Il Concilio di Basilea e il nuovo scisma
Il Concilio apertosi a Basilea nel marzo 1431 si rivelò presto un conciliabolo, dove i vescovi erano pressoché assenti. Eugenio IV lo sciolse, provocando la reazione dei conciliaristi, che infine portò all’elezione di un nuovo antipapa.
Il nuovo papa, Eugenio IV (1383-1447), era un uomo fedele: fedele alla vita sacerdotale, ai cui impegni non derogò mai, e fedele ai due papi che aveva servito in tempi oltremodo difficili e turbolenti per oltre vent'anni, ossia Gregorio XII e Martino V. Al conclave che lo aveva eletto, aveva dovuto promettere una sottomissione al Sacro Collegio, il quale – come visto nell'articolo precedente – voleva esercitare un controllo sia sul concilio ormai prossimo, sia sul papa stesso. Ma di fatto, papa Eugenio aveva ben vivo il senso del primato del vescovo di Roma, e non si lasciò sottomettere dai cardinali.
Il concilio che era stato convocato da Martino V poco prima della sua morte, si aprì a Basilea nel marzo del 1431, ma di fatto rivelò subito i tratti di un conciliabolo, dove i vescovi erano pressoché assenti (presenti solo 14) e lo stesso cardinale Cesarini, che Martino V aveva scelto per presiedere il concilio venturo, non era presente, impegnato a tenere a bada il movimento hussita. Si trattava in sostanza di un gruppetto di abati e chierici, che avevano autoproclamato il loro concilio come ecumenico, senza alcuna approvazione del papa. Da che parte si sarebbe andati a parare, lo si poteva comprendere facilmente.
E infatti Eugenio IV lo capì. Con una lettera del 18 dicembre 1431 dichiarò sciolta l'assise conciliare. Fu un intervento energico, ma troppo diretto, perché inevitabilmente finì per provocare una sollevazione contro il Papa, considerato semplicemente come refrattario alle riforme, quella sollevazione foriera di un nuovo scisma che Martino V aveva cercato di evitare in ogni modo (vedi qui e qui).
E infatti i presenti al Concilio attaccarono frontalmente il Papa: confermarono i decreti delle prime sessioni del Concilio di Costanza, non approvate da Martino V, per ribadire la sottomissione del Papa al concilio e dichiararono che il concilio non può essere sciolto o trasferito se non per deliberazione del concilio stesso. Proibirono inoltre a chiunque di abbandonare la città di Basilea prima della chiusura del sinodo. L'intervento del Papa ebbe, tra l'altro, l'effetto opposto, cioè quello di risvegliare interesse e simpatia verso un concilio che era rimasto periferico: vari principi, i re di Francia e d'Inghilterra e persino l'imperatore ora incoraggiavano l'assise a proseguire; le università europee – quelle università così zelanti nel sostenere il conciliarismo – appoggiarono la presa di posizione dei padri di Basilea; persino alcuni cardinali, fino ad allora assenti, decisero di prendere parte al concilio.
La mossa imprudente di Eugenio IV aveva portato chiaramente alla luce che il decreto Haec sancta (vedi qui) era stato recepito da moltissimi come l'effettivo riconoscimento da parte della Chiesa della superiorità del concilio sul papa, e non come un’ammonizione perentoria, dovuta alla situazione particolarmente grave che si protraeva da decenni. Le teorie conciliariste, risposta sbagliata ad un problema reale, si erano protratte ormai da troppo tempo e si erano radicate anche tra i migliori intellettuali e teologi, come Nicola Cusano (1401-1464), che più tardi verrà creato cardinale. Cusano aveva dedicato le sue prime opere “di gioventù” – il De concordantia catholica e il De maioritate auctoritatis sacrorum conciliorum supra auctoritatem papae, entrambe del 1433, dunque in pieno svolgimento del concilio – proprio ad espandere l'autorità del concilio e restringere quelle del romano pontefice.
