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UNA DIFESA SCANDALOSA

Dal Vicariato di Roma uno schiaffo alle vittime di Rupnik

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A due giorni dall'incontro tra il Papa e la direttrice del Centro Aletti la diocesi capitolina parla di «vita comunitaria sana e priva di particolari criticità». Grandi assenti le donne abusate, che continuano a restare senza voce.

Ecclesia 19_09_2023 English Español

Non è stato un bel vedere. La foto dell'incontro tra papa Francesco e Maria Campatelli, direttrice del Centro Aletti, avvenuto lo scorso 15 settembre è stato uno schiaffo per le vittime dell'ormai ex gesuita, don Marko Ivan Rupnik, e per tutti coloro che hanno conservato un minimo senso di giustizia.

Loro, le donne cadute nella rete di Rupnik, non sono mai state omaggiate di tanto onore, nonostante ad essere violata sia stata non solo la loro persona, ma anche la loro consacrazione verginale per il regno dei Cieli, a servizio della Chiesa. E chi nella Chiesa detiene la massima autorità, non ha avuto per queste figlie alcun gesto di accoglienza, protezione, giustizia. Al contrario, ha ricevuto colei che ha difeso a spada tratta l'abusatore e le sue continue disobbedienze ai legittimi superiori. D'altronde si sa che c'è una parte consistente del mondo gesuita, il quale ritiene che l'obbedienza che conta sia quella alla propria persona, che si sovrappone fino ad oscurare del tutto Nostro Signore. 

Come se non bastasse, nella giornata di ieri, due giorni precisi dopo il “pellegrinaggio” della Campatelli dal Papa, il Vicariato di Roma, guidato dal grande amico di Rupnik, il cardinale Angelo De Donatis, ha emesso una Nota sull'esito dell'indagine condotta da don Giacomo Incitti, Professore Ordinario di Diritto Canonico all'Urbaniana, incaricato di fare luce su «l’accertamento delle modalità di conduzione dell’Associazione e dell’effettivo funzionamento dei suoi organi di governo; l’esame della vita associativa in tutti i suoi aspetti, compresi i rapporti dei membri con il Fondatore e con il gruppo dei responsabili, nonché le dinamiche relazionali tra i membri stessi».

Risultato? Il Centro Aletti è l'anticamera del Paradiso, l'incarnazione del mito della primitiva comunità apostolica. «Da tale relazione emerge con chiarezza che in seno al Centro Aletti è presente una vita comunitaria sana e priva di particolari criticità. Il Visitatore ha potuto appurare che i membri del Centro Aletti, benché amareggiati dalle accuse pervenute e dalle modalità con cui sono state gestite, hanno scelto di mantenere il silenzio – nonostante la veemenza dei media – per custodire il cuore e non rivendicare una qualche irreprensibilità con cui ergersi a giudici degli altri». Insomma, a furia di disobbedire, coprire, abusare, si diventa santi.

E non finisce qui. Infatti, si apprende dalla Nota che «il Visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse al p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il Visitatore ha potuto riscontrare e ha quindi segnalato procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica». Chissà se tra il materiale copioso c'erano anche quelle persone in carne ed ossa che hanno potuto apprezzare letteralmente sulla propria pelle la “spiritualità” di Rupnik.

«Sono sconvolta, come tutte le vittime di Rupnik del resto. Il papa non ha mai considerato le vittime. Ma è molto interessato ai soldi e al potere del Centro Aletti», ci dice una delle persone profondamente ferite dalla doppiezza dell'ex-gesuita e dalla modalità dei superiori della Compagnia di Gesù di gestire la questione. Queste consacrate che appartengono alla Comunità Loyola, o che l'hanno lasciata, stanno continuando a patire i provvedimenti raffazzonati dei superiori, dai quali si comprende quanto abbiano a cuore un'unica cosa: evitare che la verità emerga e che si faccia giustizia.

Perché il 21 giugno scorso, Mons. Daniele Libanori, S.I., commissario della Comunità Loyola per disposizione dell'arcivescovo di Ljubljana, Mons. Stanislav Zore, aveva emesso un Decreto disciplinare nei confronti della fondatrice e superiora della Comunità, suor Ivanka Hosta. Accuse pesanti, come si vedrà, che hanno portato però ad una decisione semplicemente surreale: confinare la suora nella comunità di Braga (Portogallo) sotto la sorveglianza della superiora locale, suor Federica Dotti, che ci viene segnalata come letteralmente succube della stessa Ivanka. Si ripete il copione delle fantomatiche restrizioni a Rupnik, durante le quali il sacerdote sloveno continuava a fare quel che voleva.

Nel Decreto si denuncia «la commistione tra foro interno e foro esterno nel governo dell’Istituto e all’imposizione del silenzio di fronte a possibili abusi che p. Marko Rupnik S.I., ha compiuto su alcune di loro». Si tratta di fatti «successivi al 1993, che concordemente dalle consorelle viene indicato come un anno “spartiacque”, che distingue il governo sotto p. Marko Ivan Rupnik e il governo sotto l’esclusiva competenza di Suor Ivanka Hosta». In sostanza, la superiora si sarebbe avvalsa della propria autorità per interferire nel foro interno delle sorelle, violando così uno dei principi cardine del Diritto Canonico. In particolare, si legge nel Decreto, «le religiose venivano costrette ad aprire la propria coscienza esclusivamente alla propria Superiora locale, e per di più in forma scritta. In tale modo, la Superiora poteva e di fatto faceva uso di quanto appreso per guidare la comunità ed inoltre tali informazioni venivano poi trasmesse a lei (suor Hosta)». Una rete di dominio sulle coscienze, spinto fino a colpevolizzare pubblicamente le sorelle, sulla base di quanto appreso in foro interno.

Mons. Libanori ha altresì rilevato che suor Ivanka aveva imposto il «silenzio di fronte a relazioni gravemente scorrette tenute da p. Marko Rupnik con alcune consorelle negli anni in cui si stava sviluppando il primo nucleo della Comunità Loyola», che riguardavano «veri abusi psicologici, spirituali e sessuali». Più religiose hanno testimoniato che la superiora «era a conoscenza di tutto fin dall’inizio (...) e che lo sapevano anche alcune consigliere, tacendo tutto e imponendo alle consorelle di tenere nascosto l’accaduto». Fatti di cui alcune religiose della Comunità Loyola avevano messo a conoscenza il papa in persona già nell'estate del 2021, facendogli pervenire delle lettere; nessuna risposta dall'alto: è il problema di chi non si chiama Campatelli e non è amico del Papa.

Sia con Rupnik che con Ivanka Hosta si è accuratamente scelta la “via amministrativa”, un'opzione comoda per evitare un regolare processo, unica strada che avrebbe potuto portare ad appurare con maggiore oggettività quanto accaduto, nonché tutta la rete di amicizie e coperture di Rupnik. L'unica certezza è l'umiliazione continua di queste donne, il totale disinteresse nei loro confronti, proprio mentre tutti si ubriacano della retorica della sinodalità e dei ministeri alle donne.



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