Proposta Zan, un nuovo ddl Scalfarotto. Liberticida
Iniziato in commissione alla Camera l’esame del disegno di legge di Alessandro Zan (PD) sul contrasto all’«omotransfobia». Il testo intende modificare due articoli del Codice Penale, prevedendo fino a 6 anni di carcere o multe per i trasgressori. Anche una critica all’omosessualità potrà essere soggetta a sanzione. E, con questo governo, il ddl è pressoché certo che passi.
La Commissione Giustizia della Camera si è riunita lo scorso 24 ottobre per esaminare il testo della proposta di legge dell’onorevole Alessandro Zan (PD), voluta per contrastare l’«omotransfobia», come si può leggere nell’introduzione della proposta medesima.
Il provvedimento intende modificare in senso estensivo due articoli del Codice Penale: il primo, l’art. 604 bis cp, sanziona, tra le altre, quelle condotte volte a discriminare o a commettere atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; il secondo, l’art. 604 ter cp, prevede delle aggravanti per alcuni reati se commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. La proposta Zan vuole aggiungere come motivazioni degne di una risposta sanzionatoria dello Stato anche quelle legate all’orientamento sessuale, leggasi omosessualità, e all’«identità di genere», leggasi transessualità.
Vediamo quali condotte, se passasse questa legge, potrebbero essere sanzionate e le relative pene. Un anno e 6 mesi o 6.000 euro per chi commette o incita a commettere atti di discriminazione per motivi “omofobici” e “transfobici”. Ad esempio affermare anche in una chiacchierata tra amici: “L’omosessualità è contro natura” potrà essere considerato atto discriminatorio verso la categoria delle persone omosessuali. Parimenti se si cita la Bibbia dicendo che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione», (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), o che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357).
Da sei mesi a 4 anni per chi commette o incita a commettere atti di violenza per motivi “omofobici” e “transfobici”. Ad esempio, Tizio ferisce una persona perché è omosessuale: il reato di lesioni viene assorbito da questo reato specifico. Stesse pene per chi fa parte di associazioni che promuovono atti di discriminazione e/o violenza per motivi omofobici e transfobici (fino a sei anni per chi le dirige). Se passasse la legge, un direttore di un giornale, come la Bussola, che critica l’omosessualità, ma non critica le persone omosessuali, potrebbe essere arrestato. Va da sé che il direttore e i giornalisti che collaborano con lui avranno di fronte a sé solo due strade: il martirio o il silenzio.
Infine è prevista un’aggravante omofobica per i reati già esistenti: aumento di metà della pena prevista per il reato di base (sono esclusi i reati che prevedono l’ergastolo). Ad esempio se offendo la reputazione di una persona omosessuale davanti a tutti perché dico “Non mi piace, non condivido la tua omosessualità” è diffamazione con aggravante omofoba: un anno e mezzo di carcere o 1.500 euro. Se invece dico “Non mi piace, non condivido la tua eterosessualità” non è reato, è anzi un diritto: il diritto di parola. Si tratterebbe di libertà di espressione.
Appuntiamo un distinguo rilevante. Gli articoli del Codice Penale prima citati non solo sanzionano condotte direttamente lesive contro specifici e singoli soggetti, ma anche indirettamente lesive. Ossia il Codice vieta giudizi critici qualora siano discriminatori. Quindi non solo potranno scattare le manette se Tizio aggredirà una persona omosessuale, ma anche nel caso in cui Tizio si esprimerà in modo critico sull’omosessualità senza far nomi e cognomi. In questo secondo caso nessuna persona specifica sarebbe oggetto di discriminazione, ma tutto un gruppo sociale.
Veniamo ai rilievi critici e lo facciamo ricalcando in parte il giudizio della Commissione Affari Costituzionali che censurò in più parti il famigerato disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia che riuscì ad essere approvato nel 2013 solo dalla Camera. Le censure si possono applicare anche a questa proposta perché assai simile al Ddl Scalfarotto.
Primo rilievo: le condotte criminose a danno di persone omosessuali sono già punite dal nostro ordinamento giuridico. In tal senso non c’è nessuna lacuna da colmare. Non c’è nemmeno una situazione di emergenza che potrebbe giustificare una particolare tutela verso le persone omosessuali e transessuali. Infatti, i cosiddetti crimini e discorsi d’odio a danno di queste due particolari categorie di persone sono numericamente irrilevanti (anche un solo atto di violenza è da condannare, ma è altrettanto da condannare chi mente sui numeri).
Infatti, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad, Ministero dell’Interno), nell’ultimo report, ci comunica che in otto anni, dal 10 settembre 2010 al 31 dicembre 2018, il numero di segnalazioni per atti discriminatori a danno di persone omosessuali ammonta a 197 (il 13% del totale) e quello riferito a persone transessuali a 15 (1%). Ossia 26,5 all’anno. Due al mese. Eppure il percepito collettivo crede che siano decine alla settimana. Le principali segnalazioni riguardano la razza e l’etnia (quasi il 60%) e il credo religioso (quasi il 19%). Inoltre c’è da osservare che stiamo parlando di segnalazioni: quindi non tutte le segnalazioni corrispondono a veri reati.
