciliabili. Paolo VI avverte, tuttavia, che prima della libertà esistono alcuni significati, che l’uomo può cogliere grazie alla ragione, e che non è stato lui a scegliere, i quali regolano e orientano il suo comportamento. Se l’uomo è capace di riconoscere e interpretare i significati unitivo e procreativo dell’atto coniugale, realizzerà rettamente la propria esistenza portandola alla pienezza. Secondo l’enciclica, la natura non è in tensione con la libertà, semmai essa conferisce alla libertà i significati che rendono possibile la verità dell’atto di amore coniugale e ne permettono la piena realizzazione. Questa è, a mio avviso, la vera audacia dell’Humanae Vitae, che dà all’enciclica la sua radicale attualità.
Rifiutare l’enciclica non implica soltanto di accettare la moralità della contraccezione, ma di assumere un’antropologia dualista che vede nella natura una minaccia alla libertà, e che pensa di poter cambiare le condizioni di verità dell’atto coniugale manipolando il corpo. La possibilità di un amore che prevede il sesso ma non i figli, deriva in realtà da un sesso senza amore, che non ha solo prodotto una banalizzazione della sessualità umana, ma ha anche provocato una trasformazione della comprensione di ciò che è l’intimità sessuale e di ciò che sono, a livello sociale, i rapporti sessuali.
Solo così si spiega l’incapacità, presente nelle odierne società occidentali, di riconoscere le differenze morali tra l’unione sessuale di un uomo e di una donna e l’unione sessuale tra due persone dello stesso sesso. Se spetta alla persona dare senso alla sua sessualità, mediante i suoi liberi atti, allora non c’è problema nell’ammettere, per esempio, il rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso, dal momento che l’unica cosa che importa è che questa “unione affettiva” sia libera e consensuale. Così, in base a questa prospettiva, è la libertà a determinare la verità dell’azione. Non si ritiene necessario che l’atto umano, in questo caso l’atto di amore coniugale, risponda ad alcun significato preesistente o naturale o stabilito da Dio, ma solo che sia un atto libero. L’enciclica si oppose a questa antropologia e seppe anticipare i problemi scaturiti da essa con una visione profetica (n. 17).
L’aspetto profetico della Humanae Vitae: il corpo come problema
Il rifiuto dell’enciclica non ha solo intaccato la visione dell’amore e della sessualità ma anche la percezione del proprio corpo. L’antropologia anticoncezionale è un’antropologia dualista che tende a considerare il corpo come un bene strumentale, e non come una realtà personale. La frase che dà il titolo a questo congresso, “Il mio corpo mi appartiene”, riassume questo carattere strumentale del corpo, questo dualismo, che riduce il corpo alla mera materialità e pertanto a un oggetto passibile di manipolazione.
Questa reificazione del corpo non solo presuppone la perdita della verità dell’amore umano e della famiglia, ma ha generato un calo allarmante delle nascite e un incremento del numero di aborti. Dal rifiuto dei due significati, rivendicando la riduzione della natalità mediante l’uso dei contraccettivi, si è sviluppata la manipolazione artificiale della trasmissione della vita, mediante le tecniche di riproduzione assistita. Prima si è accettata una sessualità senza figli, poi la produzione di figli senza l’atto sessuale. La vita, una volta fabbricata, non è più considerata di per sé come un “dono”, ma come un “prodotto” cui si attribuisce un valore in funzione della sua utilità. Questa utilità, misurata in funzioni concrete, è ciò che attualmente viene definito “qualità della vita”. La qualità della vita si trasforma così in un concetto discriminante tra vite degne e vite indegne di essere vissute, che pertanto possono essere soppresse: aborti eugenetici, soppressione dei disabili, eutanasia di malati terminali, eccetera. Il tutto edulcorato da una certa “compassione” verso chi si trova in questa situazione (eliminando il malato), compassione verso i suoi familiari e verso una società che si libererà di costi inutili (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Samaritanus Bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali, 22 settembre 2020).
Questa manipolazione del corpo, propria del relativismo morale e presente nell’antropologia anticoncezionale, si riscontra in due ideologie attuali: l’ideologia del gender e il transumanesimo. Entrambe partono dalla premessa che non esiste alcuna verità in grado di limitare l’impiantarsi dei suoi postulati ideologici. Di nuovo la libertà è collocata in opposizione alla natura. Questa esaltazione della libertà, priva di relazione con la verità, fa sì che entrambe le ideologie presentino il desiderio e la volontà come garanti ultimi delle decisioni umane. Per questo la frase “Il corpo è mio” continua: “…e con esso faccio quel che voglio”. “Quello che voglio” esprime il solo desiderio come garante della decisione morale. Ma è esattamente il proprio corpo umano ad apparire come un ostacolo, un limite, alla realizzazione del desiderio.
