Doveva morire otto mesi fa. Ma la piccola Tinslee lotta ancora
Ha ormai più di 17 mesi Tinslee Lewis, la bambina affetta da una rara patologia a cui i medici del Cook Children’s, in Texas, avrebbero voluto staccare il ventilatore il 10 novembre scorso. La famiglia prosegue la battaglia legale per tenerla in vita. E un dottore esterno, con il sostegno di un collega, contesta la diagnosi dell’ospedale e si offre di farle la tracheostomia. Fin qui negata.
Sarebbe dovuta morire più di otto mesi fa, ma la battaglia legale avviata dalla famiglia ha bloccato tutto. I lettori ricorderanno il caso di Tinslee Lewis (vedi qui e qui), la bambina nata prematura e affetta da una rara patologia, a cui il Cook Children’s Medical Center di Fort Worth, in Texas, vuole staccare la ventilazione assistita.
Ebbene, proprio in questi giorni la vicenda della piccola americana, venuta alla luce ormai più di 17 mesi fa, si è arricchita di un nuovo capitolo, poiché c’è un medico esterno all’ospedale - il dottor Glenn E. Green - che si è offerto di fare la tracheostomia. Perciò, il 14 luglio, gli avvocati della famiglia hanno presentato un’istanza alla corte distrettuale della contea di Tarrant per chiedere che il dottor Green possa valutare in presenza le condizioni di Tinslee e fornirle le cure necessarie.
Green, professore associato di Otorinolaringoiatria all’Università del Michigan, ha potuto visionare la cartella clinica della bimba e ha detto che gli episodi di grave desaturazione di ossigeno da cui è interessata possono essere causati da problemi alle vie respiratorie che sono spesso curabili. L’ipotesi di Green, in particolare, è che Tinslee soffra di malacia bronchiale, una condizione che spiegherebbe i cosiddetti “dying events” a cui fa riferimento l’ospedale di Fort Worth e che «può essere curata, in parte, anche dalla tracheostomia», come recita l’istanza legale.
L’istanza della famiglia presenta il parere anche di un altro medico, il dottor Patrick Roughneen di Galveston (Texas), che ha potuto personalmente visitare Tinslee e, come il collega Green, si trova in disaccordo con la diagnosi del Cook Children’s. Roughneen ha affermato di non aver visto “nessuna prova” di ipertensione polmonare nella bambina. Come riferisce Texas Right to Life, organizzazione pro vita che sta assistendo legalmente la famiglia, anche Roughneen sostiene la necessità di una tracheostomia: «La piccola Tinslee Lewis – spiega il dottore – dovrebbe essere trattata in modo non differente da qualsiasi altro bambino attaccato così a lungo a un ventilatore. Le tracheotomie vengono eseguite abitualmente per i pazienti dopo 14 giorni di ventilatore. La piccola Tinslee Lewis è con un ventilatore da oltre 10 mesi. Non è nel regime standard delle cure lasciare così a lungo un paziente attaccato a un ventilatore e rifiutare una tracheostomia». Pur nella diversità delle condizioni, è lo stesso rifiuto a cui abbiamo assistito nei casi inglesi di Charlie Gard, Alfie Evans e infine Tafida Raqeeb, prima che quest’ultima, almeno lei, venisse portata in Italia ricevendo tutte le cure necessarie al Gaslini di Genova.
Roughneen ha quindi proseguito la sua analisi chiarendo che «i benefici di una tracheostomia rispetto a un ventilatore sono la riduzione del lavoro respiratorio, la riduzione dello spazio morto anatomico, l’evitare la fistola tracheo-innominate [tra la trachea e l’arteria anonima, ndr] e la gestione delle secrezioni polmonari. Perciò, per il paziente ci sono benefici molto precisi nell’eseguire questa procedura».
Il caso di Tinslee ha riacceso il dibattito in Texas sulla «10-day rule», norma che dà agli ospedali la possibilità di staccare unilateralmente i supporti vitali e prevede che i familiari - dal momento del preavviso formale da parte del nosocomio - abbiano solo 10 giorni di tempo per trovare un’altra struttura disponibile ad accogliere il loro caro o per presentare ricorso in tribunale. In questa vicenda sono entrati in gioco anche il ministro della Giustizia Ken Paxton e il governatore del Texas Greg Abbott, che a inizio anno si sono detti pronti a sostenere Trinity Lewis - la madre - in tutto l’iter legale. Iter che da qualche mese, vuoi per il Covid vuoi per la delicatezza della questione, è fermo in appello, in attesa che si pronunci la Second Court of Appeals del Texas.
Alla luce dei pareri di Green e Roughneen, Texas Right to Life fa notare che è completamente falsa la narrazione secondo cui Tinslee sia “un caso disperato”. Il fatto che continui a vivere più di otto mesi dopo quello che doveva essere il giorno fissato per la sua condanna a morte – il 10 novembre – conferma quanto siano spesso affrettate le conclusioni di chi basa il suo giudizio sulla cosiddetta “qualità di vita”. La qualità di Tinslee è stata ritenuta al di sotto degli odierni ‘standard’ medici: proprio questa valutazione efficientistica della vita ha avuto l’effetto perverso di privare la piccola di un intervento che potrebbe - lo abbiamo visto - migliorarne le condizioni. Pur in un quadro di gravità, consentirebbe a Tinslee di essere più facilmente trasferibile in un’altra struttura e lasciare la terapia intensiva.
Intanto, una cosa è certa: come per ogni essere umano, la vita di Tinslee gode di una dignità infinita, conferitale dal Creatore. E la preziosità di ogni istante trascorso quaggiù mostra quanto si sbaglino coloro che pensano che ci siano vite non degne di essere vissute.