Il progetto Valditara vuole studenti come alcolisti anonimi
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Il progetto "Educare alle relazioni" del ministro Valditara si basa sul meccanismo del gruppo di consapevolezza: nello sforzo di liberare i partecipanti da elementi psicologici negativi, si rischia di destabilizzarli psicologicamente.
La tumultuosità degli eventi scatenati intorno all’ultima tragedia di morte femminile dovrebbe impensierire i genitori a cui verrà chiesto di firmare il consenso informato per la partecipazione dei propri figli al progetto di Educazione alle relazioni varato dal Ministro Valditara: un’iniziativa che si propone di combattere la violenza maschile incidendo sulle abilità relazionali di tutta la popolazione scolastica d’Italia, mica poco.
Si tratta di un esperimento che non è privo di rischi, che parte dalle certezze espresse nel discorso di un padre affranto, quello di Giulia Cecchettin, distribuito a tutte le scuole di ogni ordine e grado, che certificherebbe che in questo Paese esiste un patriarcato da debellare: di qui la corsa a rieducare tutti i maschi del Paese.
Come ha intuito Antonella Boralevi su HuffPost, si intende quindi allestire gruppi di consapevolezza del tipo Alcolisti Anonimi o Weight Watchers, «che in effetti funzionano». Certo, sono tecniche che vanno benissimo per guarire dall’alcolismo e dall’anoressia, ma che c’entrano gli studenti in salute con gli alcolizzati e gli obesi?
Suor Monia Alfieri obietterà che anche i ritiri che si tengono in ambito parrocchiale per semplici fidanzati o coppie sposate etc usano tecniche “behavioriste”, le cui lontane radici sono anch’esse nell’Encounter Group Movement, ma sono gruppetti con finalità precise, non quella di correggere metà dell’umanità.
In Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo di I. Yalom e M. Leszcz, un classico delle Scienze psicologiche, si legge di una vasta ricerca effettuata dalla Stanford University per verificare l’efficacia dei gruppi esperienziali che si propongono di cambiare i comportamenti e le personalità di soggetti normali. Fu allestito un corso a cui parteciparono 210 studenti, dai 18 ai 22 anni, distribuiti in modo randomizzato su 18 gruppi, ognuno dei quali si incontrò per 30 ore nell’arco di 12 settimane.
Al termine del gruppo, e nella verifica dopo sei mesi, un terzo dei partecipanti risultò aver avuto un cambiamento positivo (moderato o notevole) mentre circa due-terzi degli studenti ne ricavarono un’esperienza insoddisfacente, intesa come: nessun cambiamento, cambiamento in negativo, abbandono del corso oppure vittime: riportarono scompensi psicologici significativi e durevoli.
Quanto ai 69 del gruppo di controllo, studiato con gli stessi strumenti, essi rimasero sostanzialmente uguali a prima. Pertanto era stato chiaramente il gruppo d’incontro a influenzare quei cambiamenti che c’erano stati, sia nel bene sia nel male. Fra coloro che cambiarono in modo positivo, il 75 per cento mantenne il cambiamento per almeno sei mesi.
Anche volendo considerare il bicchiere un terzo pieno anziché due terzi vuoto – dal punto di vista di chi vuole cambiare pur di cambiare – va preso comunque atto del fattore di rischio emerso: 16 dei 210 studenti, ovvero l’8 per cento, subì danni psicologici significativi con strascichi che erano ancora presenti a distanza di sei mesi dalla fine del gruppo.
La ricerca è datata 1975 ma l’introduzione di strumenti informatici non ha cambiato i problemi di fondo che risiedono nel meccanismo stesso del gruppo di consapevolezza: nello sforzo di liberare i partecipanti da elementi psicologici negativi il gruppo è sollecitato infatti a condividere “apertamente” i propri pensieri più nascosti, un “denudarsi” psicologico che può anche destabilizzare dei soggetti, specie giovani, che fin lì avevano costruito con successo una facciata funzionante per rapportarsi al mondo.
In America, patria dei weight watchers, i gruppi di auto-aiuto che fanno educazione alla sensibilità tramite l’interazione fra i partecipanti sono di tanti tipi e hanno alle spalle decenni di storia, sia sul lavoro sia nel mondo dell’istruzione. L’impressione è che sulle personalità degli studenti queste educazioni alla sensibilità hanno in effetti inciso, rendendoli però molto più fragili ed emotivi che da noi. Si pensi ad esempio all’inserimento ormai normale fra le pagine dei libri dei “trigger warnings”, avvisi ormai da molti reclamati se assenti, per prevenire il lettore sensibile che se volterà pagina potrà trovare uno scritto o una foto che lo potrebbe turbare o a certe università che mettono a disposizione degli studenti degli angoli riforniti di fazzolettini da naso nel caso vogliano appartarsi a piangere. In questo modo gli Stati Uniti, ormai travolti dalla cultura woke, secondo alcuni, e anche a giudicare dai numeri, sono diventati una nazione di cittadini perennemente in terapia.
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