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la commedia degli equivoci

Fiducia supplicans: il Papa semina dubbi e Tucho li coltiva

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Incontrando il clero romano il Pontefice spiega che non si benedice il peccato, ma le persone e queste «forse vengono come coppie o come persone». A confondere ulteriormente le carte ci pensa il cardinal prefetto.

Editoriali 15_01_2024
Foto Alessandro Sardo/Vatican Media/LaPresse

Sabato 13 gennaio, papa Francesco ha incontrato il clero romano ed ha risposto ad alcune domande che gli sono state poste durante l’incontro, avvenuto  a porte chiuse. Alcuni interrogativi hanno riguardato la recente e discussa Dichiarazione Fiducia supplicans e, come riportato dall'Ansa, il Papa avrebbe dato prova di un circiterismo (copyright di Romano Amerio) da manuale. Dapprima si sarebbe espresso sul fatto che le benedizioni riguardano le «persone, non le organizzazioni. Se viene l'associazione Lgbt no, le persone invece sempre». Ma poi avrebbe aggiunto che «forse vengono come coppie o come persone»; ad ogni modo «noi benediciamo le persone, non il peccato». E ha fatto infine un esempio: «Quando benediciamo un imprenditore non ci chiediamo se ha rubato».

Quindi, chi si potrebbe benedire dopo FS? Stando al Papa, le organizzazioni Lbgt no (per ora), gli individui sì. E le coppie? Francesco finge che ci sia stata una discussione su una eventuale benedizione delle associazioni arcobaleno, sulla quale si sarebbe sentito in dovere di intervenire, per dissipare ogni dubbio; poi inventa che ci sia qualche prete o vescovo che, prima di benedire una persona, pretenda che gli si faccia  il terzo grado. Dissimulato il vero problema, cerca comunque di far intuire, alla chetichella, che i candidati alle benedizioni pastorali «forse vengono come coppie o come persone». Forse, non è detto. Già, ma in questi casi che si fa? Dipende se siete africani o no. Perché è sempre Francesco a dire che in Africa non benedicono «perché la cultura non lo accetta».

Se Francesco semina dubbi, Tucho li coltiva. In FS parlava di benedire le coppie, poi nel Comunicato stampa del 4 gennaio, il Prefetto “chiariva” (vedi qui) che la Dichiarazione contiene la proposta di benedizione di coppie irregolari, ma non la possibilità di benedire le coppie irregolari. E non si tratta di un refuso di chi sta scrivendo l’articolo. Quindi, nell’intervista dell’11gennaio a La Stampa, il cardinal Fernández riesce a “spiegare” così il senso di FS: si tratta di «benedizioni che chiamiamo “spontanee” o “pastorali”, che si danno soltanto perché le persone si avvicinano a chiedere la forza di Dio per andare avanti nella vita». Bene, quindi non alle coppie. Ma poco dopo, Domenico Agasso domanda cosa rispondere «a chi sostiene che benedire una coppia gay è un “atto sacrilego”, una “blasfemia”». La risposta sarebbe stata semplice ed avrebbe finalmente tagliato la testa al toro: non si tratta di benedire le coppie, ma le persone. Invece? Invece, Tucho mena il can per l’aia, dicendo che non si vuole riconoscere alcunché, perché queste benedizioni «sono indipendenti dalla situazione dei singoli o delle due persone o dei gruppi che si avvicinano a chiederla». Dunque, anche i gruppi: incluse le associazioni Lgbt escluse dal Papa? Perché per le benedizioni di 15 secondi non bisogna mica chiedere la carta d’identità...

Sia il Papa che il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede scelgono volutamente e reiteratamente la strategia dell’ambiguità, per poter svicolare da qualsiasi accusa da destra o da sinistra, mantenendo sempre la porta aperta per puntare a ciò che realmente vogliono, ossia la diffusione della “benedizione pastorale” delle coppie gay in quanto coppie, come prima tappa della solita strategia, tanto amata dal Papa, di “avviare processi”. Questa equivocità ricercata è l’unica cosa su cui non c’è alcun dubbio.

