Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
SCENARI

Il mondo è nel caos, ma i media occidentali hanno paura di Trump

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C'è ovunque una esplosione di conflitti e l'Occidente si trova in crescenti difficoltà politiche ed economiche. E tutto questo è accaduto durante - e in gran parte a causa - delle scelte dell'amministrazione Biden. A fronte di questo è ridicolo pensare alle prossime elezioni americane lanciando allarmi contro la possibile elezione di Trump.
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Esteri 22_01_2024
Il presidente Trump

Le elezioni primarie negli Stati Uniti sono appena cominciate, ma già da mesi i media mainstream di gran parte dell'Occidente – e quelli italiani, come al solito, si segnalano per assoluta uniformità e toni esasperati – sono concordi nell'additare quella che per loro sarebbe la peggiore minaccia che incombe sul mondo: il possibile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.

Inviati speciali e paludati editorialisti fanno a gara nell'evocare gli scenari catastrofici che si concretizzerebbero per la pace, l'ordine mondiale e la democrazia se l'attempato “tycoon” dal ciuffo ribelle, dopo un quadriennio di presidenza di Joe Biden, riuscisse a prendersi la rivincita, nonostante i procedimenti giudiziari che pendono su di lui e i tentativi di invalidare la sua candidatura.

Ma come si presenta in realtà oggi la situazione politica internazionale? Qual è, in essa, la posizione attuale delle democrazie occidentali? Cosa è cambiato rispetto all'epoca del primo mandato di Trump? La risposta balza agli occhi ogni giorno. Il mondo appare disseminato di conflitti sempre crescenti, che minacciano di aggravarsi ed espandersi. Il quadro della famosa “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata anni fa da papa Francesco è diventato ormai una descrizione quasi cronachistica di quanto accade.

L'Occidente si trova in crescenti difficoltà politiche ed economiche, e si trova di fronte antagonisti sempre più forti e numerosi, più organizzati (vedi l'allargamento dei Brics) e in grado di approfittare dei suoi punti deboli. E, ciò che è più importante, questo quadro è maturato proprio nel corso della presidenza di Joe Biden, ed è direttamente correlato alla politica estera da lui condotta. L'invasione russa dell'Ucraina è stata l'esito di un lungo, ventennale deterioramento delle relazioni tra Occidente e Mosca, sfociato in una rinnovata spinta imperialistica regionale del regime di Putin: un deterioramento sul quale ha certamente influito l'atteggiamento a dir poco superficiale delle amministrazioni Bush jr e Obama.

Tuttavia, è indubbio che durante la presidenza Trump, in una situazione già gravemente compromessa dai fatti del 2014, la deterrenza statunitense nei confronti dell'espansionismo russo ha funzionato, mentre già dopo un anno dall'entrata in carica di Biden la situazione è precipitata.
Ora, è chiaro a chiunque non abbia paraocchi ideologici che non soltanto l'amministrazione Biden non è riuscita a evitare quella deriva, ma la sua risposta è stata fallimentare, e oggi la situazione è peggiore di due anni fa. L'Ucraina non poteva certo vincere una guerra contro il suo ingombrante e imperiale vicino, e l'Occidente non poteva difenderla entrando apertamente in guerra contro quella che è ancora la seconda potenza militare e nucleare del mondo.
Le alternative erano due: o cercare immediatamente una soluzione diplomatica che salvasse, per quanto possibile, la sicurezza e l'indipendenza di Kiev e ponesse le basi di un sistema di sicurezza complessiva dell'Europa orientale, oppure sostenere militarmente l'Ucraina, con l'unica possibile prospettiva di attutirne la sconfitta, al prezzo salatissimo di una radicalizzazione del confronto nel vecchio Continente, della moltiplicazione di focolai ulteriori di conflitto, di contraccolpi economici pesantissimi sui paesi europei alleati.

Biden ha scelto questa seconda via, la Nato e l'Ue lo hanno seguito pedissequamente. La conseguenza è che due anni dopo - nonostante tutti gli sforzi occidentali e le sanzioni contro Putin, e la promessa che questo avrebbe scoraggiato le sue velleità - la minaccia di una “spallata” delle truppe di Mosca e di una rovinosa sconfitta ucraina è sempre incombente; tutti i paesi Nato confinanti con la Russia, Polonia e stati baltici in testa, temono ulteriori minacce e provocazioni, e l'Alleanza addirittura evoca possibili scenari apocalittici di una guerra mondiale contro la Russia combattuta in tutta Europa: come si evince dalle esercitazioni Steadfast Defender 2024, e dalle inquietanti esternazioni del capo del Comitato militare Nato, Rob Bauer, il quale ha dichiarato addirittura che «i privati cittadini devono essere pronti per un conflitto che richiederebbe un cambiamento radicale nelle loro vite» e che «in caso di guerra sarà necessario mobilitare un gran numero di civili».

Davanti a una tale prospettiva, appaiono ridicoli e in malafede gli allarmi lanciati dai media mainstream occidentali sul rischio che Trump, una volta eletto, potrebbe (orrore!) giungere a una pace con il Cremlino, e “abbandonare” l'Europa a Putin.
Ma davvero qualcuno crede seriamente che, in un quadro di deterrenza nucleare, i russi potrebbero lanciare un'invasione del continente in stile hitleriano, con conseguente guerra convenzionale? Davvero qualcuno può pensare a un Trump che disarma la Nato, disinteressandosi delle sorti del continente?

Uno scenario analogo è quello mediorientale. Anche in questo caso l'amministrazione Trump aveva conseguito risultati incoraggianti di stabilizzazione, con gli storici Accordi di Abramo, avvicinando un accordo di sistema tra Israele e Arabia Saudita che sarebbe stato risolutivo, e isolando l'Iran, fonte principale di destabilizzazione dell'area. Biden ha intrapreso una via specularmente opposta, isolando i sauditi e riaprendo il dialogo con Teheran. E i risultati si sono visti: una reazione a catena catastrofica, con il feroce eccidio di Hamas contro Israele del 7 ottobre, verosimilmente supportato dagli iraniani, l'inevitabile massiccia reazione militare degli israeliani, il riaccendersi del fronte libanese di Hezbollah, la minaccia degli Houthi yemeniti alle rotte commerciali del Mar Rosso, il ritorno dell'Isis, il contagio della guerra tra Iran e Pakistan.

Ma davvero dopo questo sfacelo qualcuno può seriamente sostenere che la minaccia per la pace in Medio Oriente e per la sicurezza di Israele sarebbe un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca, sarebbe il suo “isolazionismo”? Più in generale, appare davvero incredibile che tanti osservatori autorevoli non vedano – o fingano, per partigianeria, di non vedere - come tutta la politica estera statunitense e occidentale degli ultimi anni avrebbe bisogno di un radicale ripensamento. Come il velleitarismo globale dell'amministrazione Biden abbia condotto le democrazie liberali in un vicolo cieco. E come, al contrario, la possibile ripresa della politica estera realista condotta da Trump durante il suo primo mandato potrebbe rappresentare un'alternativa quanto meno ragionevole, se non urgente.



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