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processi mediatici

Il caso Toti, cortocircuito tra giustizia e informazione

Nessuno al momento può valutare l'innocenza o la colpevolezza del governatore della Liguria, ma la sentenza è già stata preceduta dal profluvio di notizie e intercettazioni volte a orientare l'opinione pubblica. 

Editoriali 25_05_2024
Foto Marco Alpozzi/LaPresse

Non ci sono elementi per poter assolvere o condannare Giovanni Toti, neppure dopo l’interrogatorio fiume di due giorni fa. Il governatore, ai domiciliari con l’accusa di corruzione e falso, ha risposto a tutte le 180 domande dei pubblici ministeri, titolari dell’inchiesta sulla corruzione nel porto di Genova, e ha depositato una memoria di 17 pagine. L’interrogatorio si è svolto nella caserma della Guardia di Finanza, proprio per evitare sguardi indiscreti e clamori mediatici.

Il succo della difesa di Toti è in una frase da lui pronunciata in modo chiaro: «Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati». E ancora alla domanda se avesse chiesto finanziamenti all'imprenditore Aldo Spinelli, ha risposto: «Non lo ricordo ma è possibile. Il gruppo Spinelli ha cominciato a sostenere i miei comitati politici dal 2015 e questo rapporto è durato fino a ora».

Altra affermazione perentoria di Toti: «Ogni dazione di denaro è stata accreditata con metodi tracciabili e rendicontata. Del pari tutte le spese sostenute sono state rendicontate e pubblicizzate in termini di legge e anche oltre. I bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno».

Nelle sue parole anche argomentazioni molto nette contro le accuse di voto di scambio: «È da evidenziare che vinsi le elezioni con circa 380mila voti. Il sostegno della Comunità riesina si sostanzia, nelle indagini, con una certa approssimazione, di 400 voti, giusto per proporzione e per capire che l'apporto non è tale da turbare l'equilibrio democratico del voto, per altro particolarmente irrilevanti nel caso del candidato, Ilaria Cavo, a cui viene attribuito il mio appoggio».

Toti si è difeso da tutte le accuse, ha sempre dichiarato di non aver commesso reati e ora è intenzionato a chiedere al giudice per le indagini preliminari la revoca della misura cautelare. Entro una settimana si capirà se ciò accadrà, dopo di che il governatore valuterà il da farsi, cioè se dimettersi o se rimanere in sella fino alla scadenza del suo mandato, prevista per l’anno prossimo.
Ma al di là di quello che deciderà l’autorità giudiziaria alcune riflessioni sul rapporto (malato) tra giustizia e politica si impongono.

Non si tratta di essere innocentisti o colpevolisti a priori. Come detto, nessuno al momento è in grado di valutare se Toti sia colpevole dei reati che gli vengono contestati. Ci vorrà un processo per stabilire le sue eventuali responsabilità.
Il nodo però è un altro e riguarda l’autonomia della politica da un lato e il cortocircuito tra giustizia e informazione, che finisce per compromettere la serenità di chi governa la cosa pubblica. In altre parole, la democrazia rappresentativa si regge su governanti che vengono eletti dai cittadini, amministrano la cosa pubblica e vengono giudicati dal popolo sulla base di quello che hanno fatto.

La magistratura entra spesso a gamba tesa nelle vicende politiche e, giocando sul clamore mediatico di alcune inchieste, punta a disarcionare chi governa e a imporre nuovi equilibri tra le forze politiche, calpestando la volontà popolare.
Non si tratta di difendere Toti a prescindere. Anche se alla fine risultasse colpevole, il discorso non sarebbe diverso: occorre rispettare la presunzione di innocenza, raccontare ai cittadini le accuse ma dando anche la possibilità agli accusati di difendersi. Fino all’interrogatorio di Toti di due giorni fa non bisognava pubblicare quel profluvio di intercettazioni decontestualizzate e che hanno plasmato il punto di vista colpevolista ormai dominante nell’opinione pubblica.

I processi mediatici inquinano il corretto funzionamento della democrazia e andrebbero puniti, come previsto dal Codice di autoregolamentazione promosso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) nel 2009 e sottoscritto da tutte le emittenti radiotelevisive. Le televisioni e in generale i mezzi d’informazione dovrebbero astenersi dal pubblicare informazioni ancora parziali, frammentate e prive di riscontri effettivi per non compromettere l’andamento delle indagini e dell’eventuale processo e, soprattutto, per non ledere in maniera spesso irreparabile l’onore e la reputazione delle parti coinvolte.

L’accanimento contro persone che devono ancora essere giudicate è contrario ai principi della civiltà giuridica e sottrae serenità alle indagini e al processo. In altri termini, se oggi Toti, dopo l’interrogatorio, venisse scarcerato, la reazione popolare potrebbe essere negativa perché tutto quello che è stato improvvidamente pubblicato (senza contraddittorio) nei giorni scorsi disegna un quadro criminale e orienta segnatamente la valutazione dell’opinione pubblica in una direzione colpevolista.

Occorre, quindi, sobrietà perché sarebbe sbagliato essere innocentisti a priori ma è doveroso in uno Stato democratico essere garantisti e rispettosi della dignità degli indagati.



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