Dieci discorsi di Benedetto XVI, per lasciare Dio alla guida
Raccolti nel volume “Con Dio non sei mai solo” dieci grandi discorsi di papa Ratzinger, dal vivere come i santi alle due opposte ermeneutiche sul Vaticano II, fino al retto rapporto tra fede e ragione.
Quando Benedetto XVI pronunciò l’omelia d’inizio del suo ministero petrino si chiese con coraggiosa sincerità: “Come posso fare questo?”. E rispose subito tranquillo: “Non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta […]. Noi tutti siamo la comunità dei santi […]. Sì, la Chiesa è viva”. Dunque il titolo del libro Con Dio non sei mai solo (Rizzoli-LEV) rispecchia efficacemente la personalità del Papa bavarese, la sua profonda esperienza di vita e di fede e offre anche a noi una promessa di vicinanza al Signore. “Il mio vero programma di governo è [...] lasciarmi guidare da Lui”.
E Dio l’ha sicuramente guidato, ispirandolo anche nei suoi incontri con i giovani, per esempio nel discorso della veglia del 20 agosto 2005, quando propose le figure dei santi come modelli per “vivere secondo il modo di Dio”. “Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo”. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio, che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E ben sapendo che “si può criticare molto la Chiesa” per i suoi errori, Benedetto XVI ha aggiunto un’umile osservazione per confortare i ragazzi di fronte al male, presente anche nella casa di Dio. “In fondo, è consolante che esista la zizzania nella Chiesa. Così con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori”. Non che il Papa volesse minimizzare il peso del male, come si vede chiaramente nella Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda (pubblicata in appendice) a proposito degli abusi subiti da ragazzi e giovani da parte di sacerdoti e religiosi. Il suo richiamo, al contrario, è forte e deciso, perché chi ha peccato riconosca il proprio errore e segua la proposta di “un cammino di guarigione e riparazione”.
Del resto, proprio ai sacerdoti dei nostri tempi difficili, papa Ratzinger ha dedicato particolare attenzione e cura, celebrando l’Anno Sacerdotale 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars. “Il sacerdozio non è semplicemente ufficio, ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini”. Una vera “audacia di Dio”, che affida Sé stesso ad esseri umani, pur conoscendo le nostre debolezze. E questa vocazione Ratzinger l’ha voluta mostrare ai giovani, sottolineando che dobbiamo chiederla a Dio, perché è un suo dono. Forse tanti tradimenti ed errori sono anche l’esito di una imprecisa e parziale ricezione del Concilio Vaticano II, come spiega con grande semplicità e chiarezza il Pontefice, in un discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi. Senza mezzi termini, Benedetto XVI segnala che i problemi in merito all’accoglienza dei documenti del Vaticano II hanno un’origine precisa: “Due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro”. Le definisce “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” e “l’ermeneutica della riforma”, chiarendo molto bene i danni della prima (ben sostenuta dai mass media e da parte della teologia moderna) e invece i frutti della seconda, presentata dapprima da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI. Sono tematiche complesse, legate anche al rapporto e al dialogo tra fede e ragione, approfondito in modo rinnovato nell’età moderna, e in seguito proprio secondo l’orientamento del Concilio Vaticano II.
“Dov’era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”. Sono queste le domande che ad Auschwitz, con umiltà e sofferenza, Benedetto XVI, “figlio del popolo tedesco”, ha condiviso con tutti gli uomini, nella memoria di quell’orrore. Ma ha proseguito mostrando il compito della ragione, che deve “riconoscere il male come male” e “rifiutarlo” per trovare il coraggio del bene e della resistenza contro l’odio e la violenza. Del resto la riflessione sulla ragione porta Ratzinger ad affermare con certezza che “il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore”. Ma è fondamentale allargare il concetto di ragione, avere il coraggio di aprirsi alla sua ampiezza, perché incontrare Dio significa incontrare un fatto ragionevole.
Splendido, in tal senso, il discorso del 12 settembre 2008 rivolto al mondo della cultura in occasione del viaggio apostolico in Francia, presso il Collège des Bernardins, luogo emblematico del patrimonio intellettuale monastico. “Quaerere Deum, cercare Dio. Questa era la motivazione elementare dei monaci. Questo oggi non è meno necessario che in tempi passati”. Infatti “anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui”. Perciò una cultura meramente positivista, o addirittura affidata all’intelligenza artificiale, che rimuove come non scientifica o considera persino insensata la domanda su Dio, è certamente per papa Ratzinger “la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”. Il collasso della cultura europea, che ha di fatto rinunciato a questa apertura della ragione, è tristemente sotto gli occhi di tutti.
Dai discorsi di Benedetto XVI emerge però, con semplicità e profondità ammirevoli, una capacità di giudizio (cioè di “uso della ragione”), di cui abbiamo davvero bisogno per affrontare le sfide allarmanti del nostro tempo. A cominciare dalla difesa dell’identità umana. Infatti “l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé”. Da qui possiamo con coraggio ripartire.