Il gender nella Chiesa: un problema di linguaggio e di crisi di fede
Molti teologi dimostrano una subalternità culturale nei confronti dell'ideologia gender che viene spinta soprattutto nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite e che ha come scopo anche il cambiamento del linguaggio nella Chiesa. Parla Jane Adolphe, coordinatrice del Convegno a Roma in risposta alla "nuova" etica della Pontificia Accademia per la Vita.
È ormai noto a tutti che da anni è in atto un piano per introdurre l’ideologia gender all’interno della Chiesa, in modo da favorire un’ulteriore normalizzazione della deriva antropologica. Se n’è discusso ampiamente durante il convegno A Response to Pontifical Academy for Life, conclusosi sabato scorso a Roma e promosso dall’International Catholic Jurist Forum. Il tema è stato sviluppato in modo specifico da alcuni relatori, tra cui Jane Adolphe, avvocato canadese, esperta di diritti umani e docente di diritto presso l’Ave Maria School of Law di Naples (Florida).
A colloquio con la Nuova Bussola Quotidiana, la professoressa Adolphe ha illustrato i termini della questione: parole come diversità, uguaglianza o unità appartengono da sempre al vocabolario della Dottrina Sociale Cattolica. La manipolazione semantica, tipica delle ideologie anticristiane, ha funzionato da cavallo di Troia per l’ingresso della mentalità “arcobaleno” in Vaticano, nelle curie e nei seminari di buona parte del mondo: la crisi di fede di molti uomini di Chiesa ha fatto il resto.
Professoressa Adolphe, durante il convegno, lei ha parlato di pressioni internazionali ai danni della Chiesa Cattolica sui temi della famiglia e della contraccezione: storicamente come si colloca questo fenomeno?
Le pressioni internazionali di cui ho discusso nascono, in modo particolare, nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite. Pertanto, sia il Papa che, più in generale, la Santa Sede con i suoi dicasteri, operano in maniera sovrana in questo sistema orizzontale. Nell’ambito del sistema di cui ho parlato al convegno, vi sono tre fasi storiche, con le relative terminologie, in cui si manifestano queste pressioni in tema di ideologia gender. Nello specifico, ho parlato di “gender war I”, “gender war II” e “gender war III”. Nel primo stadio, la “guerra” è tra gli stati e alcune delle organizzazioni non governative che operano nel sistema. La “prima guerra mondiale” a sfondo gender ha luogo tra gli anni ’90 del secolo scorso fino al 2011: l’oggetto del contendere è il significato di gender. La seconda fase della stessa guerra prende forma tra il 2011 e il 2016 ed è focalizzata sulle espressioni orientamento sessuale e identità di genere (SOGI). La terza fase inizia nel 2016, perdura ancora oggi e riguarda i concetti di diversità, inclusione ed equità (DIE). Ho parlato, dunque, della risposta della Santa Sede a queste sfide in merito a queste tre visioni intorno all’ideologia gender e ai linguaggi di volta in volta utilizzati.
Durante il convegno si è parlato a lungo della Humanae Vitae: anche San Paolo VI ricevette pressioni prima di pubblicare questa enciclica?
Non sono un’esperta dell’Humanae vitae, comunque, dalla prospettiva internazionale che emerge dai miei studi riguardo a quell’epoca, riscontriamo che Margaret Sanger (1879-1966) istituì la prima clinica per il controllo delle nascite negli USA nel 1911 e, in seguito, diede vita ad ulteriori organizzazioni che poi si evolvettero in Planned Parenthood. Si trattò della prima grande spinta alla diffusione della contraccezione. Sappiamo che anche nelle Nazioni Unite, troviamo una lunga tradizione di propaganda a favore del controllo demografico. Immagino che San Paolo VI dovette fronteggiare questo tipo di pressioni non solo dentro la commissione ma anche fuori dalla stessa.
Cos’è che attualmente minaccia di più la dottrina della Chiesa? I pericoli maggiori sono più esterni o interni?
Da una prospettiva internazionale, riscontriamo pressioni esterne. Parte della mia relazione pone l’attenzione sull’uso di un certo linguaggio per imporre una certa ideologia legata alla rivoluzione sessuale che sta continuando a promuovere queste ideologie attraverso gli archetipi dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, della diversità e dell’inclusione: ciò è quanto avviene dall’esterno. Per quanto concerne le influenze che arrivano dall’interno, il fatto di adottare queste espressioni, il fatto che abbiamo teologi che promuovono un paradigma di cambiamento, significa che costoro hanno adottato alcune delle ideologie e le stanno promuovendo. Se stanno facendo questo è perché, a monte, c’è una mancanza di fede che porta al rigetto di Cristo, della sua autorità, della Chiesa e dei suoi insegnamenti.
Che bilancio trae da questi tre giorni di convegno?
L’intera conferenza offre uno studio sulla diversità, sulla complementarità, sull’unità e sull’uguaglianza nell’ambito del significato che hanno all’interno della ricca tradizione della Chiesa. Nella tradizione cattolica, c’è una specifica definizione dei termini diversità, unità e eguaglianza. Queste parole hanno a che fare con una teologia profonda e con il suo radicamento in Cristo e questo convegno è un esempio di questi principi che appartengono alla nostra tradizione. Dobbiamo renderci conto che adesso queste parole sono state manipolate per portare avanti l’ideologia del gender.