E così vanno bene i vescovi africani, che, per questioni culturali (non dottrinali), non se la sentono di benedire le coppie gay; ma vanno bene anche i vescovi belgi, i quali, pur avendo disposto un un rito per le benedizione di tutte le “coppie irregolari”, non pare abbiano visto piovere su Fiandre e dintorni gli strali di Roma.

Bene anche il cardinale Parolin, che non dice né sì né no, ma con una diplomazia del tutto fuori luogo in questa situazione, si limita a parlare di reazioni che manifestano che si sia toccato «un punto molto sensibile». Andranno bene quei vescovi che sanzioneranno i sacerdoti che si rifiuteranno di applicare FS (… coming soon), ed anche quelli che istituiranno nelle proprie diocesi un centro assistenza coppie gay, con benedizioni flash, dopo opportuna introduzione di una monetina da 1 euro. La pastorale è pastorale. Nessuna sanzione per il direttore editoriale delle Edizioni San Paolo (qui), don Simone Bruno, che propone una resistenza spartana perché si riconosca che le unioni adultere e le relazioni sodomite non sono peccaminose. Nemmeno un buffetto a padre James Martin, che tanto discreto, in queste benedizioni pastorali, non lo è stato, sbattendo sul web la benedizione di una “coppia” gay il giorno stesso dell’uscita di FS.

Gli unici che non saranno risparmiati – ha minacciato Tucho nel surreale Comunicato stampa del 4 gennaio – saranno quelli che si opporranno categoricamente per ragioni dottrinali. E Francesco ha già dato prova di non farsi troppi scrupoli ad eliminare quanti si oppongono al suo piano di demolizione della Chiesa. Perché per lui conta solo il proprio potere, concepito come assolutistico: che si tratti di nomine o rimozioni, di encicliche o dichiarazioni, Francesco ragiona sempre in termini di “motu proprio” inappellabili.

Né si fa scrupoli a tenersi vicino persone che si distinguono per deliri mistico-orgiastici. In un’altra recentissima intervista del prolifico Fernández, divenuto persino più loquace di Bergoglio, il cardinale non esita a farsi scudo con il Papa, di fronte allo scandalo legato al suo libro di pornoteologia: «Avevo detto al Papa, quando mi ha proposto questo incarico per la seconda volta», che poteva accadere che qualcuno sarebbe andato a tirar fuori dal cassetto il libro scandaloso. «Ma lui aveva già le idee chiare e conosceva anche questo libro. È successo che una volta, molti anni fa, ero già stato accusato di quel libro e non avevo ricevuto sanzioni da Roma. Mi hanno già indagato fino ai capelli». Una tortura.

Dunque il Papa sapeva, eccome. Eppure non ha avuto problemi a porre un uomo che non solo ha scritto questo libro, ma lo ha difeso di recente, affermando che «aveva senso in un momento di dialogo con le giovani coppie che volevano capire meglio il significato spirituale delle loro relazioni». Ed ha avuto pure la sfacciataggine di dire che San Giovanni Paolo II e Santa Ildegarda di Bingen «hanno fatto qualcosa di simile». Come sapeva di Rupnik. Sul quale, tra l’altro, secondo un’indiscrezione di Nico Spuntoni (qui), un sacerdote gli avrebbe posto una domanda. Ma Francesco avrebbe eluso la risposta.

Perché Francesco è così: sa molto bene quello che vuole, ma perché gli altri non se ne accorgano, finendo con rompergli le uova nel paniere, fa finta di niente, oppure si esprime secondo il noto sì, sì, no, no evangelico, opportunamente riadattato alla sensibilità gesuitica: sì, no, sì, no, e anche forse. Ad ogni modo, dipende.



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