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Ora di dottrina / 179 – La trascrizione

Cristo Giudice – Il testo del video

Il potere giudiziario è proprio di Cristo anzitutto perché è Dio, ma anche in virtù dell’unione ipostatica, della grazia capitale e dei suoi meriti. La conseguenza è che esso si estende a tutte le realtà umane (nessuna esclusa) e agli angeli. La forma del giudizio: la sapienza.

Catechismo 12_10_2025

Con questa lezione concludiamo la grande sezione dedicata ai misteri della vita di Cristo, che è il commento che san Tommaso d’Aquino dedica nella Summa a quella lunga sezione del Credo che ci espone i misteri della vita del Signore, dalla sua incarnazione fino alla verità del suo giudizio, quando noi affermiamo: «E di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine». Poi, il Credo dedica una sezione alla riflessione sul mistero dello Spirito Santo. Ci torneremo.

Dunque, oggi concludiamo la sezione sui misteri della vita di Cristo e lo facciamo con la quæstio 59, dedicata al potere giudiziario di Cristo: Cristo Giudice. Abbiamo già visto, con la catechesi sulla sua sessione alla destra del Padre, come Gesù Cristo partecipi di tutte le prerogative del Padre anche nella sua umanità; in particolare, partecipa alla regalità. Al re spetta anche il potere di giudicare. San Tommaso dedica sei articoli a questo mistero del Signore: i primi due ci introducono nella realtà di questo potere giudiziario che spetta a Cristo sia in quanto Dio sia in quanto uomo. Siamo ormai abituati a vedere questo modo di procedere di san Tommaso che riflette su una data caratteristica di Cristo in quanto Dio e in quanto uomo, sotto prospettive diverse, ma appunto entrambe presenti in virtù dell’unione ipostatica.

Nell’art. 1, san Tommaso ci dice che il potere giudiziario è proprio di Cristo in modo speciale perché Egli è Dio. San Tommaso ci dice che ci sono tre cose che caratterizzano il potere di un giudice: 1) il potere coercitivo. Un giudice che non può far rispettare la sua sentenza non è un giudice, è un consigliere…; 2) lo zelo per la rettitudine. Un buon giudice è caratterizzato dal fatto che vuole giudicare con rettitudine, non per privilegi, ingiustizie, vendetta, odio, paura; 3) la sapienza. Cos’è la sapienza? In pratica, il giudice deve giudicare secondo verità.

Di questi tre aspetti caratterizzanti il potere giudiziario, tutti e tre importanti, ad essere la forma del giudizio, ad informare il giudizio in quanto tale è soprattutto la sapienza. Un giudizio si dice tale quando è informato dal vero, quando è caratterizzato dalla sapienza. Non che gli altri due aspetti siano irrilevanti, ma la sapienza è ciò che costituisce la forma del giudizio, la sua caratteristica più propria, più intima; la norma del giudizio è la legge della sapienza e della verità. Non c’è, potremmo dire, giudizio senza verità e dunque non c’è vero giudice senza sapienza.

Ora, noi sappiamo che nella vita trinitaria, nelle attribuzioni alle tre persone, la sapienza è attribuita principalmente al Figlio, non perché il Padre e lo Spirito Santo siano insipienti, evidentemente. Noi sappiamo che, in virtù dell’unica divinità, tutto ciò che si dice del Padre lo si dice del Figlio e lo si dice dello Spirito Santo, eccettuate le relazioni delle tre persone tra di loro, per cui affermiamo che il Padre genera, non che è generato. Però affermiamo anche che il Figlio è sapienza, ma anche il Padre e lo Spirito Santo sono sapienza. E tuttavia il Padre in qualche modo genera il Figlio come sapienza; e il Figlio è la sapienza, è la verità in virtù della quale, in vista della quale, anche tutta la creazione viene posta in un ordine sapiente.

