Francesco in Ungheria: elogi non scontati e qualche monito
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Il Papa rispolvera i principi non negoziabili e addirittura indicando Budapest come un modello per il resto dell’Europa su famiglia e natalità, temi su cui il Paese è isolato rispetto all'Ue, così come sul conflitto in Ucraina. Ma non c’è stato solo miele, anche qualche tuono sui migranti e sul rapporto con la società secolarizzata.
Il Papa usa il bastone e la carota nel primo giorno del suo 41° viaggio apostolico. Nell’Ungheria di Orban, infatti, incontrando le autorità, Francesco rispolvera i principi non negoziabili e lo fa prendendosela implicitamente con l’Unione Europea, colpevole di voler trasformare l’Europa in una «realtà fluida, se non gassosa», quello che definisce significativamente come un «sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli».
Sono parole importanti anche perché pronunciate di fronte a quelle autorità ungheresi che con Bruxelles sono quasi in guerra aperta. E in che modo avviene questo tentativo di trasformazione? Attraverso, dice il Papa, «la via nefasta delle "colonizzazioni ideologiche", che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, che appunto elimina le differenze o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato "diritto all'aborto", che è sempre una tragica sconfitta». Parole che faranno piacere al governo ungherese finito sul banco degli imputati in Ue per la legge anti-propaganda Lgbt.
Francesco riserva elogi non scontati, addirittura indicando Budapest come un modello per il resto dell’Europa su alcune tematiche specifiche, in particolare la lotta all’inverno demografico. Lo si è visto con i complimenti per le «politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese». E poi, come previsto nelle ricostruzioni che hanno anticipato questo viaggio, non è mancato il riferimento al vicino conflitto in Ucraina su cui Budapest balla da sola rispetto al resto dei Paesi Ue.
All’Ungheria, ricordando il passato di sofferenza sotto la dittatura comunista, Francesco ha riconosciuto la «missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace». E su questo tema, il Papa non si è tirato indietro ed ha parlato esplicitamente: «Mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace? Dove stanno?», ha sferzato, criticando anche «l’infantilismo bellico». Toni che dimostrano la sintonia sull’argomento con le autorità ungheresi. Nel suo discorso di benvenuto , infatti, la presidente Katalin Novak gli ha chiesto di «intercedere personalmente per una pace giusta il prima possibile». E a sua volta Francesco, nel loro colloquio, le ha chiesto di essere «un ambasciatore di pace». Se c’erano dubbi sul favore con cui il Papa guarda alla posizione disallineata di Budapest, questa prima giornata non può che averli fugati.
Ma non c’è stato solo miele per il governo ungherese. Francesco, infatti, si è fatto sentire ed ha tuonato contro populismi e nazionalismi, richiamando Budapest alla sua natura di «città di ponti» e ricordando che «i valori cristiani non possono essere testimoniati attraverso rigidità e chiusure». L’intenzione è evidente: un’ammonizione sull’accoglienza dei migranti su cui il governo ungherese ha da sempre adottato la linea dura. Un governo che non nasconde nel dibattito pubblico i suoi richiami al cristianesimo. E il Papa, a cui pure non piace il «laicismo diffuso, il quale si mostra allergico ad ogni aspetto sacro per poi immolarsi sugli altari del profitto», non tace però l’invito a «non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere».
Nell’ambito del rapporto tra Stato e Chiesa – tema che, come abbiamo visto ieri, è stato al centro di un sondaggio tra i fedeli dei gesuiti ungheresi – lui auspica «una sana laicità» dove «chi si professa cristiano, accompagnato dai testimoni della fede, è chiamato principalmente a testimoniare e a camminare con tutti». Più tardi Francesco è stato anche più duro nell’incontro con i vescovi e con il clero ungherese con i quali ha condannato la tentazione di «un atteggiamento da "combattenti'”»di fronte al secolarismo che non risparmia neanche l’Ungheria.