Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
convegno

La ragionevolezza e la bellezza della Humanae Vitae

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Dalla timida accettazione della contraccezione all'accettazione generalizzata dell'aborto: la radice comune, sottolinea il prof. John Haas, sta nel considerare la procreazione come un male da evitare. Di qui il controsenso di un bene (la nascita) considerato male e di un male (l'aborto) reclamato come un diritto.

Vita e bioetica 24_05_2023 English

Pubblichiamo l'intervento La ragionevolezza e la bellezza dell'insegnamento di Humanae Vitae, del prof. John Haas al Convegn“Il corpo è mio”. Humanae Vitae, l’audacia di una enciclica sulla sessualità e la procreazione organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune (Roma, 19-20 maggio). 
 

L’anno scorso la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato un testo che metteva in discussione l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione. Il curatore scriveva sulla contraccezione: «La scelta saggia sarà operata valutando opportunamente tutte le possibili tecniche in riferimento alla loro situazione specifica, ovviamente escludendo quelle abortive» (Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche, a cura di Vincenzo Paglia).

Non c’è «scelta saggia» riguardo alla contraccezione. Vorrei mostrare perché essa è irragionevole e perché conduce inevitabilmente all’aborto.

Sappiamo che gli individui agiscono per fini che considerano buoni. Di fatto, riteniamo che un essere umano agisca ragionevolmente quando lui o lei agisce per un fine percepito come buono. Infatti, è il fine di un’azione a definire l’azione stessa. Inoltre, è solo il fine a rendere possibile qualsiasi atto, dal momento che ciascuno agisce in vista di un fine. Come ha detto T.S. Eliot: «Il fine è il punto in cui iniziamo» (Little Gidding).

C’è stato certamente un periodo in cui la teologia morale era dominata da un approccio legalistico che sembrava contrapporre norme astratte alla coscienza individuale. Tuttavia, l’approccio più sensato alla teologia morale è quello che pone l’accento non sulle leggi e le norme, bensì sulla ragionevolezza del comportamento umano nel perseguimento della felicità.

Il comportamento umano ragionevole è costituito dall’agente morale che agisce per fini percepiti come beni e i fini, come sottolinea san Tommaso, costituiscono il principio dell’agire umano. I fini definiscono e rendono possibili gli atti umani.

Il Codice di Diritto Canonico del 1917 definisce il matrimonio in termini di fini. «Il fine primario del matrimonio è la procreazione ed educazione della prole; il fine secondario è l’aiuto reciproco e il rimedio della concupiscenza» (canone 1013). Il matrimonio è definito nei termini dei suoi fini peculiari ai quali è naturalmente ordinato e che pertanto ci dicono cosa esso è.

Come ha detto il gesuita Bernard Lonergan: il matrimonio «è più una incorporazione della finalità [o fine] del sesso, che del sesso stesso … Poiché ciò che viene prima (cioè è primario) nella costituzione ontologica di una cosa non è il dato esperienziale ma, al contrario, ciò che è conosciuto nell’ultimo e più generale atto di comprensione verso di esso».

San Tommaso e Bernard Lonergan non sono i soli a pensarla così. Nella sua Introduzione alla psicanalisi, Sigmund Freud scriveva: «è una caratteristica comune a tutte le perversioni (sessuali) quella di accantonare la riproduzione come obiettivo (fine). In realtà è questo il criterio con cui giudichiamo perversa un’attività sessuale – se nel suo fine si distacca dalla riproduzione e persegue l’appagamento indipendentemente da esso». Sono frasi che potrebbe aver scritto san Tommaso.

Uomini e donne sono attratti dal matrimonio per amore dei beni che esso incorpora, a cominciare dal bene dei figli, dal momento che è questo, in ultima analisi, a spiegare il matrimonio e l’atto coniugale. Ma uomini e donne, in senso più immediato, sono attratti anche dal bene del reciproco aiuto o amicizia che la coppia trova nel matrimonio. Così, sono i fini del matrimonio a spiegare cos’è e cosa rende possibile tale istituzione.