Da questo punto di vista possiamo dire che il Figlio – parliamo per analogia, alla luce di un linguaggio umano che di fronte al mistero divino è chiaramente imperfetto – è il “pensiero” generato dal Padre, la Sapienza generata dal Padre. Quindi, in questo senso il Padre ha posto tutto Sé stesso nel Figlio, tutta la divinità nel Figlio e dunque, in modo particolare, tutta la sapienza nel Figlio. Ed ecco perché il Padre ha posto, ha rimesso al Figlio anche ogni giudizio. E sotto questo aspetto si dice propriamente che anche il potere giudiziario che nasce dalla sapienza – abbiamo detto che la sapienza è la forma del potere giudiziario – viene attribuito principalmente al Figlio di Dio. Essendo Cristo il Figlio di Dio fatto carne, a Lui spetta in modo proprio questo giudizio.

Ma non solo. Nell’art. 2, san Tommaso si domanda se questo potere di giudicare appartenga a Cristo anche in quanto uomo. Anche su questo aspetto ormai abbiamo acquisito una forma mentis, una logica teologica: sappiamo che in virtù dell’unione ipostatica ciò che è di Dio “passa” alla natura umana. La natura umana riceve tutto della divinità, tranne il fatto di essere la divinità. L’unione ipostatica, cioè l’unione delle due nature nell’unica persona del Cristo, ci comunica la realtà di questo “passaggio” delle prerogative divine all’uomo, alla natura umana del Signore Gesù. Dunque, sotto questo aspetto è conveniente che Cristo sia il giudice anche in quanto uomo.

C’è anche un altro aspetto che san Tommaso mette in luce in questo art. 2 ed è conseguenza di un’altra realtà di cui abbiamo parlato altre volte. Vedete dunque che questi articoli si richiamano, si legano l’uno all’altro, hanno una base comune di principi fondamentali che tornano nei diversi misteri. E qual è questo aspetto? È che Cristo, come sappiamo, non solo riceve la grazia per sé, ma riceve anche la grazia capitale, cioè la grazia di capo per il corpo, di capo della Chiesa. Ora, al capo spetta il potere di giudicare. Dunque, vedete com’è assolutamente conveniente che a Cristo uomo spetti il potere giudiziario. Gli spetta sia in quanto Dio, sia per l’unione ipostatica, sia in quanto capo della Chiesa, capo di tutti gli uomini. San Tommaso cita il capitolo 2 della Lettera gli Ebrei dove si riprende il Salmo 8 e si dice: «Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi». La stessa Lettera, che san Tommaso cita in modo succinto, dice poi «avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso». È un’espressione biblica, chiara, evidente di questo potere giudiziario di Cristo su tutte le cose.

Dunque, Cristo è giudice sia in virtù della natura divina, sia in virtù dell’unione ipostatica, sia in virtù della grazia capitale che Egli ha ricevuto in quanto capo delle sue membra. Ma c’è un’altra ragione che san Tommaso tratta nell’art. 3 e che vediamo rapidamente: è il fatto che il Signore Gesù ha questo potere giudiziario anche in virtù dei suoi meriti. Cioè, non solo gli spetta per la natura divina, non solo gli spetta per l’unione ipostatica, non solo in quanto capo della Chiesa, ma anche in quanto trionfatore nello scontro titanico che Lui ha avuto con il peccato e con la morte e su cui ha riportato vittoria; dunque è come un conquistatore, al quale, in virtù della sua vittoria in battaglia, vengono assoggettate tutte le cose. Questo è un elemento importante che san Tommaso richiama, rifacendosi a un testo del libro dell’Apocalisse (3, 21), dove troviamo questa dichiarazione che Cristo stesso pronuncia: «Io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio, sul suo trono». Dunque, c’è una duplice dichiarazione: «Io ho vinto», c’è un merito nella vittoria di Cristo. E come abbiamo già visto quando abbiamo parlato della sua ascensione (qui e qui) e della sessione alla destra del Padre, i meriti di questa vittoria lo fanno sedere alla destra del Padre («mi sono assiso alla destra del Padre»), e quindi lo rendono partecipe di tutte le prerogative della regalità divina del Padre, della comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: tutte queste prerogative vengono trasferite a Cristo trionfatore, a Cristo che ha vinto. Questa è un’immagine molto bella, molto antica, di Cristo che è il vincitore, che trionfa.

