Il ritorno dei “cani da guardia” (con la Meloni)
Dopo la lunga luna di miele con Draghi, i cui errori di gestione del Covid sono stati taciuti dal sistema mediatico, i giornali mainstream hanno da subito sparato a zero contro il Governo Meloni. La riprova con la finanziaria. Serve recuperare un sano spirito critico, senza colori politici.
Sembrano lontanissimi i tempi del Governo Draghi, quando i mezzi di informazione non osavano, salvo poche eccezioni, mettere in evidenza gli errori nella gestione della pandemia e le altre criticità emerse dall’azione di quell’esecutivo. A causa dell’emergenza sanitaria e anche grazie all’ingigantimento mediatico di alcuni profili di quell’emergenza, il governo precedente, il Conte 2, ha potuto godere di un trattamento benevolo da parte dei media, che si sono concentrati sui vaccini e gli altri aspetti della pandemia, perdendo di vista anche in quel caso gli aspetti assai discutibili delle politiche economiche e in materia di lavoro (vedi reddito di cittadinanza) portate avanti da Giuseppi e dal Pd.
Da quando è entrato in carica il Governo Meloni, si è rotto l’incantesimo della luna di miele che da sempre accompagna l’avvento di un nuovo premier. In questo caso, poi, si tratta anche del primo premier donna, il che avrebbe comunque suggerito una maggiore prudenza nelle critiche. Invece contro Giorgia Meloni si è da subito schierato un vero e proprio plotone di esecuzione.
Tutte o quasi le testate più titolate, dopo aver agitato lo spauracchio del possibile ritorno al fascismo in caso di vittoria del centrodestra e del conseguente isolamento dell’Italia sul proscenio internazionale, hanno cambiato canovaccio e si sono messe a bombardare l’attuale governo per quello che in realtà, a parole, avrebbero fatto anche le sinistre se avessero vinto le elezioni.
La riprova di questo si è avuta proprio due giorni fa, in occasione della conferenza stampa di Giorgia Meloni per spiegare i contenuti della manovra messa a punto da Palazzo Chigi e i ministri. La parte più rilevante delle risorse di quella legge di bilancio è destinata a tamponare i rincari energetici e a sostenere le famiglie in difficoltà nel pagamento delle bollette. Una scelta obbligata, che riproduce quanto già fatto da Mario Draghi (la famigerata “agenda Draghi”…) e che qualunque esecutivo avrebbe dovuto fare, vista la situazione. Le risorse residue - davvero poche rispetto a quelle delle leggi di bilancio degli anni precedenti - sono state destinate ad aiutare i lavoratori, con la riduzione del cuneo fiscale, le famiglie in difficoltà, il cosiddetto ceto medio che rischia di essere risucchiato nel vortice della povertà. Anche questo rappresenta un dovere per qualunque esecutivo, eppure viene rinfacciato alla Meloni come se si trattasse di un modo per compiacere il suo elettorato.
Infine merita una considerazione il reddito di cittadinanza, che tutte le forze politiche in campagna elettorale avevano proposto di rivedere. Perfino i Cinque Stelle, che lo avevano introdotto e che lo considerano il loro principale cavallo di battaglia, ne ammettono le criticità e si erano impegnati, in caso di vittoria alle urne il 25 settembre, a riformarlo. Ora che la Meloni ha deciso di mettervi mano e di ridurre le sacche di parassitismo alimentate da quel sussidio profondamente iniquo e per tanti aspetti dannoso per il mercato del lavoro, apriti cielo. Tutti addosso al premier che - a detta dei suoi detrattori - si sta accanendo contro i poveri per favorire i ricchi. Quindi stabilire criteri meritocratici nell’erogazione di sussidi pagati con i soldi di tutti gli italiani vorrebbe dire non avere sensibilità verso i poveri. Questo sembra ora il mantra di chi si oppone all’attuale esecutivo, che ha ereditato una situazione economica disastrosa dal precedente governo e ha dovuto fare in fretta e furia una finanziaria senza avere il tempo di studiare approfonditamente i vari dossier.
Si tratta, quindi, di una finanziaria di transizione - non poteva essere diversamente - e che è stata etichettata come poco coraggiosa. Giustamente il premier ha rilevato nella conferenza stampa di due giorni fa che i giornalisti erano apparsi molto meno coraggiosi di fronte al suo predecessore. Chi osava criticare Draghi? Nessuno. Solo testate come Il Fatto Quotidiano, anche per portare acqua al mulino dei Cinque Stelle, avevano ironizzato spesso e volentieri sul “governo dei migliori”, mentre gli altri giornali si erano appiattiti sull’ex premier, rinunciando quasi del tutto ad esercitare l’elementare funzione di “cani da guardia della democrazia”, che nessun organo di informazione dovrebbe mai perdere di vista.
Ora alla Meloni non viene perdonato nulla e fin da subito si pretende da lei il massimo, senza darle minimamente il tempo di prendere le misure e di dimostrare la bontà delle sue scelte. Il mondo dei media non può e non deve mai assumere posizioni preconcette. Invece questo andazzo è assai diffuso nel nostro Paese. Trent’anni fa, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, anche il mondo dei media si è “bipolarizzato” (o di qua o di là) e quindi abbiamo assistito già in passato a queste demonizzazioni figlie del pregiudizio. Neppure i giornali di centrodestra ne sono stati immuni - sia ben chiaro - ma questo atteggiamento di elevato scetticismo e di forte irritazione che molti media mostrano nei riguardi di Giorgia Meloni e del suo esecutivo appare alquanto eccessivo e fuori luogo. I media riscoprano il sano spirito critico che si nutre di onestà intellettuale e di lealtà nei confronti dei protagonisti delle notizie e dei cittadini-utenti e giudichino il governo sulle cose che fa e non per il suo colore politico.