La persona umana non può spezzare il legame tra i fini unitivo e procreativo del matrimonio poiché questi costituiscono l’autentica definizione di ciò che il matrimonio è. E l’uomo e la donna sono naturalmente attratti da quei fini proprio perché questi sono buoni. Poiché il comportamento umano appare ragionevole quando uno agisce in vista di fini visti e compresi come bene, parallelamente è irragionevole agire contro un bene come se fosse un male. Infatti, ciò violerebbe il primo principio della ragione pratica, violerebbe il primo principio della moralità.

Agire contro un bene come se fosse un male violerebbe la sinderesi, il primo principio dell’agire umano: “Fai il bene, evita il male”. È qui, a mio parere, che si riscontra l’immoralità, l’irragionevolezza, il disordine della contraccezione.

La contraccezione implica sempre un agire altro dall’atto coniugale, e quell’agire altro è diretto specificamente contro uno dei beni (o fini) che di fatto danno significato all’atto coniugale, cioè, il bene procreativo, i figli. Il nome stesso dell’atto ne descrive la malizia: è contra, contro il bene procreativo. La contraccezione è un atto scelto e voluto contro un bene insito nell’atto coniugale in cui la coppia ha scelto di impegnarsi.

Ogni atto contraccettivo è un atto altro dall’atto coniugale: prendere una pillola o mettere un condom o inserire una spirale o chiudere chirurgicamente le tube di Falloppio. Sono queste tutte le tecniche da valutare, come ha detto il curatore sopra citato, per giungere a una scelta “saggia” sulla contraccezione? Ma ciascuna di queste azioni è differente da, è altro dall’atto coniugale, e ciascuna di esse non ha altro scopo che di rivolgersi contro la realizzazione di uno dei fini o beni che danno senso all’atto coniugale, e di fatto lo rendono possibile. Impegnarsi in un atto contraccettivo è agire in violazione della nostra natura ragionevole che è quella di agire in vista di fini percepiti come beni.

Quando una coppia di sposi ha rapporti coniugali durante il periodo infertile, pur sapendo che verosimilmente non ci sarà concepimento, riconosce che il loro atto mantiene comunque il suo rapporto intrinseco con la generazione della vita umana. Infatti, è per questo che essi limitano l’atto coniugale al periodo non fertile del ciclo della donna. Tuttavia, essi non agiscono contro il bene procreativo. Semplicemente realizzano altri beni del matrimonio senza agire contro nessun bene.

Poiché la sinderesi porta naturalmente a evitare il male, quando un male si manifesta noi istintivamente agiamo contro di esso per eliminarlo. Qui cogliamo il nesso inestricabile tra contraccezione e aborto. Agendo costantemente contro il bene procreativo insito nell’atto coniugale come se fosse un male, quando si manifesta nonostante i nostri sforzi, agiamo per eliminarlo. Questa azione, ovviamente, è diventata l’aborto. È una naturale conseguenza dell’indurre la sterilità, quando la sterilità fallisce e il male della fertilità si manifesta.

Nel V secolo sant’Agostino lo vide e ne scrisse: «[La licenziosa crudeltà della coppia coniugale] o la loro crudele licenziosità talora conduce a tali estremi da procurare veleni sterilizzanti e, se questi non sono disponibili, a sopprimere in qualche modo il feto che è stato concepito nel grembo ed espellerlo. Vogliono che la loro prole muoia prima di venire all’esistenza, o, se già vive nel grembo, che muoia prima della nascita» (Sant’Agostino, Sul matrimonio e la concupiscenza).

