La svolta del governo Meloni, motivi di speranza
Difficile attendersi una rivoluzione da un governo che si è insediato solo il 22 ottobre scorso e ha avuto appena due mesi per preparare la manovra finanziaria. Ci sono motivi per sperare in un cambio di rotta su tasse, energia, ambiente, natalità. Anche se la crisi che viviamo è generazionale e non basta un governo a invertire la rotta.
Il Governo ha prestato giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo scorso 22 ottobre, con tempi strettissimi per definire la manovra finanziaria in tempi utili per evitare l’esercizio provvisorio. Sarebbe quindi ingeneroso avanzare critiche a un provvedimento preso in tempi record, per di più in un contesto di grave crisi energetica ed economica, di risalita dell’inflazione a livelli che non vedevamo da molti decenni, con un debito e una spesa pubblica, esplosi durante la gestione CoViD, che lasciano davvero pochi spazi di azione. Senza dimenticare i pesanti vincoli esterni, a partire dall’avanzamento degli impegni previsti con la Commissione Europea per potere accedere ai finanziamenti stanziati nel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Dopo dieci anni di governi tecnici, e almeno sessant’anni di statalismo clientelare, sarebbe ingenuo sperare di potere cambiare le cose dall’alto e in tempi rapidi, per poi imputare al nuovo governo mancanze in tal senso. Chi non vuole patire delusioni non si faccia illusioni, quindi. Dobbiamo innanzitutto rinunciare all’aspettativa che sia sempre il governo, qualsiasi governo, a “fare”: forse il primo dovere di un governo è proprio quello di “non fare”, nel senso di “non fare danni”, riconoscendo il proprio ruolo, e quindi i propri limiti, in ordine al bene comune. Come esempio negativo di cattive politiche viene in mente, ad esempio, la gestione scellerata dei lockdown dei governi precedenti, con limitazioni sproporzionate della libertà personale ed economica per seguire ideologicamente il modello cinese di tolleranza zero al CoViD, che hanno causato danni profondi al tessuto sociale ed economico, in specie alle piccole e medie imprese, a compensazione parziale e tardiva dei quali sono seguiti “ristori” costosissimi per il contribuente e le finanze pubbliche; per tacere di spese assurde tipo i banchi a rotelle e i monopattini elettrici.
Dal nuovo esecutivo possiamo però sperare, e quindi chiedere, che cerchi per lo meno di avviare un’inversione di tendenza. Il governo dovrà innanzitutto resistere alla lusinga di gestire il consenso con la spesa pubblica, che dovrebbe essere invece sottoposta a una revisione puntigliosa per cercare di ridurre sprechi, ruberie e clientelismo. Il taglio della spesa pubblica comporterebbe automaticamente una riduzione della pressione fiscale implicita, e creerebbe le condizioni per una progressiva riduzione della pressione fiscale anche esplicita, come ci si ripromette di fare con la flat tax, riducendo il perimetro di intervento statale e lasciando maggiori spazi ai corpi intermedi. Le sirene dello statalismo e del clientelismo saranno certamente tra i rischi da saper gestire, tanto più con la gestione dei fondi del PNRR col conseguente rischio di “assalto alla diligenza”.C'è da augurarsi che il nuovo esecutivo possa lavorare per molto tempo, ma senza sapere quanto resterà in carica né quanto durerà la legislatura sembra ragionevole chiedere, e accontentarsi, per lo meno di qualche segnale immediato e forte in contro-tendenza. Nella consapevolezza che siamo dentro una crisi generazionale, non solo economico-finanziaria, ma anche e soprattutto demografica e culturale, e nessun governo ha il potere di risolverla, neppure se lo volesse. Occorre una contro-rivoluzione culturale, a partire dalla famiglia, col recupero della sussidiarietà e della libertà economica, approfittando dei tempi e degli spazi consentiti dal mutato clima politico e dalla fase di sbandamento del Partito Democratico della sinistra. Ma tocca alla società civile, innanzitutto, recuperare la propria soggettività, senza attendere “soluzioni” salvifiche calate dall’alto.
Venendo alla Legge di Bilancio, senza alcuna pretesa di esaustività vanno evidenziati solo alcuni elementi che mi paiono degni di nota. Un punto importante, anche se soprattutto a livello simbolico, è stata la decisione di non abbassare la soglia dei pagamenti in contante da 2.000 a 1.000 euro dal 1° gennaio 2023, come sarebbe accaduto in assenza di decisioni, ma anzi di alzarla a 5.000 euro. La guerra al contante è una battaglia storica portata avanti principalmente dalle sinistre, da decenni, col pretesto di contrastare l’evasione fiscale e la criminalità organizzata. Colpire il contante è un sopruso perché il denaro appartiene alla res publica e non allo Stato, che ne falsifica sistematicamente il potere d’acquisto con politiche inflazionistiche per finanziare una spesa pubblica sempre più esorbitante; senza parlare dei rischi rappresentati dalle Divise digitali delle Banche centrali, in fase avanzata di studio, funzionali a una cashless society in cui svanirebbero i già angusti spazi di privacy e libertà economica.
Un altro segnale molto positivo riguarda la decisione del governo di arginare la deriva del reddito di cittadinanza, una misura assistenzialistica e clientelare alla base della creazione e del mantenimento del consenso elettorale del Movimento 5 Stelle. L’obiettivo è iniziare una fase transitoria che porti all’abolizione definitiva di tale strumento: come scritto nel sito del Mef, «dal 1 gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età) è riconosciuto il reddito nel limite massimo di 7 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. È inoltre previsto un periodo di almeno sei mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale. In mancanza, il beneficio del reddito decade come nel caso in cui si rifiuti la prima offerta di lavoro. Inoltre, la quota dell'assegno destinata all'affitto sarà pagata direttamente ai proprietari. Il reddito di cittadinanza sarà abrogato il 1° gennaio 2024 e sarà sostituito da una nuova riforma. I risparmi di spesa verranno allocati in un apposito fondo che finanzierà la riforma complessiva per il sostegno alla povertà e all’inclusione».