Secondo rilievo: l’indeterminatezza della fattispecie che comporta l’illecito. L’indeterminatezza discende dal fatto che manca la descrizione della condotta che mi può aprire le porte del carcere e questo in contrasto con il principio della tipicità del reato. In altri termini, il cittadino deve sapere prima di adottare una certa condotta se la stessa è considerata dalla legge un reato oppure no. Tale difetto è proprio degli articoli 604 bis e ter e della legge Mancino: è lì il peccato originale da cui difendersi. L’impossibilità di prevedere se una tale frase o gesto sia reato o no consegna la nostra libertà nelle mani dell’arbitrio del giudice. Ad esempio: vedo due gay che si baciano in pubblico e manifesto il mio fastidio sussurrando: «Ma dove stiamo finendo?!». Le mie parole vengono da loro o da terzi ascoltate e finisco davanti al giudice: è reato oppure no? In sintesi: il confine tra condotte legittime e illegittime non è fissato con rigore e così risulta troppo discrezionale, potendo cambiare da giudice a giudice.
La questione diventa ancor più aleatoria se ci riferiamo alle aggravanti previste dall’art. 604 ter. Un motivo per rendere la pena ancor più pesante è l’odio per motivi legati all’orientamento sessuale o all’«identità di genere». Il problema sta negli elementi probatori: se Tizio dice a Caio che non condivide la sua scelta di unirsi civilmente con il compagno, come si fa a sapere se Tizio ha espresso questo giudizio mosso dall’odio per Caio o per amore nei suoi confronti?
Riportiamo poi una vicenda che accadde qualche anno fa: Tizio ferisce un extracomunitario. I giudici nella sentenza di condanna applicarono le aggravanti previste dalla legge Mancino - le stesse che troviamo nell’art. 604 ter - motivando esplicitamente che non serviva andare a provare l’intenzione xenofoba dell’aggressore, perché il semplice fatto di aggredire un extracomunitario comportava odio verso di lui. Insomma lo si dava per presupposto, per implicito. Ma forse Tizio lo aveva aggredito perché rivale in amore, per tentare di rubargli il portafoglio, perché membro di una tifoseria avversaria. Questo potrebbe accadere anche con la proposta Zan: parli male di Tizio, Tizio è omosessuale, ergo sei omofobo. Insomma, si corre il rischio di mettere sul banco degli imputati le intenzioni e non i fatti.
Terzo rilievo: si privilegia la condizione degli omosessuali ingiustificatamente. Questa proposta di legge finisce per essere discriminatoria verso altre categorie di soggetti socialmente deboli non ugualmente tutelate: gli anziani, gli handicappati, i disoccupati, le persone in sovrappeso, etc. Tutte potenziali vittime di atti discriminatori.
La quarta censura è forse quella più gettonata, ma in realtà ha i piedi di argilla e suona più o meno così: questa proposta di legge mina la libertà di espressione tutelata dall’art. 21 della Costituzione. Perché è un’obiezione che convince poco? Perché giustamente il nostro ordinamento giuridico limita, in alcuni casi, la libertà di parola. E infatti, ad esempio, l’art. 414 del Codice Penale sanziona chi istiga a commettere un reato – e questo può avvenire anche a mezzo stampa – oppure chi fa l’apologia di uno o più delitti, ossia chi parla a favore di una condotta ritenuta illecita dal nostro ordinamento giuridico. Inoltre ricordiamo il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. che si può concretare anche nel caso in cui si dicono cose vere del diffamato, purché oggettivamente si leda l’altrui reputazione. Dunque appellarsi alla libertà di parola non è molto efficace.
E infatti il problema non sta tanto nella libertà di parola che questa proposta lederebbe - pericolo reale, si badi bene - bensì nel contenuto di ciò che si dice. In breve, il problema è a monte: se l’omosessualità, la transessualità e le condotte omosessuali sono rispettivamente condizioni e atti moralmente buoni che concorrono al bene comune allora ha senso tutelarli anche nei confronti di chi vuole parlarne male e dunque è giusto porre dei vincoli alla libertà di espressione. Se non lo sono, le critiche su tali condizioni e condotte, ma non sulla persona in quanto tale, non meritano di essere sanzionate e la libertà di parola non merita di essere compressa.
La legge sulle unioni civili aveva consacrato l’omosessualità come bene giuridico, come se fosse la salute, il lavoro, l’istruzione, eccetera. La proposta Zan fa lo stesso, ponendo l’omosessualità e la transessualità allo stesso livello di razza, etnia, appartenenza a una nazione e orientamento religioso. Dunque, una condizione che non è naturale, in senso metafisico, diventa giuridicamente un connotato naturale della persona da tutelare.
Infine una domanda: questa proposta diventerà legge? Con questo governo è quasi certo.