«La legge sull’omofobia un inganno, il fine è distruggere la famiglia»
Non c’è nessun vuoto normativo che giustifichi una legge sull’“omotransfobia” perché già «l’ordinamento italiano prevede che quando una persona viene lesa o discriminata per qualsiasi ragione la magistratura può intervenire». «Questa legge è un espediente… L’obiettivo più profondo è teologico, corrisponde alla ribellione di Satana al disegno di Dio. Dal punto di vista dei poteri mondani, lo smantellamento della famiglia apre la porta a qualsiasi manipolazione». Così la libertà della Chiesa è minacciata, ma il cristiano deve annunciare Gesù, «che è capace di accogliere l’uomo e di trasformarlo». La Nuova Bussola intervista monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-San Remo.
- CEI CONTRO IL DDL ZAN, ATTACCO A METÀ, di Tommaso Scandroglio
Luglio si avvicina e inizia ad entrare nella fase calda il dibattito intorno alla legge sulla cosiddetta “omotransfobia”, che nelle intenzioni dei proponenti dovrebbe approdare in Aula proprio entro il prossimo mese. Alla Commissione Giustizia della Camera sono ad oggi all’esame il Ddl Zan e altre proposte (Bartolozzi, Boldrini, Perantoni, Scalfarotto) che rischiano di limitare gravemente la libertà di chi afferma pubblicamente la verità su complementarità sessuale e, dunque, famiglia naturale.
Ci sono vescovi che stanno prendendo posizione. Ieri è intervenuta la presidenza della Cei per ricordare che esistono già le necessarie tutele normative verso ogni persona, che una legge sull’omofobia «rischierebbe di aprire a derive liberticide» fino a introdurre «un reato di opinione» a danno di chi difende la naturale compresenza di madre e padre.
E lunedì 8 era intanto intervenuto monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia- San Remo, con un bel messaggio pubblicato sul sito della sua diocesi, dal titolo - biblico - significativo: «Misericordia e verità si incontreranno». La Nuova Bussola lo ha intervistato.
Monsignor Suetta, lei ha ricordato l’esempio dei Santi martiri ugandesi, che cosa ci insegnano Carlo Lwanga e compagni?
Quello che insegnano i martiri, cioè che di fronte alle verità della fede occorre imparare a non adattarle, a non cedere in nome di quello che a volte viene superficialmente chiamato “dialogo”. Se i martiri avessero perseguito una malintesa “via del dialogo”, senza essere fedeli fino in fondo ai loro convincimenti, avrebbero probabilmente salvato la vita ma non avrebbero dato buona testimonianza al Signore.
Perché questo progetto di legge non può essere disgiunto dal tema della libertà della Chiesa?
La libertà della Chiesa, dal punto di vista teologico, poggia sulla Rivelazione: la Chiesa ha ricevuto il dono della verità ed esiste per annunciarla. Dal punto di vista semplicemente terreno, essendo un’istituzione con la propria visione del mondo, ha il diritto (che in Italia è riconosciuto anche dalla Costituzione) di insegnare la propria dottrina. Oggi la libertà della Chiesa viene conculcata in diversi modi, soprattutto con la pressione culturale riconducibile al “pensiero unico” o al “politicamente corretto”. Secondo questa concezione, specie se si tratta di sessualità e famiglia, la Chiesa può dire quello che vuole solo in casa propria. E questa ovviamente è una violazione della sua libertà.
Con questo tipo di leggi e il clima attuale, c’è pure il rischio che la Chiesa non possa più annunciare la verità in casa propria. Ce lo ricorda anche il recente caso della parrocchia canadese a processo per non aver ospitato un evento gay…
Per il nostro contesto nazionale, credo che quest’ultimo rischio sia forse un po’ remoto, perché immagino che la legge, in maniera un po’ subdola, potrà dire “va bene, la Chiesa nei propri ambienti può svolgere la propria missione”. Ma rimane il problema della mentalità alla base di questi Ddl, secondo cui sull’argomento dell’omosessualità non si può dire nulla di diverso da quello che si vuol far passare come acquisizione comune. E poi stabilire se una determinata espressione corrisponda all’enunciazione di principi morali o a una manifestazione di odio spetterà alla discrezionalità del singolo giudice, e questo è un rischio gravissimo.
In questo senso c’è il rischio che dei passi del Catechismo e della Bibbia divengano, di fatto, fuori legge?
Sì, purtroppo, questo può essere frutto non solo di un iter legislativo ma del retroterra culturale che rischia di diffondersi sia tra coloro che non si riconoscono nella professione della fede cristiana sia pure all’interno della Chiesa. Nessuno va discriminato ma, come ricorda il Catechismo, questo non significa approvare determinate condotte. Allora va chiarita la distinzione tra condanna del peccato e accoglienza del peccatore: questa accoglienza ha un obiettivo finale, che è la conversione. Noi giustamente guardiamo a Gesù: Lui accoglieva i peccatori, ma proponendo loro un cammino di conversione. Il cristiano è chiamato a testimoniare con chiarezza la verità della fede.
Perciò lei ha scelto come titolo del suo messaggio - “Misericordia e verità si incontreranno” - le parole del Salmo?