Questi tre articoli ci fanno comprendere perché Cristo è giudice, in virtù di che cosa lo è. Adesso invece vediamo l’estensione di questo suo potere giudiziario.

Nell’art. 4, san Tommaso si domanda se il potere giudiziario di Cristo si estenda a tutte le realtà umane. Sembrerebbe di no: perché? Rispetto alle obiezioni che san Tommaso si muove, vorrei focalizzarmi sulla prima. Dice così: «Nel Vangelo (Lc 12, 13) si legge che avendogli uno chiesto: “Di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”, il Signore rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. Quindi egli non ha il potere di giudicare tutte le cose umane» (III, q. 59, a. 4, arg. 1). In pratica, da questo passo del Vangelo si potrebbe dedurre che Cristo non è giudice di tutte le cose, anzi che ha in qualche modo voluto evitare di giudicare le cose degli uomini. Ancora di più, si potrebbe pensare – quando il Signore dice di non essere venuto per giudicare ma per salvare (cf. Gv 12, 47) – che in qualche modo rifiuti o comunque non voglia porre in atto questo potere giudiziario.

San Tommaso ci dice prima di tutto di fare attenzione a una conseguenza di quello che abbiamo detto fino adesso: se Cristo ha il potere giudiziario in virtù della natura divina, dell’unione ipostatica, della grazia capitale e dei meriti, tutte e quattro queste caratteristiche fanno sì che il potere giudiziario si estenda a tutte le realtà umane. In quanto Dio, Signore e Creatore di ogni cosa, è ovvio. In quanto uomo-Dio anche, perché le prerogative della divinità passano all’umanità. In quanto alla grazia capitale pure, perché in virtù della grazia capitale Cristo è capo di tutti gli uomini, anche se non tutti sono già membra del corpo di Cristo, ma tutti sono ordinati a diventarlo, anche se poi per causa loro rifiuteranno questo. E ancora ci sono i meriti: con i meriti della sua Passione, Cristo diventa Signore dei vivi e dei morti, quindi di tutta la realtà umana.

San Tommaso ci dice: quando noi guardiamo all’unione ipostatica, vediamo che nessun’altra natura umana esistente aderisce in modo così pieno, così totale, così perfetto, così puro, alla verità. Perché la verità è una persona, è il Figlio di Dio, il quale ha acquisito una natura umana. Dunque, questa natura umana con tutte le sue facoltà, con la sua anima e il suo corpo, aderisce così intimamente alla natura divina da formare una sola persona. Ricordando che la forma del giudizio è la sapienza, qui abbiamo la sapienza incarnata. E questa sapienza, essendo la sapienza di Dio che si incarna, si estende su tutto. Questo aspetto è evidente, com’è evidente quello che ho detto per i meriti della passione e della morte di Cristo, dove Cristo stesso acquista il primato su ogni cosa, su ogni creatura, perché è l’unico ad aver vinto la morte e dunque ad aver conquistato il titolo – un’effettiva realtà – di Signore dei vivi e dei morti.

Ancora, come ci dice san Tommaso, questa estensione a tutte le realtà umane «risulta dal confronto delle cose umane con il fine dell’umana salvezza. Infatti, chi ha il compito di disporre di ciò che è principale ha anche quello di disporre di ciò che è accessorio. Ora, tutte le cose umane sono ordinate al fine della beatitudine che è la salvezza eterna, alla quale tutti gli uomini sono ammessi o dalla quale sono respinti in base al giudizio di Cristo, come risulta dal Vangelo» (III, q. 59, a. 4). Qui san Tommaso ci sta dicendo una cosa importantissima, soprattutto nel contesto laicista e secolarista in cui viviamo. Non solo non c’è nulla che sfugga al potere regale e giudiziario di Cristo, per quello che abbiamo già detto (natura divina, unione ipostatica, grazia capitale, meriti della passione e della morte), ma tutto ciò che ha a che fare con la vita umana è ordinato alla beatitudine. Cioè, la vocazione ultima dell’uomo è la visione beatifica, la beatitudine eterna; se non la raggiunge, l’uomo ha fallito completamente il senso della sua vita, della sua esistenza, del suo essere. E questo è l’Inferno. L’Inferno è il fallimento per eccellenza.