In un certo senso, era “naturale” che Planned Parenthood da alfiere della contraccezione diventasse il più grande fornitore di aborto nel mondo. I figli e la fertilità sono giunti a essere visti come mali, come malattie, da evitare o eliminare. Infatti, non c’è mai stata una società che abbia accettato la pratica generalizzata della contraccezione senza poi accettare e sostenere anche l’aborto. Nel 1968 Planned Parenthood pubblicò un pamphlet intitolato Plan Your Children for Health and Happiness. In un passo del pamphlet si poneva la domanda: «Il controllo delle nascite è aborto?». La risposta della brochure di Planned Parenthood era: «Assolutamente no. Un aborto sopprime la vita di un bambino dopo che è iniziata. Esso è pericoloso per la tua vita e la tua salute. Ti rende sterile, così che quando desideri un figlio non potrai averlo. Il semplice controllo delle nascite pospone l’inizio della vita». Oggi Planned Parenthood è il più grande fornitore di aborti nel mondo, poiché la logica della contraccezione si è dispiegata da sé.

Possiamo guardare alla Chiesa anglicana per vedere l’evoluzione dall’accettazione della contraccezione a quella dell’aborto. Nel 1920 i vescovi anglicani del mondo si riunirono a Lambeth Palace a Londra, e condannarono la contraccezione con le espressioni più nette: «Lanciamo un chiaro monito contro l’uso di mezzi innaturali per evitare il concepimento, insieme ai gravi pericoli – fisici, morali e religiosi – che portano con sé» (Resolution, 68). Dieci anni dopo, nel 1930, i vescovi della Comunione anglicana si riunirono di nuovo a Lambeth. Nelle loro deliberazioni riconobbero che c’erano periodi in cui le coppie di sposi dovevano evitare di avere figli e che l’approccio più cristiano fosse l’astinenza dal rapporto coniugale. Tuttavia, giunsero ad affermare, piuttosto timidamente, che quando l’astinenza si dimostrava impossibile, le coppie sposate avrebbero potuto far uso della contraccezione per un periodo limitato. Allo stesso tempo i vescovi condannarono duramente l’aborto, ma a partire dal 1967, la Chiesa episcopale degli USA, membro della Comunione anglicana, sostenne l’aborto legale – prima ancora della sua legalizzazione nel 1973.

E proprio la scorsa estate, nel 2022, l’assemblea generale della Chiesa episcopale ha approvato una risoluzione che affermava: «Di fronte all’erosione dei diritti riproduttivi, tutti gli episcopaliani devono poter accedere ai servizi abortivi e al controllo delle nascite senza restrizioni di movimento, di autonomia, di tipo o di tempo». È stato infine «deliberato che l’80a assemblea generale comprende che la tutela della libertà religiosa si estende a tutti gli episcopaliani che possano aver bisogno o desiderino accedere, usufruire o aiutare altri a procurarsi, o a offrire, servizi abortivi» (Resolution D083 at the 80th General Convention of the Episcopal Church, Baltimore, Maryland, 8-11 luglio 2022).

In meno di un secolo gli anglicani sono passati da una reticente approvazione della contraccezione fino a reclamare a gran voce l’accesso universale all’aborto!

Non sto insinuando che una china scivolosa conduca dalla contraccezione all’aborto. Sostengo che quando si giustifica moralmente un atto intrinsecamente malvagio, come è sempre stata considerata la contraccezione dalla Chiesa, siamo già in fondo alla china e si può giustificare praticamente qualsiasi atto. Accettare la moralità della contraccezione equivale virtualmente ad accettare una falsa concezione della persona umana che conduce a sostenere altri comportamenti aberranti che minano il benessere umano.

Una delle sfide alla Humanae Vitae, adesso e in futuro, è certamente la minimizzazione dell’immoralità della contraccezione, come se potesse costituire una “scelta saggia”, mentre essa è l’autentica porta di ingresso verso una mentalità anti-vita e verso gli orrori dell’aborto.
 

Professore emerito di Teología Morale al Seminario di Filadelfia e all’Istituto Giovanni Paolo II a Washington DC, Presidente emerito del National Catholic Bioethics Center, membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita (Stati Uniti).