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Larghe intese, Renzi e Berlusconi alla scuola tedesca

L'accordo di governo tra centrodestra e socialdemocratici in Germania potrebbe diventare il modello di riferimento anche in Italia, ma è ben difficile che Forza Italia e Pd abbiano da soli i numeri per una operazione del genere. 
- DIBATTITO: LEGGI INGIUSTE, PERCHÈ DIMENTICARE LA 194?, di Marisa Orecchia

Politica 09_02_2018
Merkel e Schulz

Dopo la Germania toccherà all’Italia? E’ quanto si chiedono in tanti, all’indomani della formazione di uno storico governo di larghe intese a guida Merkel tra i partiti di centrodestra e i socialdemocratici di Martin Schulz. Se perfino nello Stato rigoroso e decisionista per antonomasia sbarca la Grande Coalizione, vorrà dire che a maggior ragione in una nazione come l’Italia, che da anni non registra la netta prevalenza di una parte politica sull’altra, nessuno si farà remore nel riproporre un esecutivo all’insegna della corresponsabilità tra le principali forze politiche di centrosinistra e centrodestra.

E’ quanto sotto sotto auspicano due dei principali competitor dell’attuale campagna elettorale italiana, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi: il primo è già sicuro di non poter vincere, anzi ha la certezza che il suo Pd nella migliore delle ipotesi sarà il secondo partito (dopo i Cinque Stelle, ormai irraggiungibili nei sondaggi); il secondo vuole scrollarsi di dosso lo scomodo alleato leghista e preferisce di gran lunga un nuovo Patto del Nazareno anziché un’alleanza con l’irrequieto Matteo Salvini e la baldanzosa Giorgia Meloni.

Ma in Germania i tempi di risoluzione dello stallo post-elettorale non sono stati brevissimi (4 mesi). L’intesa tra i popolari della Merkel e i socialdemocratici di Schulz era stata esclusa prima del voto ma è diventata irrinunciabile per evitare un ritorno repentino alle urne, con conseguenze non preventivabili. In realtà esiste un’ultima condizione sospensiva prima che il governo entri nel pieno delle sue funzioni. I circa 450.000 iscritti al Partito socialdemocratico dovranno esprimersi sull’accordo in un referendum che dovrebbe durare tre settimane. Dunque solo tra un mese si saprà con certezza se la Grande coalizione in salsa tedesca decollerà.

Mentre sulla suddivisione dei ministeri le parti avrebbero trovato la quadra, su sanità e mercato del lavoro le distanze tra le due principali forze politiche tedesche rimangono enormi e ciò non lascia presagire nulla di buono, ma almeno in Germania, a differenza che da noi, i negoziati si svolgono in modo più trasparente e senza sotterfugi e patti sottobanco. O quanto meno gli eventuali accordi sotterranei non inficiano l’impianto complessivo dell’alleanza programmatica.

C’è però un link tra le larghe intese tedesche e le possibili larghe intese italiane e riguarda proprio il rapporto con Bruxelles. Filtra la voce di un allentamento dei vincoli di bilancio in Germania, con il nuovo esecutivo Merkel-Schulz intenzionato a non considerare più un dogma il rispetto di quei tetti imposti dall’Ue e di valutare la possibilità di sforarli.
Ciò offrirebbe anche a un eventuale esecutivo italiano di larghe intese uguali margini di manovra? Non è detto, stante la situazione del debito pubblico italiano, ben diversa da quella tedesca, e considerato che il mandato di Mario Draghi alla Bce è in scadenza, con tutte le incognite del dopo.

In ogni caso Forza Italia e Pd commissionano sondaggi in continuazione per valutare i frequenti sbalzi d’umore dell’elettorato e per misurare le concrete possibilità di costituzione di un esecutivo che li veda uniti in una sorta di “patto di legislatura”. Molto difficile che da soli i parlamentari eletti nelle file berlusconiane e quelli del Pd abbiano la maggioranza nei due rami del Parlamento. Quanto meno ci vorrebbero le stampelle dei centristi di destra (la famosa “quarta gamba”) e di sinistra (Casini, Lorenzin e altri). E non è detto che bastino.

Inoltre bisogna valutare quali effetti sortiranno i ripetuti appelli al voto utile rivolti in modo insistente da Pd e Forza Italia, timorosi di dover fare i conti dopo il voto con Liberi e Uguali (che per sedersi a qualsiasi tavolo negoziale per la formazione del governo chiederebbero subito la testa del segretario dem) e con la Lega (che farebbe pesare a Berlusconi il suo radicamento territoriale al nord, decisivo per la vittoria in molti collegi lombardi e veneti). Continuare a ripetere agli elettori che in caso di pareggio a tre (centrosinistra-centrodestra-Movimento Cinque Stelle) e di assenza di vincitori si tornerebbe alle urne per nuove elezioni, come se al Quirinale non ci fosse nessuno in grado di decidere, equivale a “ricattare” gli elettori timorosi di un’instabilità prolungata e i parlamentari che hanno dovuto versare nelle casse dei partiti cifre comprese tra i 10.000 e i 40.000 euro per ottenere una candidatura, molti dei quali, sia a sinistra che a destra, sarebbero fortemente tentati dalle sirene dell’inciucio, pur di evitare di doversi sottoporre nuovamente al giudizio degli elettori dopo soli pochi mesi.

La prospettiva che però Renzi e Berlusconi sembrano non aver messo in conto è quella di lasciare ai Cinque Stelle ampie praterie per condurre, da una posizione di forza (come primo partito), un’opposizione senza quartiere alle scelte politiche dell’eventuale governo di larghe intese. Una coalizione innaturale tra Pd e Forza Italia, con cespugli vari in grado di esercitare un discreto potere di interdizione, stanti i numeri risicati, rischierebbe di rivelarsi evanescente nell’azione di governo e di non riuscire a combinare molto. Il Paese potrebbe presto ritrovarsi nel caos dell’ingovernabilità e a quel punto i populismi avrebbero gioco facile nel rastrellare quei consensi che il 4 marzo magari non raccoglieranno ancora. L’ulteriore discredito dei partiti tradizionali porrebbe in altre parole le premesse per un successo dilagante degli anti-inciucisti nelle prevedibili elezioni anticipate.

 

- DIBATTITO: LEGGI INGIUSTE, PERCHÈ DIMENTICARE LA 194?, di Marisa Orecchia