Ora, se è vero questo, è anche vero che tutto ciò che è nella realtà dell’uomo – i beni materiali e i beni spirituali, la realtà individuale e la vita politica, la vita sociale, la cultura, i beni del creato – tutto quello che possiamo immaginare è ordinato alla beatitudine. Quindi, su ognuna di queste realtà Cristo ha il potere di re e di giudice. Non c’è nulla che sfugga o che sia neutro nei confronti del suo potere giudiziario. Sotto questo punto di vista, voi capite che un certo concetto di “laicità” è non solo pericoloso, ma semplicemente falso. Per questa idea di “laicità” esisterebbero delle sfere della realtà umana che non sono soggette al potere di Cristo e che, per la stessa ragione, non sono ordinate alla beatitudine eterna. Ma è proprio perché sono ordinate alla beatitudine eterna che ricadono sotto il potere giudiziario di Cristo. Non c’è nulla di tutto ciò che è sotto il cielo che non sia ordinato alla beatitudine dell’uomo, cioè che entri a far parte di questa vocazione dell’uomo alla visione di Dio, come mezzo, come strumento, come tappa, come ausilio e viceversa come ostacolo: nulla. E quindi nulla si può sottrarre al giudizio di Cristo. E dunque Cristo esercita il suo potere giudiziario nei confronti di tutte le cose che sono sotto il cielo.

Ma non solo di quelle che sono sotto il cielo. Nell’art. 6 – un articolo che abbiamo già visto quando abbiamo parlato degli angeli – si spiega che il potere giudiziario di Cristo si esercita anche sugli angeli; quindi non solo su tutto ciò che è sotto il cielo ma anche su tutto ciò che è sopra il cielo. Ora, è evidente che gli angeli sono soggetti al potere regale-giudiziario di Cristo in quanto è Dio. Su questo non ci piove, perché evidentemente la divinità è superiore agli spiriti celesti creati, in quanto la divinità è creatrice mentre gli angeli sono creati. Ma gli angeli sono soggetti al potere giudiziario di Cristo anche in quanto al suo essere uomo. San Tommaso spiega: «Primo, per l’intimità che la natura assunta ha con Dio (…). L’anima di Cristo è piena della verità del Verbo di Dio più di qualsiasi angelo. Per cui, come insegna Dionigi, essa illumina gli angeli» (III, q. 59, a. 6). In virtù dell’unione ipostatica, l’anima di Cristo è tutt’uno con il Verbo, con la sapienza, con la verità che è il Verbo, perché è l’anima del Verbo, l’anima umana del Verbo. Non è possibile immaginare un’unione più grande di questa e quindi una pienezza più grande di questa: l’anima di Cristo, in virtù dell’unione ipostatica, è al di sopra delle creature angeliche, al punto che le creature ricevono la luce da questa Luce. Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero: questa prerogativa del Figlio di Dio passa all’umanità, e questa umanità è quanto in assoluto di più intimo possibile al Verbo; e quindi sotto questo aspetto oltrepassa le schiere angeliche, le quali non sono semplicemente al di sotto di Cristo, ma ne ricevono la luce. Dobbiamo pensare a tutto il mondo angelico come a un mondo di ricezione di luce da Dio, dal Verbo incarnato.