Eugenio IV reagì con due bolle che intendevano annullare tutte le decisioni prese a Basilea. Il concilio reagì pesantemente: ribadì i decreti problematici di Costanza, confermò le proprie decisioni e diede l'ultimatum al papa: se non si fosse recato a Basilea sarebbe stato deposto. Di fronte ad un imminente scisma, supplicato da coloro che più gli erano vicini, incluso l'imperatore Sigismondo, il Papa decise di cercare una mediazione, emanando una nuova bolla, la Dudum sacrum (1 agosto 1433), con la quale autorizzava il proseguimento del concilio, ma con riserva sui suoi decreti. Riserva che non venne ben accolta. L'invasione dello Stato pontificio da parte di Filippo Maria Visconti (1392-1447) costrinse il Papa alla fuga da Roma e lo fece capitolare per un momento di fronte al concilio: una nuova bolla, con lo stesso nome della precedente (15 dicembre 1433), accettava quanto deciso dal concilio e ne ammetteva la prosecuzione. In cambio, i padri riuniti a Basilea ritirarono le procedure contro il Papa, esigendo dai suoi legati che promettessero fedeltà all'assise, che obbedissero alle sue decisioni e che sottoscrivessero che ogni concilio riceveva la sua autorità direttamente da Cristo, senza la mediazione papale.
Fu proprio nel momento della maggior debolezza del papato, capitolato ed esule, che il quadro cambiò. Nel 1433, il concilio di Basilea aveva messo sul tavolo l'importantissima questione dell'unione con le Chiese greche. Eugenio IV fu abile nel fare propria questa nuova causa, per la quale indisse un nuovo concilio, che si sarebbe dovuto tenere a Ferrara. La maggioranza dei presenti a Basilea decise invece che la riunione doveva tenersi nella città svizzera. Si arrivò quasi alle mani. Il Papa ordinò così che sul Concilio di Basilea calasse il sipario, spostando gli interessi dei vescovi verso la nuova questione della riunificazione con i greci. La scelta del Papa creò attorno a lui un nuovo consenso. Anche perché i legati greci, che si erano recati a Basilea, dovettero toccare con mano il clima di conflitto e anarchia che vi regnava. Decisero così di abbandonare l'assise e recarsi direttamente da Eugenio IV, che risiedeva a Bologna, sostenendo la sua proposta per il nuovo sinodo.
Fu uno smacco per la maggioranza presente a Basilea, che reagì richiamando nuovamente il Papa “a giudizio”. Questa volta Eugenio IV tirò dritto: diede ancora trenta giorni di tempo a quel concilio per chiudere la questione degli hussiti e convocò quello di Ferrara, per l'8 gennaio 1437. Anche la resistenza di Basilea, ormai costituita prevalentemente da accademici e preti (come lo era stata già dall'inizio), continuò per la propria strada: si ebbero così due concili contrapposti e una nuova divisione nella Chiesa. E ancora due papi. I resistenti di Basilea giunsero a dichiarare scismatico il nuovo Concilio di Ferrara, ed eretico Eugenio IV, in quanto rifiutava la dottrina del primato del concilio, considerata di fede cattolica. Il Papa fu per questo deposto e un nuovo conclave, presente il solo cardinale Louis d'Aleman (ca 1390-1450), elesse un antipapa, Amedeo VIII di Savoia (1383-1451), che prese il nome di Felice V. E che ebbe “l’onore” di essere l'ultimo antipapa della storia della Chiesa (almeno, fino ad ora).
Verso un Concilio scismatico
Martino V riuscì, senza esporsi troppo, a evitare di approvare in toto gli atti del Concilio di Costanza e seppe gestire il decreto Frequens, impregnato di ideologia conciliarista. Che però proseguì il suo corso, con la minaccia di un nuovo scisma.
Il Concilio dibattuto
Al Concilio di Costanza (1414-1418) confluirono certi fermenti dei decenni precedenti, che puntavano a ridurre la pienezza della potestà del papa. Il decreto Haec sancta fu frutto di questa tendenza, ma da quel che risulta non fu recepito dal pontefice. L'escamotage di Martino V.
Il conciliarismo
Al Concilio di Costanza fu approvato il decreto Hæc sancta con un paragrafo molto controverso, perché sosterrebbe un’idea eretica, cioè la superiorità dei concili sul papa. Una posizione, il conciliarismo, con sfumature diverse, che affondava le sue radici nei secoli precedenti.