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l'eredità scientifica

Jérôme Lejeune e le sfide della bioetica nel XXI secolo

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Tutelare e promuovere in ogni circostanza la dignità della persona, costantemente minacciata dalle stesse conquiste biotecnologiche. Un convegno a 30 anni dalla morte del genetista e venerabile.

Vita e bioetica 20_05_2024

«La medicina non è l’arte della felicità; è l’arte di proteggere la vita», scrive il venerabile Jérôme Lejeune. Nel solco di questa lucida consapevolezza si è svolto a Roma un convegno internazionale di ampio respiro (Jérôme Lejeune e le sfide della Bioetica nel XXI secolo), in occasione del 30° anniversario della sua nascita al cielo, nell’ottica di tutelare e promuovere in ogni circostanza la dignità della persona, costantemente minacciata dalle stesse conquiste biotecnologiche.

«La diagnosi prenatale richiede uno sguardo di apertura all’atteso, non di discriminazione», afferma Maria Luisa di Pietro – professore associato di Medicina Legale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore del Centro Ricerca e Studi sulla Salute procreativa. È necessario infatti un «bilanciamento delle tecniche consentite rispetto ai benefici attesi che sia sempre finalizzato, in caso di riscontro di una patologia dell’embrione, a un progetto di terapia e di cura».

«In Giappone c’è una politica eugenetica molto forte», una congiura a danno dei feti con sindrome di Down o malformazioni, ammette Eiichi Momotani, docente dell’Istituto di Ricerca Medica Comparativa Tsukuba-city in Giappone. D’altra parte «il razzismo cromosomico è orribile, come tutte le altre forme di razzismo», dichiarava senza mezzi termini Jérôme Lejeune proprio mentre constatava con amarezza come anche i risultati delle sue ricerche e scoperte in ambito genetico fossero manipolati per effettuare diagnosi in chiave di selezione eugenetica.

«Selezione embrionaria, editing genetico e crioconservazione promettono che ciò che si vuole si può ottenere nell’ottica di un miglioramento permanente della specie». Con queste parole Elena Postigo – membro Corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita e direttore accademico della sezione spagnola della Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune – approfondisce l’attuale deriva eugenetica del transumanesimo: una «religione secolarizzata, uno gnosticismo tecnoscientifico» che decreta di fatto quali vite siano qualitativamente degne di vivere e quali no – un paradosso nella società che fa della non discriminazione il proprio mantra.

«Occorre recuperare la saggezza antica e la filosofia cristiana non solo per riflettere su quanto già accaduto, ma soprattutto per prevedere a medio e lungo termine i problemi di tali tecnologie ibridate alla corporeità umana», rileva opportunamente Alberto Carrara – preside della facoltà di Filosofia e Coordinatore del Gruppo di Neurobioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – riflettendo sulle ultime frontiere della neuroetica fino alle sperimentazioni di intelligenza organoide, come la scimmietta di Elon Musk già capace di giocare a Pong.

«Evitare il dolore e curare», diceva Lejeune. «Le cure di fine vita vanno piuttosto garantite a tutti, evitando la sofferenza e tenendo conto dei bisogni nel rispetto della dignità della persona», afferma William Sullivan, professore di Medicina dell’University of Toronto e Membro Ordinario della Pontificia Accademia per la Vita. Nello specifico, rispetto al feto come paziente, la medicina autentica ha fatto grandi passi in avanti con la rianimazione e le cure palliative neonatali.

A tal proposito Giuseppe Noia – Direttore dell’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli – richiama i risultati positivi di una medicina condivisa che coniuga diagnosi e terapia, personalizzazione del caso, scambio di informazioni e ipotesi di cura in un clima di alleanza terapeutica coi genitori. D’altra parte bisogna anche «misurare il dolore del feto» – dato che è ormai acclarato che il bimbo in grembo lo percepisce – in relazione alle terapie adeguate da somministrargli e considerare che «patologie prenatali e disabilità non sono mai un criterio per sospendere le cure», come sottolinea Carlo Bellieni, neonatologo e pediatra dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese. 

