Guerra a Taiwan? Un'ipotesi sempre più concreta
La prossima guerra sarà a Taiwan nel 2025? Di questo si dice convinto il generale Michael Minihan, dell’Aviazione degli Stati Uniti, di ritorno da un turno sul fronte indo-pacifico. Una sua comunicazione interna, destinata ai suoi colleghi e subordinati, è trapelata alla stampa. E conferma molte altre previsioni simili. Gli Usa sono pronti?
La prossima guerra sarà a Taiwan nel 2025? Di questo si dice convinto il generale Michael Minihan, dell’Aviazione degli Stati Uniti, di ritorno da un turno sul fronte indo-pacifico. Una sua comunicazione interna, destinata ai suoi colleghi e subordinati, è trapelata alla stampa, in particolare alla Tv Nbc ed è stata divulgata, suscitando grande scalpore. Voluta o no che sia questa indiscrezione (il Pentagono ha preso formalmente le distanze), la profezia dell’alto ufficiale impone una riflessione sul nostro prossimo futuro.
I commenti del generale “non riflettono il punto di vista di questo dipartimento sulla Cina”, ha dichiaro alla Nbc un portavoce del Pentagono. Però è coerente con quello che hanno già affermato altri ufficiali e analisti statunitensi. Minihan, nella sua comunicazione interna, non ha avuto peli sulla lingua. Ha invitato tutti i piloti e gli specialisti ad addestrarsi al combattimento, per essere “pronti a combattere e vincere la battaglia nella prima catena di isole” a Est della costa cinese. “Io spero di sbagliare, ma scommetto che combatteremo nel 2025”. Già nel 2021, l’ammiraglio Phil Davidson, in un’audizione al Congresso, aveva dichiarato che la Cina fosse pronta ad attaccare Taiwan “prima del 2027”. Questo perché Pechino “sta accelerando il suo programma per soddisfare l’obiettivo di rimpiazzare gli Usa”, quale prima potenza nel Pacifico. Il periodo che va dalla fine del 2024 all’inizio del 2025 è particolarmente critico, considerando che si terranno le elezioni sia a Taiwan che negli Usa. Dal punto di vista del regime comunista cinese, potrebbe essere un momento di debolezza per le due democrazie.
Non si tratta dunque di una previsione che giunge come un fulmine a ciel sereno. Da tempo si parla di un’invasione cinese di Taiwan nei prossimi due-tre anni al massimo. Mentre le stime precedenti escludevano che Pechino fosse in grado di gestire un’operazione così complessa prima della fine degli anni ’20, l’accelerazione del programma militare impressa da Xi Jinping, oltre alla sua retorica bellicosa, fanno pensare ad uno scenario peggiore, in un futuro molto più vicino.
Chi vincerebbe la prossima guerra? Apparentemente è impossibile sfidare gli Usa nel Pacifico. Numericamente e qualitativamente parlando, fra le due flotte contrapposte non ci sarebbe partita. Ma la guerra a Taiwan sarebbe necessariamente asimmetrica. La Cina tenterebbe, da subito, di bloccare l’isola e di tagliarla fuori da eventuali rinforzi in arrivo dal Giappone e dagli Stati Uniti. Inoltre non è affatto automatico che questi ultimi vogliano intervenire: non solo non c’è un trattato analogo alla Nato, ma addirittura, sul piano formale, Taiwan non è neppure riconosciuta dagli Usa come Stato indipendente e alleato.
Il prestigioso Center for Strategic and International Studies (Csis) ha condotto decine di simulazioni dell’attacco. Nella stragrande maggioranza degli scenari, la Cina perde la guerra o il conflitto si conclude con uno stallo sfavorevole a Pechino. Ma se si eliminano gli Usa dallo scenario e Taiwan deve difendersi da sola, allora nella maggior parte delle simulazioni vince la Cina. In tutti i casi, le perdite sono altissime. Gli Alleati perderebbero, comunque, navi nell’ordine delle decine, aerei nell’ordine delle centinaia e uomini nell’ordine delle decine di migliaia. L’opinione pubblica americana sarebbe disposta a sopportarlo? E gli Usa dispongono di sufficienti scorte di armamenti? Secondo il Csis: no. Certe armi, fra cui tutti i missili di precisione a lungo raggio, verrebbero esaurite nella prima settimana di scontro con la Cina.
Questo è il tasto dolente, emerso con la guerra in Ucraina: la carenza di armi e la lentezza della loro produzione. In una precedente analisi del Csis, il direttore del Centro, Seth Jones, si chiedeva: “Come è possibile esercitare un deterrente se non hai sufficienti scorte dei tipi di munizioni di cui hai bisogno per una guerra nello stretto di Taiwan?” In una guerra contemporanea su vasta scala, l’attrito è di proporzioni molto superiori alle sfide che sinora gli Usa hanno dovuto affrontare. Per fare qualche esempio: il numero di missili Javelin (anti-carro) mandati all’Ucraina da agosto ad oggi, è pari a sette anni della loro produzione. Il numero di missili Stinger (anti-aerei) inviati a Kiev è pari a 20 anni di loro esportazione ad altri alleati. Altre armi che sarebbero indispensabili in una guerra a Taiwan, come i missili Harpoon (anti-nave) sono disponibili in quantità considerate “non sufficienti” per una guerra vera.
La politica dell’amministrazione Biden pare combinare una grande assertività nei toni, ma non altrettanta determinazione sul piano militare. L’attuale presidente ha dichiarato più volte (violando la consueta ambiguità) di essere pronto a intervenire per difendere Taiwan. Salvo correggersi, ribadendo la politica di “una Cina” (gli Usa riconoscono solo Pechino). Al tempo stesso l'amministrazione americana sta varando leggi per rendere l'economia Usa meno dipendente da Taiwan, soprattutto rilanciando la produzione domestica dei semi-conduttori (di cui attualmente Taipei è quasi monopolista), come se la stesse già dando per persa. Sono segnali contrastanti, ambigui, che possono scoraggiare gli alleati e incoraggiare i loro nemici. Sul piano militare, è solo su insistenza del Congresso che le spese militari sono aumentate. La proposta dell’amministrazione Biden era quella di ridurle ulteriormente. Debolezza militare, ambiguità nel sostegno degli alleati e durezza retorica possono essere una combinazione letale, come ha già dimostrato l'invasione russa dell'Ucraina, la prova, nel mondo reale, che una potenza avversaria non ha creduto nel deterrente americano.