Esattamente, perché contrapporle fa torto all’una e all’altra. Una misericordia che non tenesse conto della giustizia e della verità sarebbe una debolezza che fa male a colui che la riceve. Faccio il classico esempio del medico. Il medico che si pone in modo ‘pietoso’, sbagliato, verso il paziente, non rivela la giusta diagnosi, non dà la giusta terapia, e il paziente anziché guarire muore. Viceversa, la vera misericordia è quell’atteggiamento responsabile che si fa carico di una persona, anche nelle sue fragilità, ma per puntare al loro superamento. Ora, ci sono fragilità che non possono essere superate con l’intervento umano, ma - quando parliamo di peccato e di salvezza - sappiamo che dove non può l’uomo può la grazia di Dio. Noi dobbiamo annunciare la grazia di Dio.
A proposito della lettera del 1986 sulla cura pastorale delle persone omosessuali, Ratzinger avvertiva già allora dell’esistenza di gruppi che cercano di sovvertire l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Don Dariusz Oko ha definito questo tentativo “omoeresia”. Sette anni fa si riuscì a bloccare il Ddl Scalfarotto, ma oggi il clima sembra diverso anche in buona parte del clero. Che appello fa ai suoi confratelli nell’episcopato?
L’appello che faccio è di essere vigilanti per aiutare i fedeli e tutte le persone disposte a ragionare onestamente a fare in modo che l’inganno culturale alla base di questa legge venga smascherato. E poi è un nostro dovere di pastori sostenere e anche richiamare i politici che si professano cattolici ad essere coerenti. Purtroppo, leggi di questo genere sono passate alla chetichella anche a livello regionale, garantendo sostegno economico ad associazioni che poi vanno nelle scuole ufficialmente a combattere le discriminazioni, concretamente a proporre elementi di “educazione sessuale” completamente fuorvianti.
I sostenitori di questa legge dicono che è necessaria perché c’è un vuoto normativo. Secondo lei è così?
Come spiegano illustri giuristi, questo vuoto normativo non c’è perché l’ordinamento italiano prevede che quando una persona viene lesa o discriminata per qualsiasi ragione la magistratura ha la possibilità di intervenire per ripristinare la giustizia. Questa legge è un espediente. L’obiettivo di fondo, che non viene detto, è quello di distruggere la famiglia.
Quale ne è la ragione?
L’obiettivo più profondo è teologico, corrisponde alla ribellione di Satana al disegno di Dio. Dal punto di vista dei poteri mondani, lo smantellamento della famiglia apre la porta a qualsiasi manipolazione all’interno della società. Questo perché la famiglia, con i suoi legami naturali, è il presidio più sicuro di determinati valori, sia morali che materiali. Il più importante di questi è l’educazione dei figli, compito primario della famiglia, insieme alla cura degli anziani.
Insomma, questa legge è pericolosa.
Sì, lo è. Non ho il timore così prossimo che dovrò controllare quanto dico nelle omelie. Magari, poi, di caduta in caduta si arriverà anche lì. Perché tutte le volte che dal punto di vista legislativo viene segnato un passo nel verso sbagliato si rafforza una mentalità che rappresenta un serio pericolo per le coscienze. La legge, da sola, non tutela il bene. Il bene corrisponde a una scelta autentica di libertà che fa la retta coscienza, però la legge - insegna la Bibbia - è come una siepe che protegge dagli sbandamenti verso zone sbagliate, ma anche dalle invasioni. L’immagine della Bibbia è molto bella. La vigna - che è oggetto della cura di Dio ed è protetta dalla siepe - rappresenta individualmente il cuore dell’uomo e comunitariamente il popolo di Dio. Queste incursioni nella vigna sono forme di pensiero sbagliate che distruggono ciò che la Chiesa cerca di comunicare alle coscienze. Oggi molti chiamano queste incursioni “conquiste di civiltà”, in realtà sono indice di un regresso.
Quindi, è una legge controproducente per gli stessi gruppi che intenderebbe difendere?
Sì, perché quello che oggi viene rivendicato, in nome dell’“orgoglio”, va oltre la legittima tutela della persona, e rovescia la corretta concezione della persona.
A proposito, emergono notizie di parrocchie che festeggiano il “mese dell’orgoglio gay” in contemporanea al Sacro Cuore di Gesù: che ne pensa?
Mi sembra una cosa tragicamente ridicola, nel senso proprio. Se noi pensiamo al Cuore di Gesù, pensiamo alla Misericordia di Dio che è capace di accogliere l’uomo e di trasformarlo. Quindi, accostare questo mistero di salvezza a una situazione che si vuole cristallizzata nell’errore, è inadeguato dal punto di vista logico e della fede. Anche se dietro ci fossero le migliori intenzioni, chi promuove questo tipo di “abbraccio” non si accorge che è un abbraccio che soffoca, perché si tratta di accostare un mondo con presupposti filosofici assolutamente contrari alla fede. L’esito non può essere che l’asfissia, anche della ragione.
Ex gay ed ex trans, che hanno scoperto Gesù, testimoniano proprio di essere stati trasformati e autenticamente liberati da Lui.
Infatti. Noi dobbiamo predicare questo.