«Secondo, poiché con le umiliazioni della Passione la natura umana in Cristo meritò di essere esaltata al di sopra degli angeli» (ibidem). E qui san Tommaso cita la Lettera ai Filippesi (2, 10), in cui san Paolo dice che nel nome di Cristo ogni ginocchio si piega non solo sulla terra e sottoterra, ma anche nei cieli, a indicare appunto che i meriti della passione e morte del Signore hanno portato Cristo, anche sotto questo aspetto, al di sopra degli angeli. Dunque, su di loro esercita il potere giudiziario.

«Terzo, a motivo delle mansioni esercitate dagli angeli in mezzo agli uomini, di cui Cristo è capo in modo particolare» (ibidem). Sappiamo che gli angeli sono al servizio del piano di Dio in mezzo agli uomini: sono i nostri custodi, sono gli annunciatori, sono i moderatori della realtà creata, eccetera: tutto questo lo abbiamo visto parlando degli angeli. Degli uomini Cristo è capo in modo particolare, avendo assunto la nostra natura umana e avendo ricevuto la grazia capitale. Dunque, anche sotto questo aspetto, gli angeli sono soggetti al potere regale e giudiziario di Cristo.

Voi comprendete, per questa carrellata che abbiamo fatto, come la regalità di Cristo e il suo potere giudiziario sono realmente universali: non c’è nulla che sfugga a questo. Riguardo, per esempio, a quel brano del Vangelo che abbiamo citato all’inizio e che sembrerebbe sottrarre a Cristo il potere di giudice, in realtà dice san Tommaso: «Cristo, sebbene fosse stato costituito re da Dio, tuttavia mentre viveva sulla terra non volle l’amministrazione temporale del regno, da cui la sua stessa dichiarazione: “Il mio regno non è di questo mondo”. E allo stesso modo non volle esercitare il potere giudiziario sulle cose temporali. Di qui il commento di sant’Ambrogio a quel passo evangelico: “È giusto che declini le cose terrene colui che era disceso per quelle divine: non si degna di farsi giudice delle liti e arbitro delle ricchezze colui che è chiamato a giudicare i vivi e i morti e a farsi arbitro dei meriti”» (ibidem).

Dunque, è una scelta che Cristo ha fatto per la sua missione esercitata su questa terra, ma che non toglie il suo potere giudiziario reale e, soprattutto, questo non vuol dire che Cristo non eserciti il suo potere di giudice anche sulle vicende umane, una volta che è assiso alla destra del Padre. Attenzione: il mistero della vita e della persona di Cristo non deve fermarsi all’Incarnazione, ma deve seguire tutta la parabola che porta Cristo fino a sedere alla destra del Padre. E le verità della nostra fede ce lo dicono esplicitamente, con il giudizio, che chiamiamo giudizio universale, quando Cristo «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».

L’art. 5 è dedicato a questo, anche a questo abbiamo già accennato, ma lo rivediamo rapidamente per completezza. Cristo non solo è giudice di ciascuno di noi: nel momento della nostra morte il suo giudizio avviene, infallibilmente; è anche giudice universale, cioè non solamente di ciascuno di noi, ma anche della storia nel suo insieme, di tutto l’intreccio complessissimo di fatti, eventi, condizionamenti. Tutto questo è sotto il potere giudiziario di Cristo, nulla sfugge a questo giudizio; è importante ripensarlo, ridirselo perché abbiamo una visione un po’ deviata, un po’ light della fede cristiana, una visione che ha bandito l’idea di Cristo Giudice e che addirittura ha bandito la sua regalità; ma queste sono due verità sacrosante. Certo, vanno comprese: non è che Cristo risiede in Vaticano e fa il re come lo farebbe un re terreno; e tuttavia è pienamente re ed è pienamente giudice. Questo lo dobbiamo sempre tenere presente. Il Cristo Salvatore è lo stesso Cristo Giudice; non possiamo dividere – nella persona di Cristo – il Salvatore dal Giudice. Questo è un artefatto umano che non corrisponde evidentemente alla verità sul Figlio di Dio.

Abbiamo concluso questa grande parte. La prossima volta faremo un’Ora di dottrina un po’ sui generis per cercare di riprendere un po’ il quadro del nostro percorso.



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