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La lezione di Wojtyła

Il volto di Gesù, la luce per il nostro millennio

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Cade questo martedì la festa del Volto Santo, voluta da Gesù e ancora poco diffusa, ma con solide basi nelle Scritture e negli insegnamenti dei santi. Tra cui papa Giovanni Paolo II, che nella Novo millennio ineunte ha indicato nella «contemplazione del volto di Cristo» la via per la Chiesa e il mondo.

Ecclesia 21_02_2023

«Il tuo volto, Signore, io cerco» [Sal 27 (26), 8]. Le parole del Salmista risuonano con particolare intensità questo martedì che precede il Mercoledì delle Ceneri e, quindi, coincide con il giorno indicato da Gesù, nelle rivelazioni alla beata Maria Pierina de Micheli, per celebrare la festa del Suo Volto Santo. Una festa ancora poco diffusa nella Chiesa (come la Nuova Bussola ha più volte riferito) e che è perlopiù limitata all’iniziativa di sacerdoti devoti e di qualche istituto religioso con il carisma specifico dell’adorazione del Volto Santo.

Eppure, questa devozione si va pian piano radicando tra i fedeli, nutriti dai molti riferimenti al volto divino nelle Sacre Scritture, dalla diffusione di immagini, medaglie e profonde litanie che richiamano quanto vissuto e sofferto da Nostro Signore nella Sua sacra umanità; e, ancora, nutriti dalla vita di un numero crescente di santi che ci indicano il volto di Gesù come fonte di ogni guarigione e beatitudine. Tra loro abbiamo diversi mistici e anche un papa del nostro tempo, san Giovanni Paolo II, nel cui magistero troviamo una decisa esortazione alla Chiesa ad affrontare le sfide del mondo secolarizzato ripartendo dalla centralità di Cristo nella storia e, in particolare, dalla contemplazione del Suo volto.

In questo senso risulta prezioso riscoprire l’insegnamento che il grande pontefice polacco ci ha lasciato nella Novo millennio ineunte, ossia la lettera apostolica pubblicata il 6 gennaio 2001, in chiusura del Grande Giubileo del Duemila. Qui, il richiamo al volto di Gesù non si fonda su qualche citazione estemporanea, bensì attraversa tutto il documento e ne occupa l’intera seconda parte (Nmi 16-28), che ci mostra il volto del Salvatore quale cerniera tra l’umano e il divino, tra la nostra vita qui sulla terra e l’«intimità della vita trinitaria» (come la definisce Wojtyła), alla quale Dio ci ha chiamati a partecipare attraverso l’Incarnazione di Suo Figlio.

Parlando alla Chiesa che si affaccia nel nuovo millennio, san Giovanni Paolo II riflette sull’ampia eredità dell’esperienza giubilare e, a proposito del suo «nucleo essenziale», scrive: «Non esiterei ad individuarlo [questo nucleo] nella contemplazione del volto di Cristo: lui considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero, accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso della storia e luce del nostro cammino» (Nmi 15). In modo simile ai pellegrini Greci che si rivolsero all’apostolo Filippo con una precisa richiesta - «vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21) - Wojtyła ci dice che «gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”». Questo è il compito proprio della Chiesa di sempre.

Ma come fare oggi? Avvertiva il Santo Padre: «La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto». La Sposa di Cristo deve dunque necessariamente procedere nel solco della sua grande tradizione spirituale, quello di contemplare e trasmettere agli altri le cose contemplate, come insegnava san Tommaso d’Aquino. Questa fecondità è possibile solo se si permette alla grazia di lavorare in noi, attraverso «l’esperienza del silenzio e della preghiera» (Nmi 20); e se si attinge, come ci ricorda ancora Giovanni Paolo II, ai Vangeli che ci restituiscono con forza i tratti essenziali del mistero di Cristo, vero Dio e vero uomo, il quale realizza il disegno di salvezza.

Un disegno che passa dal Getsemani e poi dal Golgota, mostrandoci il volto dolente di Gesù: un volto baciato a tradimento da Giuda, schiaffeggiato, ricoperto di sputi, coronato di spine, impastato di terra e di sangue; un volto che quindi chiama i fedeli a riparare le offese a Lui arrecate e a consolarlo. Scrive Wojtyła: «La contemplazione del volto di Cristo ci conduce così ad accostare l’aspetto più paradossale del suo mistero, quale emerge nell’ora estrema, l’ora della Croce. Mistero nel mistero, davanti al quale l’essere umano non può che prostrarsi in adorazione». Questo paradosso trova il suo culmine nel grido di Gesù crocifisso - Eloì, Eloì, lemà sabactàni? (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) - che riprende le parole iniziali del Salmo 21 (22), un grido troppo spesso letto a senso unico. In realtà esso, spiega il papa polacco, «si illumina con il senso dell’intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme, in un intreccio toccante di sentimenti, la sofferenza e la confidenza». La prima, dovuta al peccato, con cui l’uomo respinge l’amore divino; la seconda, data invece dall’abbandono fiducioso nelle mani del Padre.

Per penetrare questo mistero, un aiuto fondamentale viene dai santi, cioè di coloro che, facendosi imitatori di Gesù, hanno sperimentato nella loro vita la compresenza, da un lato, della beatitudine e, dall’altro, del dolore (frutto della vicinanza a Dio e della partecipazione alla Sua opera redentrice). La Novo millennio ineunte cita, non a caso, una santa che ha molto da dirci sulla devozione che la festa di oggi mette in risalto, ossia Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. «Nostro Signore nell’orto degli Ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero - afferma santa Teresina (Ultimi colloqui) - ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa».

Ma com’è vero che il volto oltraggiato di Gesù richiede riparazione, è altrettanto vero che Egli è il Risorto e quindi - ci ricorda Giovanni Paolo II - noi fedeli camminiamo verso la contemplazione del Suo volto glorioso. Ecco perché, al cuore della lettera apostolica, la santità (realizzabile in ogni condizione di vita) è descritta come la prospettiva che la Chiesa deve indicare continuamente al mondo, ben sapendo che essa non si fonda su idee e formule astratte, ma su «una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta allora di inventare un “nuovo programma”. Il programma - spiega Wojtyła - c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste».