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L’IPOCRISIA

Decreto rave, da che pulpito la sinistra invoca “libertà”?

Pd e 5 Stelle si scagliano contro il decreto sui rave party, parlando di pericolo per la libertà di espressione e riunione. In realtà, serviva un argine normativo. Ed è singolare che la critica al Dl venga da chi ha calpestato le libertà fondamentali in nome dell’idolatria sanitaria.

Politica 03_11_2022

La polemica scoppiata sul decreto del Governo in materia di rave party svela ancora una volta la natura demagogica e strumentale dell’atteggiamento delle forze di opposizione, non a caso nuovamente «unite contro la deriva autoritaria».

Evidentemente gli episodi di Modena non hanno insegnato nulla, visto che qualcuno ha provato addirittura a paragonarli alla manifestazione di Predappio, che peraltro si fa ogni anno, non provoca alcun disordine, non dà fastidio a nessuno né turba minimamente l’ideale nazionale dell’antifascismo. Ogni giorno di più si fa strada la percezione di una sinistra incapace di accettare il verdetto delle urne del 25 settembre e pronta a fare le barricate contro il centrodestra, non già per difendere gli interessi del Paese ma per provare a fomentare le divisioni tra Fratelli d’Italia e i suoi alleati, su qualunque tema e a qualunque costo, nella speranza di indebolire l’esecutivo. D’altra parte, basterebbe riavvolgere il nastro e tornare al periodo dei Governi Conte e Draghi per inorridire di fronte alle odierne denunce di privazione delle libertà che il leader pentastellato ed Enrico Letta rivolgono alla Meloni. Con Conte a Palazzo Chigi le libertà fondamentali sono state ampiamente sacrificate e calpestate, in nome dell’idolatria del diritto alla salute, che ha prodotto in Italia più morti di Covid e con Covid rispetto a tutti gli altri Stati dell’Unione europea.

Il rave party nella cittadina emiliana non dovrebbe lasciare indifferenti quanti hanno a cuore la sicurezza del Paese. Episodi come quello si sono moltiplicati negli ultimi mesi e non esisteva un efficace strumento giuridico per contrastarli. I governi precedenti hanno tollerato abusi e soprusi, mentre ora c’è un premier che vorrebbe prendere di petto la questione. Probabilmente l’impeto con cui si è deciso di emanare un decreto legge può aver dato l’impressione di una forzatura, ma in realtà la misura era colma e qualcuno che prendesse l’iniziativa ci voleva. Se decisionismo c’è stato, si tratta di un decisionismo provvidenziale per porre un argine ad una deriva anarchica che rischia di provocare danni ben peggiori di una presunta limitazione della libertà d’espressione da parte del decreto.

La norma prevede dai 3 mesi ai 6 anni di carcere per gli organizzatori di rave party, multa fino a 10.000 euro e sorveglianza speciale. Il nuovo reato (invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica) può essere contestato anche a chi si limita a partecipare ai rave (con pena diminuita). Con più di 50 persone si configura l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico.

Pd e M5s gridano allo scandalo, denunciano uno “Stato di polizia” e negano che ci fosse l’urgenza di intervenire su questo tema. Paventano il rischio che queste nuove norme possano limitare l’esercizio della libertà di espressione e di riunione, ad esempio se applicate agli assembramenti degli studenti nelle scuole e nelle università o dei lavoratori nei sit-in sindacali. Non solo. Le nuove norme del decreto, che prevedono una pena di sei anni, renderebbero possibili le intercettazioni, che sono lecite per tutti i reati che prevedono una pena superiore ai cinque anni. Ad esempio, si potrebbero ascoltare le comunicazioni tra gli organizzatori di questi rave party che - va ricordato - sono eventi clandestini e illegali.

Contro il decreto si sono inalberati anche taluni ambienti del pianeta giustizia. In un comunicato ufficiale pubblicato online, Magistratura democratica ha espresso il timore di un giro di vite rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’articolo 21 della Costituzione, poiché il decreto prevederebbe troppa discrezionalità in sede di giudizio e di assunzione delle misure repressive da parte delle autorità di polizia.

Ieri il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha provato a smontare una per una queste critiche. Anzitutto ha ricordato che a Modena «si ballava in un capannone pericolante e si rischiava una strage», che i rave party «finiscono per tenere in scacco intere zone» e che l’Italia è indietro rispetto ad altri Stati nella regolamentazione di questi eventi. «Il provvedimento - ha detto il titolare del Viminale - serve per allinearci alla legislazione degli altri Stati europei anche ai fini di dissuadere l’organizzazione di tali eventi, che mettono in pericolo soprattutto gli stessi partecipanti e finiscono per tenere in scacco intere zone pregiudicando attività commerciali e viabilità».

Dunque è in malafede chi accusa il Governo di voler comprimere le libertà individuali, controllando le manifestazioni e le riunioni. I rave non sono riunioni pacifiche, ma eventi di intrattenimento musicale che si svolgono in modo clandestino e in spregio totale delle disposizioni relative alla tutela della pubblica incolumità dei partecipanti ma anche dei cittadini coinvolti indirettamente. Peraltro è lo stesso art. 17 della Costituzione a prevedere che «delle riunioni in luogo pubblico dev’essere dato preavviso alle autorità che possono vietarle solo per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica». Dunque non si capisce dove sia lo scandalo, visto che i rave party sono organizzati clandestinamente proprio allo scopo di evitare il controllo delle autorità in ordine alle condizioni di sicurezza e di incolumità pubblica che sono i requisiti imprescindibili di ogni manifestazione.

Infine una notazione di diritto costituzionale. I decreti-legge devono essere convertiti in legge e dunque le forze politiche che contestano i contenuti della norma potranno nel dibattito parlamentare rappresentare le loro ragioni e proporre modifiche e aggiustamenti al testo. L’esplosione sui media e sui social di un incontenibile livore anti-governativo da parte delle forze di opposizione lascia intendere che Pd e grillini vorrebbero disputare già oggi i tempi supplementari per ribaltare il risultato delle elezioni politiche di un mese fa. Tutto questo, però, non fa bene al Paese, che ha bisogno di stabilità e riforme. Chi invoca il rispetto della Costituzione forse dimentica che onorare la Carta vuol dire anzitutto rispettare la volontà popolare che emerge da libere elezioni.