L'alleanza suicida della sinistra con Hamas
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Un rapporto ambiguo, quello della sinistra con l’ideologia jihadista. Formalmente non c’è nulla di più distante dai progressisti di un movimento fondamentalista religioso. Ma anche in questo attacco a Israele, la sinistra di piazza si schiera con Hamas.
Un rapporto ambiguo, quello della sinistra con l’ideologia jihadista. Formalmente non c’è nulla di più distante dalla sinistra di un movimento fondamentalista religioso, quale è Hamas, che impone con la forza la sua visione apocalittica, puritana e militante, anche ricorrendo al terrorismo suicida perché pensa più all’aldilà che all’al di qua. La sinistra marxista ha sempre negato l’esistenza dell’aldilà e ha sempre mirato alla creazione di paradisi in terra. Come fa dunque a simpatizzare o quantomeno giustificare un movimento che ragiona solo in termini escatologici?
Il legame fra la sinistra e Hamas si è visto anche in questi giorni di guerra in Medio Oriente. C’erano tante bandiere rosse, di partiti come Potere al Popolo, quante erano quelle palestinesi. In Piazza Mercanti a Milano, c’erano immigrati ed esponenti della comunità palestinese, ma anche molti comunisti italiani che inneggiavano alla “Palestina libera, Palestina rossa”, come in tutti i 25 aprile.
La sinistra milanese è divisa, la giunta del sindaco Sala ha deciso di esporre sulla facciata del Comune la bandiera di Israele, in solidarietà con le vittime del terrorismo del 7 ottobre, ma anche quella della pace. Questo perché la maggioranza di sinistra è divisa e non poteva accettare, semplicemente, la solidarietà con chi è vittima del terrorismo islamico. Di qui è nato l’imbarazzante battibecco fra il sindaco e la comunità ebraica, con il primo cittadino che ha accusato Roberto Jarach, presidente del Memoriale della Shoah, di essere “di destra” che “usa questo momento per fare politica ed è la cosa più sbagliata che c'è”. Tutto questo quando 1500 civili israeliani, donne, bambini, anziani inclusi, sono stati barbaramente trucidati dai terroristi di Hamas.
Non è un problema solo milanese, poiché in tutte le manifestazioni italiane, nei collettivi studenteschi delle università e dei licei, bandiere rosse e bandiere palestinesi sono sempre apparse fianco a fianco. Non è solo un fenomeno italiano: in Francia, dove un insegnante è appena stato assassinato al grido di Allah Akhbar da un ex studente islamico ceceno, il leader dell’opposizione di sinistra, Jean-Luc Mélenchon, non ha neppure nominato l’islam. Ha deplorato l’uccisione di un insegnante, avvenuta a tre anni dall’assassinio di un altro insegnante, il professor Paty, ma senza menzionare la causa. Come se vi fosse un’ondata di violenza in cui giovani ex studenti uccidono senza scopo i loro docenti. Lo stesso Mélenchon non ha condannato l’attacco di Hamas contro i civili israeliani, si è limitato ad un discorso generico sulla “violenza che chiama altra violenza”, di fatto attribuendo la colpa alle vittime israeliane.
Negli Stati Uniti non va molto meglio. Il movimento di protesta afro-americano Black Lives Matter si è apertamente schierato con Hamas. Un meme di Black Lives Matter di Chicago raffigura proprio un paracadutista palestinese, uno di quei terroristi che, muniti di parapendio, hanno sparato sui ragazzi del festival Supernova Sukkot Gathering facendo circa 260 morti. Un meme di poche parole, solo il motto “Io sto con la Palestina”. Non si tratta di un errore di un amministratore fanatico, ma esprime la linea di quel capitolo di Black Lives Matter, che in altri post spiega “Non è solo una questione di Hamas, ma dei palestinesi che da 75 anni resistono agli israeliani che colonizzano la loro terra nativa”.
Un’organizzazione nazionale del movimento, Black Lives Matter Grassroots, si è schierata in modo ancor più esplicito contro Israele. Nessuna parola di solidarietà per le vittime civili dell’attacco di Hamas, ma solo dichiarazioni di sostegno ideologico alla “causa palestinese”: «Dobbiamo stare senza esitazioni dalla parte degli oppressi», spiegano sul loro profilo Instagram. Per rincarare la dose, il gruppo chiede al governo degli Stati Uniti di interrompere ogni finanziamento a Israele e usare lo stesso budget per “riparare i danni di guerra”. Black Lives Matter traccia un parallelo diretto fra la causa degli afro-americani negli Usa e quella dei palestinesi in Medio Oriente: «Mentre i neri continuano a lottare per porre fine al militarismo e all'incarcerazione di massa nelle nostre comunità, comprendiamo la resistenza in Palestina come un tentativo di abbattere i cancelli della più grande prigione a cielo aperto del mondo».
Benché il Partito Democratico si sia decisamente schierato (come l’amministrazione Biden) dalla parte di Israele, il mondo accademico di sinistra non lo segue. Nelle università americane più prestigiose, come Harvard, Yale, Berkeley, si moltiplicano le manifestazioni “per la Palestina” e cresce la preoccupazione degli studenti ebrei. Anche i collettivi dell’Università della Carolina del Nord hanno scelto la figura stilizzata del paracadutista di Hamas come simbolo della protesta pro-Palestina. Che svolta all’indomani del 7 ottobre assume un significato molto sinistro, di giustificazione quando non di apologia al terrorismo. Judith Butler, filosofa femminista di Berkeley, lo ha anche teorizzato: “Comprendere Hamas e Hezbollah come movimenti sociali progressisti, di sinistra, parte di una sinistra globale, è estremamente importante”.
Perché dei movimenti fondamentalisti religiosi sarebbero “movimenti progressisti”? I progressisti vogliono vedere ancora il mondo diviso fra primo, secondo e terzo mondo. Ragionano in termini di classi sociali. L’unica vera lotta è economica ed è condotta dai “poveri” (e di chi li rappresenterebbe) contro i “ricchi”, dagli oppressi contro gli oppressori. Gli arabi, soprattutto i palestinesi, nell’ultimo mezzo secolo, hanno incarnato l’immagine dei poveri del mondo, degli oppressi. Gli israeliani, che pure non navigano nel petrolio e neppure nell’oro, sono i “ricchi”, dunque oppressori, soprattutto perché alleati con gli Usa, prima potenza del mondo industrializzato. I progressisti non credono in Dio. Credono solo negli interessi economici. Sono dunque convinti che la religione (compreso l’islam) sia solo una sovrastruttura. Quel che conta è la lotta del povero oppresso contro il ricco oppressore, del Sud del mondo contro l’Occidente.
Questo finché i progressisti stessi non vengono assassinati dai fondamentalisti islamici. Nei Paesi in cui questi dominano, i socialisti e i comunisti spariscono. Fra gli israeliani massacrati da Hamas, il 7 ottobre, c’erano kibbutzim di sinistra, ragazzi israeliani ed europei che ballavano ad un rave party, sindacalisti, militanti anti-occupazione. Sono stati uccisi in quanto ebrei, perché “infedeli”. E anche i progressisti, atei o agnostici che siano, sono infedeli.