Giornata per la Vita, un messaggio che indica Cristo
Ricco di spunti il messaggio della CEI per la 45^ Giornata per la Vita (5 febbraio), dal titolo «La morte non è mai una soluzione». Si smonta l’idea che aborto, eutanasia e suicidio assistito rispettino la vera libertà. Si centra il problema alla base della cultura della morte. E si indicano come risposte la retta ragione e Cristo crocifisso e risorto.
Il 5 febbraio prossimo si celebrerà la 45^ Giornata per la Vita. Come di consueto il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato un messaggio per questa giornata dal titolo «La morte non è mai una soluzione. “Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte” (Sap 1,14)».
Il messaggio, a parte una citazione elogiativa di una sezione della Legge 194, è ricco di spunti interessanti. I vescovi partono dalla considerazione che sempre più si deve «constatare come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali. Tanto più che dietro tale “soluzione” è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto». La morte, continua il messaggio, sembra proprio la soluzione per ogni difficoltà: quando si presenta una gravidanza non prevista, «quando una malattia non la posso sopportare, quando rimango solo, quando perdo la speranza, quando vengono a mancare le cure palliative, quando non sopporto veder soffrire una persona cara», quando si acuiscono le relazioni conflittuali dei popoli, etc. Tutto questo contribuisce alla «cultura di morte» che così «si diffonde e ci contagia».
Poi il messaggio ci pone un interrogativo suggestivo: «Ma poi, dare la morte funziona davvero?». E così prosegue: «Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso? […] Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire? […] Siamo sicuri che dietro il crescente fenomeno dei suicidi, anche giovanili, non ci sia l’idea che “la vita è mia e ne faccio quello che voglio”?».
I vescovi poi centrano il problema di fondo: il giudizio sulla qualità della vita, propria e altrui, legato al principio di auto-eterodeterminazione inteso in senso assoluto. «Alla fondamentale fiducia nella vita e nella sua bontà – per i credenti radicata nella fede – che spinge a scorgere possibilità e valori in ogni condizione dell’esistenza, si sostituisce la superbia di giudicare se e quando una vita, foss’anche la propria, risulti degna di essere vissuta, arrogandosi il diritto di porle fine».
Alla base di questa cultura della morte c’è la ricerca di un senso dell’esistenza solo orizzontale, monco della sua visione trascendente. Significativo a questo proposito il rimando alla stagione pandemica: «Il turbamento di molti dinanzi alla situazione in cui tante persone e famiglie hanno vissuto la malattia e la morte in tempo di Covid ha mostrato come un approccio meramente funzionale a tali dimensioni dell’esistenza risulti del tutto insufficiente».
Quale la risposta a simile deriva? I vescovi indicano innanzitutto una doppia soluzione: Cristo crocefisso e risorto e la retta ragione. «Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indica una strada diversa: dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa. Ci aiuta ad accogliere la drammatica prepotenza della malattia e il lento venire della morte, schiudendo il mistero dell’origine e della fine. Ci insegna a condividere le stagioni difficili della sofferenza, della malattia devastante, delle gravidanze che mettono a soqquadro progetti ed equilibri».
Infine indicano altri tre strumenti: la preghiera, l’azione concreta e l’esempio di vita, perché la vita vissuta in pienezza può contagiare gli altri e disinnescare tentazioni mortifere. A tal proposito il messaggio indica «la capacità di promuovere e sostenere azioni concrete a difesa della vita, mobilitando sempre maggiori energie e risorse». Fondamentale poi che ogni azione sia supportata dalla «carità che sappia farsi preghiera e azione». Infine il richiamo ad uno «stile di vita coniugale, familiare, ecclesiale e sociale, capace di seminare bene, gioia e speranza anche quando si è circondati da ombre di morte».
Aggiungiamo infine un ultimo suggerimento: capacità di lavorare insieme tra le realtà pro vita, lasciando fuori dalla porta divisioni, invidie, battibecchi, rivalità e personalismi. La mancanza di unità collabora, seppur indirettamente, ad accrescere la cultura della morte.