Se l'ideologia del gender pretende che i cittadini costruiscano socialmente il proprio sesso, partendo da una supposta neutralità sessuale, si deve allora negare una verità antropologica di fondo come il dimorfismo sessuale (maschio e femmina) proprio della specie umana. Pertanto l’ideologia del gender nega che l’identità della persona sia in relazione con il suo corpo biologico: la persona non si identifica con il suo corpo (sesso), ma con il suo orientamento. Si cancella ogni relazione con il genere binario per proclamare la diversità sessuale.
Allo stesso modo, nel transumanesimo, la persona è ridotta alla sua mente, o meglio, alle sue connessioni neuronali quale fondamento della sua singolarità La singolarità è ora l’essenza della persona, senza il corpo, che la identifica e che si può trasferire a un altro corpo umano, a un corpo animale, a un cyborg o a un semplice file.
L’ideologia del gender e il transumanesimo sono manifestazioni di questa antropologia – rigettata dalla Humanae Vitae – che nega al corpo la sua dimensione personale, riducendolo a mero oggetto manipolabile. L’identità culturale, sociale e giuridica della persona non sarebbe intrinsecamente connessa alla sua mascolinità o femminilità. La sua identità personale si baserebbe ora sull’orientamento, cioè senza connessione con il proprio corpo e senza relazione con il corpo dell’“altro”, con il sesso opposto. È una antropologia che ha separato la vocazione all’amore dalla vocazione alla fecondità. In tal senso è fondamentalmente un’antropologia a-storica, che cerca solo il momento presente, un’antropologia del carpe diem.
In questa antropologia il cyborg appare come la sua piena realizzazione. Mediante il cybor si compirà la vera emancipazione biologica:
1.poiché renderà possibile la costruzione del corpo e del sesso attraverso la biotecnologia;
2. perché il cyborg permette un mondo senza riproduzione umana sessuale; un mondo senza maternità: il sogno del femminismo radicale.
Il cyborg proietta l’ideologia del gender verso un futuro post-gender e il transumanesimo mira a far sì che, attraverso il cyborg, che questo futuro sia post-umano.
La sola risposta possibile di fronte a queste ideologie passa per la riscoperta di una antropologia integrale della persona, come proponeva la Humanae Vitae, come unità di corpo e anima; un’antropologia capace di comprendere la pienezza e la libertà integrate con la natura umana. Solo così l’essere umano potrà essere sé stesso. Benedetto XVI lo esprimeva così nell’enciclica Deus Caritas Est: «L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità […] è l'uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l'uomo diventa pienamente se stesso» (n. 5).
Conclusione
Già Giovanni Paolo II fece notare, in occasione del 20° anniversario della promulgazione dell’enciclica Humanae Vitae, il suo carattere profetico: «gli anni successivi all’enciclica – disse Giovanni Paolo II – nonostante il persistere di critiche ingiustificate e di silenzi inaccettabili, hanno potuto mostrare con crescente chiarezza come il documento di Paolo VI fosse non solo sempre di viva attualità, ma persino ricco di un significato profetico» (Discorso ai rappresentanti delle conferenze episcopali nel XX anniversario della Humanae Vitae, 7 novembre 1988).
Il senso profetico dell’enciclica trova fondamento nella visione antropologica integrale di ciò che significa la verità dell’amore, della sessualità e della vita. Un’antropologia integrale che da un lato rifiuta il riduzionismo biologico del transumanesimo e dall’altro la negazione del corpo tipica dell’ideologia del gender. L’enciclica continua a essere valida perché è la risposta corretta del magistero alle antropologie dualiste che mirano a strumentalizzare il corpo e che non rappresentano nuovi umanesimi, post-moderni e secolari, bensì autentici anti-umanesimi. L’enciclica ci propone un’antropologia della totalità della persona, un’antropologia capace di coniugare libertà e natura.
Oggi si compie inoltre ciò che già l’enciclica aveva annunciato: «Si può prevedere che questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto: troppe sono le voci, amplificate dai moderni mezzi di propaganda, che contrastano con quella della Chiesa. A dir vero, questa non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin Fondatore, "segno di contraddizione", ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica» (Humanae Vitae, n. 18). Anche noi, nel mondo in cui viviamo, siamo chiamati a essere “segno di contraddizone” proclamando con umiltà e fermezza la verità dell’essere umano, dell’amore, della sessualità e della vita.
Auspico che questo congresso contribuisca a rendere testimonianza a questa verità. Grazie.
* Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede