Bitcoin di stato, ultimo attacco al contante
Dopo il successo delle cripto-valute, anche le Banche centrali di tutto il mondo stanno lavorando per crearne una propria. La più avanti di tutti è la Cina, ma anche la BCE ci punta: sarebbe un'arma fenomenale per far scomparire il contante e far pagare ai risparmiatori l'enorme debito pubblico accumulato. Le divise digitali delle Banche Centrali potrebbero essere quindi un’arma in più per accelerare verso il nuovo paradigma di “Stati assistenzialistici” e di governance mondiale che si staglia all’orizzonte.
- CASHBACK, L'EUROPA CONTRO L'ITALIA, di Ruben Razzante
Che cos’è una “divisa digitale”? Il Bitcoin e altre cripto-valute, come l’Ethereum e il Ripple, sono asset finanziari sui generis, che possono diventare anche mezzi di pagamento alternativi, generati “dal basso” attraverso un processo detto “mining” con cui vengono introdotte quotidianamente nuove unità attraverso l’elaborazione di complessi algoritmi, che richiedono grande potenza di calcolo e comportano anche elevati consumi di energia elettrica.
La tecnologia su cui si basano le cripto-valute, la cosiddetta blockchain, è a prova di hacker perché le informazioni sono distribuite in “infiniti” nodi decentrati a vari livelli, e ciò costituisce ovviamente una sicurezza che, unitamente alla tutela della privacy, va a contemperare il rischio legato all’immaterialità della divisa digitale. L’espansione del bitcoin è legata ad una progressione secondo una serie geometrica ogni 4 anni, che tende asintoticamente ad un ammontare massimo predefinito, pari a 21 milioni di unità. Il limite massimo fissato ex-ante la rende appetibile per una scommessa sulla salita del valore nel corso del tempo: dall’introduzione a ridosso dello zero nel 2008, il bitcoin è rimasto al di sotto dei 1.000 dollari Usa fino alla primavera 2017, per poi esplodere recentemente verso quota 20.000$.
L’euforia sulle quotazioni del bitcoin negli ultimi anni ha attratto, nonostante l’estrema volatilità, un numero crescente di risparmiatori alla ricerca di un’alternativa agli investimenti tradizionali nelle divise fiat delle Banche Centrali. Una sorta di “oro digitale”, una “riserva di valore” per proteggersi dalla crescita esponenziale della liquidità globale, virtualmente senza limiti, che potrebbe innescare in futuro fiammate inflazionistiche, deprimendo il potere d’acquisto del denaro “tradizionale”. E così da semplice asset finanziario, per quanto molto particolare, il bitcoin è gradualmente diventato anche mezzo di pagamento, cioè “denaro” utilizzabile direttamente in molti scambi: è stata quindi superata definitivamente la fase in cui gli investitori istituzionali lo guardavano con scetticismo e le Banche Centrali con indifferenza e snobismo.
Tanto che ora le stesse Banche Centrali stanno copiando l’idea e progettano anch’esse l’introduzione di proprie “divise digitali”. La più avanti di tutte è la Cina – il che è già sufficiente a guardare con sospetto all’idea –, ma anche la BCE sta studiando seriamente la cosa. L’introduzione di divise digitali è un ulteriore passo in avanti verso la visione “nominalista” del denaro, dominante in tutti i sistemi monetari moderni.
Archiviato nel 1971 il regime monetario aureo denominato gold-exchange standard, con la fine degli accordi di Bretton Woods, il “denaro” non ha più alcuna base “reale” ed è divenuto un semplice “segno”. Cioè denaro “fiduciario”, fiat, emesso in regime di monopolio da una Banca Centrale che lo crea ex-nihilo, immesso nei circuiti come “moneta scritturale” dalle banche commerciali e considerato legal tender per imposizione pubblica, col dovere quindi dei creditori di accettarlo nei pagamenti e dei contribuenti di usarlo per pagare le tasse.
Nei moderni sistemi monetari nominalisti le Banche Centrali possono quindi espandere i propri bilanci pressoché ad libitum, anche per acquistare a man bassa asset sui mercati finanziari; le banche commerciali, grazie al meccanismo del “moltiplicatore dei depositi”, possono poi erogare prestiti detenendo una riserva frazionaria minima (nell’area euro è pari all’1%), e quindi spingere potenzialmente gli impieghi a decine di volte tanto i depositi, virtualmente fino a 100 volte tanto. Il rischio di un’espansione creditizia senza limiti è quello di arrivare a una vera e propria “finanziarizzazione dell’economia”, con profondi effetti distorsivi sull’economia reale.
