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Intervista

Culle per la vita e parto in anonimato, 4 punti per una legge

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Dopo la tragedia di Bari, una petizione di Citizen Go chiede una legge quadro che colleghi le culle per la vita al Servizio sanitario, prevedendone una in ogni punto nascita ed equiparandole al parto in anonimato. La Bussola intervista Emiliano Zasa, promotore dell’iniziativa.

Vita e bioetica 20_02_2025

Una legge quadro sulle culle per la vita: è quanto chiedono, sebbene da basi e prospettive radicalmente diverse, sia una petizione di Citizen Go rivolta al Parlamento e al ministro Orazio Schillaci, sia gli abortisti legati al gruppo “Ivg, ho abortito e sto benissimo” (nome che nega il dramma dell'aborto e le sue ricadute). Ma facciamo un passo indietro per chiarire il contesto.

Il caso del neonato trovato morto, la mattina del 2 gennaio di quest’anno, in una culla per la vita a Bari ha riacceso i riflettori su queste moderne prosecuzioni delle “ruote degli esposti”, intese a dare un’alternativa a coppie o donne sole in difficoltà e prevenire possibili casi di bambini abbandonati tra i rifiuti, come periodicamente accade, o direttamente vittime di infanticidio.

Da quando nel 1995, grazie alla tenacia eroica di Giuseppe Garrone (vedi qui l’intervista alla vedova Margherita Borsalino), è divenuta operativa la prima culla per la vita in Italia presso la sede del Movimento per la vita di Casale Monferrato, queste speciali culle termiche – intanto installate in altre parti del nostro Paese – hanno contribuito a salvare molti bambini. Ma la tragedia di Bari, dove ci sarebbe stato un malfunzionamento del dispositivo atto a far partire il riscaldamento e allertare il responsabile della culla (nella fattispecie, il parroco della chiesa di San Giovanni Battista, dove già negli anni scorsi erano stati lasciati, con migliore sorte, altri bambini), ha appunto riacceso il dibattito sulle culle stesse e su chi gestisce questa preziosa rete.

Ad oggi sono 61 le culle per la vita censite in Italia, ma si tratta di un censimento ufficioso (presente sul sito www.culleperlavita.it), perché manca un coordinamento generale del sistema e tutto è lasciato alla buona volontà di chi le promuove a livello locale. Ci sono culle gestite (per la maggioranza) da o presso ospedali, altre da associazioni pro vita, istituti religiosi, parrocchie.

Da qui la proposta di arrivare a una legge quadro che nell’idea della petizione lanciata da Citizen Go, insieme a Emiliano Zasa, un insegnante, dovrebbe contenere quattro punti fondamentali. La Nuova Bussola ha intervistato lo stesso docente, che già a seguito del caso del piccolo Enea, lasciato nella culla per la vita della Clinica Mangiagalli, aveva cercato di sensibilizzare sulla necessità di una legge.

Emiliano Zasa, con Citizen Go avete proposto una legge in quattro punti sulle culle per la vita e il parto in anonimato. Iniziamo dal primo.
Intanto, la sfida è quella di avere una buona legge, non una legge al ribasso che cerchi solo di evitare scandali, ma un testo che promuova davvero la vita. Il primo punto consiste nel riconoscere e definire ufficialmente che cos’è una culla per la vita, equiparandola giuridicamente al parto in anonimato, che è disciplinato dal DPR 396/2000 (art. 30, comma 1).

Perché è importante l’equiparazione al parto in anonimato?
Perché sono due facce della stessa medaglia, ma pur sempre distinte, e raggiungono persone con caratteristiche differenti. Un conto è presentarsi in ospedale con decisione e apporre la firma per lasciare il bambino che si è partorito lì, avvalendosi appunto della possibilità legale del parto in anonimato. E un altro, ad esempio, è partorire in casa, in situazioni magari drammatiche. In casi del genere, la culla per la vita rappresenta l’alternativa di speranza a gesti inconsulti. E come si è fatto per il parto in anonimato, serve una legge che sancisca che lasciare un neonato in una culla per la vita certificata – che quindi rappresenta un approdo sicuro per le cure e poi l’adozione di quel bambino – non sia considerato un abbandono di minore.