«Una donna pagata per fornire i suoi ovociti, la selezione del sesso, un figlio che non conoscerà mai sua madre e una madre surrogata in California che dovrà separarsi alla nascita dal figlio portato in grembo per nove mesi e acquistato da committenti venuti a prenderlo dalla Cina». A raccontare questa storia, emblematica delle implicazioni etiche della maternità surrogata, è Jennifer Lahl – infermiera di cure critiche pediatriche e fondatrice del Center for Bioethics and Culture Network in California – rilevando gli innumerevoli rischi sulla madre surrogata e sul bambino.

Ma «un embrione è molto di più di un essere biologico», evidenzia Sagrario Crespo, docente di bioetica dell’Universidad Francisco de Vitoria di Madrid. L’interesse del bambino è usato come pretesto per la legalizzazione della maternità surrogata, in realtà si verifica l’esatto opposto: «Nulla può cancellare in lui lo shock di esser stato oggetto di un contratto, commerciale o gratuito che sia, e l’abuso di essere strappato dalla madre che l’ha portato in grembo», osserva Aude Mirkovic, docente di Diritto Privato all’Università di Parigi-Saclay.

Mostrando i dati sulla disforia di genere negli Stati Uniti, Alfonso Oliva – chirurgo plastico e ricostruttivo a Washington – testimonia come la transizione di genere non favorisca affatto il benessere psicofisico dei pazienti, smentendo così la diffusa narrazione ideologica. «Chi assume ormoni ha un rischio 18 volte superiore di sviluppare un cancro e i bloccanti la pubertà incidono in maniera negativa pesantemente sulla crescita ossea e sulla fertilità»; chi si sottopone a interventi per la transizione di genere ha ricadute irreversibili sul piano fisiologico e su quello psicologico, quali depressione, abuso di alcol e droghe, tentativi di suicidio. «È necessario invece andare a fondo nell’indagine dei problemi che caratterizzano il naturale corso dello sviluppo psicofisico degli adolescenti senza ascriverli subito alla disforia di genere», nella consapevolezza che «le terapie affermative non rappresentano la strada giusta», aggiunge Tasio Pérez, docente di Psicologia e di Bioetica dell’Universidad Francisco de Vitoria di Madrid.

«La scoperta della trisomia 21, l’amore per la medicina ippocratica sempre al servizio del paziente, la carità nel dire la verità, la denuncia dell’eugenetica come finta compassione, il merito di aver fatto uscire la genetica dalla pediatria per farne una disciplina a se stante» costituiscono il lascito scientifico fondamentale di Lejeune, fa notare infine Aude Dugast, postulatrice della sua causa di canonizzazione. Allora dinanzi alle sfide bioetiche attuali riecheggiano le parole del medico francese: «cosa possiamo fare contro le bugie? Mostrare la verità».



IL LIBRO

Lejeune, la libertà e la fede di uno scienziato

04_11_2023 Paolo Gulisano

Per conoscere la figura del grande scienziato cristiano è ora disponibile la biografia pubblicata da Cantagalli e scritta da Aude Dugast, filosofa francese, postulatrice della sua causa di beatificazione.

NUOVO VENERABILE

Le virtù eroiche di Lejeune, il genetista che difese la Vita

22_01_2021 Ermes Dovico

Promulgato dalla Congregazione delle Cause dei Santi il decreto che riconosce le virtù eroiche di Jérôme Lejeune (†1994), proclamato venerabile. Grande genetista francese, scoprì la causa della Sindrome di Down. Seppe coniugare scienza e fede, non temendo di prendere posizione - a costo della gloria terrena - contro l'aborto e l’eugenetica che andava pervadendo la medicina. Nella convinzione che «dobbiamo amare il bambino e curare la malattia».

BATTAGLIA FINALE

Sarah nel segno di Lejeune: "Combattere l'aborto"

Di fronte a quasi 2 mila persone radunate in Francia per l'anniversario del servo di Dio Jerome Lejeune, il prefetto del culto divino ha spiegato: "Questa è la lotta finale fra Dio e Satana, perché la difesa della vita è la madre di tutti i diritti. Di fronte a un disegno transumano pericoloso come il nazismo, non dobbiamo temere di agire come Davide contro Golia, perché quando una società uccide i bambini uccide anche il cristianesimo".