L’idea di evolvere verso il cosiddetto UBI (Universal Basic Income), di cui il Reddito e la Pensione di Cittadinanza grillina rappresentano solo il primo step, è uno dei temi qualificanti il progetto del Great Reset di Davos: per contrastare le conseguenze negative della cosiddetta “Quarta Rivoluzione Industriale”, i governi e la Comunità internazionale vorrebbero assumersi sempre più la responsabilità dei propri cittadini, in una sorta di welfare universalistico, come quello invocato dalla candidata emergente alla segreteria del Partito Democratico, Elly Schlein. L’idea è quella di ridurre la responsabilità personale, barattando privacy e libertà in cambio di sicurezza, e salute, garantite dall’alto: un nuovo “patto sociale” in cui il cittadino (ridotto a singolo) rinuncia alla libertà e responsabilità dell’uomo adulto, un fardello troppo pesante per noi post-moderni, in cambio della promessa di felicità, una felicità da bambini senza doveri e responsabilità, un po’ come nella Leggenda del Grande Inquisitore (qui e qui), contenuta all’interno del capolavoro I fratelli Karamazov del celebre scrittore russo, Fëdor Michailovič Dostoevskij (1821-1881). Molto bene, quindi, ha fatto il governo Meloni a intervenire in contro-tendenza: non si tratta solo di aspetti finanziari o di evitare derive clientelari, ma ultimamente – anche se a prima vista le politiche assistenzialistiche sembrano animate da buoni sentimenti – di tutelare la libertà, e quindi la dignità, dell’uomo,
Altro tema qualificante è quello della sicurezza energetica e della sovranità alimentare: le politiche ispirate all’ideologia del cambiamento climatico hanno creato sotto-investimenti nelle fonti energetiche, che rappresenta una delle principali cause dell’esplosione dei prezzi energetici a partire dalla primavera-estate del 2021 (quindi ben prima della guerra in Ucraina); in Europa hanno iniziato a colpire anche la filiera alimentare, a partire dal contrasto agli allevamenti in Olanda, a cui si accompagna la promozione delle “farine” di grillo e insetti vari, di cui è stato autorizzato il consumo alimentare lo scorso 24 gennaio dall’Unione Europea. La scarsità energetica e la scarsità alimentare, prodotte artificialmente dai governi, accecati dall’ideologia verde, rischiano di alimentare ulteriormente le dinamiche inflazionistiche: un sacrificio necessario “per salvare il Pianeta”, ovviamente. Il governo Meloni ha ragione nel contrastare tali derive, a partire dalla modifica della denominazione del “Ministero della transizione ecologica” dell’ex-Ministro Roberto Cingolani, che definiva l’essere umano «biologicamente un parassita perché consuma energia senza produrre nulla», in un mondo «progettato per tre miliardi di persone»: il nuovo nome, “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”, appare decisamente più saggio e pragmatico, e anche i nomi hanno la loro importanza. Al di là delle «risorse destinate alle misure contro il caro energia […che] ammontano a oltre 21 miliardi di euro e consentiranno di aumentare gli aiuti a famiglie e imprese allargando anche la platea dei beneficiari», è lodevole l’impegno del governo Meloni di mettere al primo posto la sicurezza energetica, in luogo dell’ideologica transizione energetica; oltre a difendere la tradizione gastronomica italiana, patrimonio culturale della nostra nazione, ostacolando le folli derive alimentari promosse dall’Unione Europea, anch’esse figlie del catastrofismo climatico.
Un punto chiave è quello che riguarda l’atteggiamento nei confronti della famiglia e della natalità: nella manovra sono previsti aiuti per le famiglie più fragili, misure contro l’inflazione, incrementi negli assegni per le famiglie in base al numero e all’età dei figli e all’Isee, un mese in più di congedo parentale: certo, gli aiuti economici non guastano, anche se le risorse stanziate sono necessariamente modeste a causa della congiuntura negativa e dello stato disastroso delle finanze pubbliche che il nuovo governo ha ereditato. Non saranno però aiuti e incentivi a far risalire la natalità, se non cambia la cultura: il nuovo atteggiamento dell’esecutivo, dichiaratamente pro-vita e pro-famiglia, è quindi il principale motivo di speranza. Il recupero demografico è ancora più urgente dei temi economico-finanziari, oltre che essenziale per la tenuta della società italiana, e un’inversione di tendenza richiede un atteggiamento culturale diverso. L’Italia, e gli altri Paesi sviluppati, non hanno bisogno di una transizione ecologica, bensì di una transizione demografica: questa è la vera emergenza, di cui pochi parlano.
Infine, un motivo in più di speranza: al prossimo World Economic Forum, che inizierà il 16 gennaio a Davos, in Svizzera, sono attesi «oltre 2.700 leader mondiali, tra capi di Stato (52), ministri (379), capiazienda (600), economisti e altri protagonisti pubblici e privati», ma come scrive la Repubblica «il governo italiano lo snobba», perché «in rappresentanza del nostro esecutivo ci sarà solo il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara».
Una scelta che vale più di una finanziaria, e un motivo in più di gratitudine per il nuovo governo di centro-destra. Con i migliori auguri di buon lavoro.