La completa smaterializzazione del denaro, divenuto “digitale”, è l’ultima tessera del mosaico. Le Banche Centrali e i governi andranno ad acquisire sempre più informazioni anche sulla ricchezza finanziaria liquida, su chi detiene che cosa e su tutti i trasferimenti di denaro, con la possibilità quindi di tracciare tutti i flussi finanziari. E questa è una differenza non da poco rispetto al bitcoin e alle altre cripto-valute, che vengono scambiate privatamente peer-to-peer.
“Informazioni” per fare che cosa? “Per contrastare l’evasione finanziaria” – ovviamente! – ma in realtà per imporre un “grande fratello” finanziario a cui non sfuggirebbe più nulla e nessuno.
Man mano che si diffonderà il denaro digitale, quello fisico potrà essere ritirato, un po’ per volta, fino ad arrivare al miraggio distopico di una cashless society in cui nessun pagamento sarà più sottratto alla rete digitale creata. A quel punto, le Banche Centrali potranno anche imporre tassi nominali negativi sui conti correnti, cosa che adesso il sistema bancario non può fare pena la corsa agli sportelli dei risparmiatori che andrebbero a ritirare i propri risparmi per detenerli in contante: tale bank run, tra l’altro, costringerebbe le Banche Centrali a far girare le proprie presse a getto continuo, visto che la gran parte del denaro impiegato nel sistema è “moneta scritturale”, per di più con un rapporto impieghi/depositi a forte leva, come sopra ricordato.
Eliminato il contante, con tassi nominali negativi sui conti correnti e il rialzo dei prezzi del carrello della spesa, come auspicano le Banche Centrali, il cerchio si chiuderebbe: sarebbe stata istituita una nuova tassa sui risparmi, non votata da nessun Parlamento, che potremmo battezzare RRN “Rendimento Reale Negativo”, a cui nessuno potrebbe sfuggire. Un modo per abbattere il valore reale dei debiti fuori controllo, a spese dei risparmiatori; una sorta di “patrimoniale” che andrebbe a colpire, dopo la ricchezza mobiliare ed immobiliare, anche la ricchezza finanziaria liquida, sicuramente il sogno proibito delle sinistre di tutto il mondo. Il contante, per quanto banconote “fiat”, è quindi uno degli ultimi presìdi di libertà, che consente di mantenere almeno una parvenza di economia libera.
Sarà interessante vedere con quale “narrativa” le Banche Centrali e i media mainstream “venderanno” all’opinione pubblica l’introduzione delle proprie divise digitali: “contrasto all’evasione” per “pagare tutti per pagare meno” – sicuramente – ma anche per garantire maggiore “equità” ed “inclusività sociale”, per “stimolare la crescita economica”, “redistribuire la ricchezza” e chissà quali altri parti della fantasia. Ovviamente promettendo solennemente che il contante non sarà mai eliminato e magari anche attirando i cittadini all’uso di divise digitali dando rendimenti positivi, in una prima fase: fino a quando, c’è da scommettere, non si sarà raggiunta una massa critica tale da potere condannare a morte il contante, ponendolo fuori corso. Le divise digitali delle Banche Centrali consentiranno poi di introdurre facilmente il “reddito universale di cittadinanza” e di effettuare trasferimenti ai cittadini di denaro elettronico, stile helicopter money, in presenza di future emergenze come il CoVid, nella prospettiva di un “socialismo bonario”.
Le divise digitali delle Banche Centrali potrebbero essere quindi un’arma in più per accelerare verso il nuovo paradigma di “Stati assistenzialistici” e di governance mondiale che si staglia all’orizzonte. In tal modo, saremo sempre più dipendenti dallo Stato: come dichiarato dal Prof. Klaus Schwab, fondatore e Chairman esecutivo del “World Economic Forum”, la stessa epidemia Covid è infatti vista come «un’opportunità unica» per procedere ad un “Grande Reset” dei sistemi economici, sociali e politici mondiali. Il Covid, sia detto en passant, potrebbe quindi essere la “narrativa” per spingere il mondo verso il New Normal dell’era post-pandemica “a.C.”: non certo nel senso di after Christ bensì di «after Coronavirus», come la definisce solennemente Schwab.
Il Covid, insomma, se non ci fosse bisognerebbe proprio inventarlo…