Ci può esporre gli altri punti che proponete per una possibile legge?
Il secondo punto è che ci sia una culla per la vita per ogni punto nascita. È importante che questo strumento si diffonda capillarmente sul territorio, sia visibile e riconoscibile.

Terzo, è necessario che in ogni punto nascita ci sia una équipe multidisciplinare per accogliere coppie o donne in difficoltà che siano orientate per il parto in anonimato. Si stima che i parti in anonimato siano meno di 300 all’anno in tutta Italia: sono quindi eventi piuttosto rari, perciò a maggior ragione è importante che il personale sociosanitario, socioassistenziale, sia debitamente formato e informato su tutto ciò che riguarda il parto in anonimato.

Come quarto e ultimo punto, chiedete più in generale di informare tutti i cittadini, giusto?
Sì, lo Stato, le Regioni e i Comuni devono essere tenuti per norma a informare adeguatamente i cittadini sia sulle culle per la vita sia sul parto in anonimato. Serve una pagina web istituzionale con l’elenco delle culle registrate e anche un numero verde per situazioni di emergenza. E poi bisognerebbe pubblicizzare il tutto. Come nei Comuni si fanno affissioni ad esempio per il 25 aprile, il 1° maggio, la giornata contro la violenza sulle donne, eccetera, similmente si potrebbe pubblicizzare l’esistenza di possibilità come il parto in anonimato e le culle per la vita, che ad oggi sono poco conosciute anche nelle immediate vicinanze. Faccio un esempio.

Quale?
Io vivo a Parma e in città c’è una culla per la vita presso l’ospedale, ma prima dei fatti di Traversetolo (dov’è emerso un doppio infanticidio) pochissimi erano a conoscenza dell’esistenza di questa culla.

A proposito delle culle già esistenti, si è confrontato con persone che ad oggi le gestiscono?
Sì, certo, vorrei che non temessero questo cambiamento. Il nostro unico interesse è dare una risposta a chi è disperato, quindi la soluzione più naturale è quella di attrezzare ogni punto nascita. Ciò non esclude la presenza di culle per la vita a gestione esterna, ma prevede la costituzione di un sistema che sia pienamente coordinato dal Servizio sanitario nazionale, che può offrire le dovute garanzie. Anche perché un episodio come quello accaduto a Bari non solo è grave per il bambino, ma rischia di demotivare, far perdere fiducia alle persone. C’è tanto bisogno di volontariato, ma deve essere una partecipazione adeguata alle possibilità di chi si mette con generosità al servizio.

Dopo la tragedia di Bari, anche il gruppo di “Ivg, ho abortito e sto benissimo” chiede una legge quadro sulle culle…
Sì, è sostenuta da una parlamentare [Gilda Sportiello, del Movimento Cinque Stelle, ndr] ed elabora una narrativa ideologica che fino a qualche mese fa non esisteva. Ad esempio, per loro non si deve parlare di “culle per la vita”, bensì di “culle termiche”. Anche in ambito pro vita si usa il termine tecnico di “culle termiche”, ma al tempo stesso l’espressione “culla per la vita” è evocativa, indica un valore e un fine buono. Il linguaggio ha il suo peso e nella prospettiva abortista lo strumento deve essere asettico. Rispetto a mesi fa, si sta radicalizzando lo scontro sul tema delle culle. Ed è un peccato perché è un argomento che si potrebbe affrontare con serenità, non è un argomento “di partito”, ma riguarda l’offerta di un’alternativa di vita e speranza.

Tornando alla proposta di una culla per la vita in ogni punto nascita, la petizione di Citizen Go sottolinea che i costi sarebbero irrisori.
Sì, per un punto nascita che ha personale 24 ore su 24, costa di più la gestione di un ascensore rispetto alla gestione di una culla per la vita. Il Parlamento dovrebbe fare questa legge, informando e favorendo una cultura della vita. Quante adolescenti sanno che, per lo Stato, si può abortire? Tutte. E quante invece sanno che, nel caso in cui non potessero tenere il bambino, c’è la possibilità del parto in anonimato o della culla per la vita?



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