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Ora di dottrina / 178 – La trascrizione

Siede alla destra del Padre – Il testo del video

In che senso Gesù, come professiamo nel Credo, «siede alla destra del Padre»? Questa prerogativa si riferisce alla sua divinità e/o alla sua umanità? I significati di questo sedersi. Le obiezioni comuni e le risposte di san Tommaso.

Catechismo 05_10_2025

Proseguiamo i nostri incontri di commento delle quæstiones della Somma Teologica relative ai misteri della vita di Cristo. Stiamo commentando quella lunga sezione del Simbolo della nostra fede, il Credo, che riguarda appunto i misteri della vita del Signore e che parte dall’affermazione: «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo» e si conclude con: «e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». Nelle ultime due domeniche abbiamo affrontato il mistero dell’ascensione del Signore (vedi qui e qui). Oggi vediamo un annesso importante di questo mistero che è la verità della sessione di Cristo alla destra del Padre. Noi appunto nel Simbolo affermiamo: «siede alla destra del Padre», «siede alla destra di Dio Padre onnipotente».

San Tommaso dedica a questo tema la quæstio 58 della terza parte della Summa che è composta di quattro articoli. Il primo si pone la questione del senso di questo sedere alla destra, perché ci sono alcune obiezioni evidenti. La prima è che cos’è una “destra” e una “sinistra” in Dio, perché Dio non ha un corpo, non c’è una spazialità e dunque sembrerebbe non avere alcun senso parlare di una sinistra e di una destra. Un’obiezione ovvia, sensata, se vogliamo. Un’altra obiezione nasce in qualche modo dal mettere in relazione tra loro i testi biblici e la traiamo in particolare dagli Atti degli Apostoli, dove leggiamo che Stefano vide il Figlio dell’uomo stare in piedi alla destra del Padre (cf. At 7, 56). Allora, uno potrebbe dire: si tratta di stare seduti o in piedi?

San Tommaso si sofferma a comprendere il senso di questo sedersi che non è semplicemente la seduta fisica: cosa c’è dietro il sedersi? Lui presenta due significati fondamentali. Il primo: colui che siede è colui che in qualche modo dimora, riposa, è nella quiete; quindi è giunto ad uno stato in cui può riposare, non è più nello stato della lotta che è caratteristico di questa vita mortale, ma è nella condizione della quiete, del riposo, del dimorare pacificamente ed eternamente. E questa è un’immagine di che cosa? Del godimento della beatitudine eterna. Possiamo dire che questo sedersi indica anzitutto l’essere giunti alla pienezza della beatitudine, di cui chiaramente il Signore gode anche nella sua umanità. Abbiamo già dedicato alcune lezioni a questo tema, abbiamo visto che in realtà nel Signore c’era sempre la visio beatifica; ma proprio per la nostra redenzione, a questa visione beatifica non era permesso di ridondare in tutta l’umanità del Signore. Così abbiamo anche il senso dell’espressione comune che noi utilizziamo nella preghiera per i defunti, nel Requiem æternam: il riposo eterno è l’equivalente di questo sedere; non è il riposo di chi dorme, è il riposo di chi finalmente gode delle conquiste della sua fatica, conquiste che sono poi un dono ulteriore della grazia che è sempre più grande di quanto l’uomo di per sé potrebbe meritare.

Il secondo significato di questo sedere è la partecipazione alla funzione del Padre, di re e giudice. Il re siede, quando deve governare i suoi sudditi e soprattutto quando deve giudicare. Nelle corti giudiziarie, il processo viene celebrato con il giudice che siede. Quindi, questo esprime il senso della partecipazione piena di Cristo alla regalità e al potere giudiziale del Padre.

Ora, san Tommaso, dopo aver fatto questa spiegazione, risponde alle due obiezioni viste in partenza. Riguardo alla prima, richiama un testo di san Giovanni Damasceno, che afferma: «Chiamiamo destra del Padre la gloria e l’onore della sua divinità». Dunque non ci interessa la destra o la sinistra fisica. La destra è il segno della gloria e dell’onore in cui Cristo entra pienamente.

Riguardo alla seconda obiezione, cioè quella per cui Stefano vede Cristo in piedi alla destra del Padre, san Tommaso ricorre a un testo di san Gregorio Magno, che dice: «Stare seduto è proprio del giudice: invece stare in piedi è di chi combatte e soccorre. Perciò santo Stefano, trovandosi nel combattimento, vide Cristo nell’atto del soccorritore. San Marco, invece, dopo l’ascensione, ce lo descrive seduto: poiché dopo la gloria di quell’ascensione ricomparirà alla fine del mondo come giudice». Questo vederlo seduto e vederlo in piedi indica due “attività” di Cristo alla destra del Padre, quella di giudice e quella di combattente, di soccorritore, cioè di colui che sta in piedi per intercedere in nostro favore e anche per intervenire a nostro favore. Quindi, è il segno del guerriero che opera, ma anche del sacerdote che intercede. E dunque non c’è contraddizione tra il sedere e lo stare in piedi, perché indicano due caratteristiche di Cristo alla destra del Padre.

Negli articoli 2 e 3, san Tommaso tratta due temi che devono essere tenuti strettamente uniti tra di loro. Qual è il tema? San Tommaso si domanda se questo sedere alla destra del Padre sia proprio di Cristo in quanto Dio oppure sia proprio di Cristo in quanto uomo. Cioè, «siede alla destra del Padre» si riferisce alla divinità di Cristo o alla sua umanità? Come abbiamo già visto diverse volte nell’impostazione di san Tommaso, ad esempio per la risurrezione e l’ascensione, la risposta si basa sulla verità dell’unione ipostatica; perché è questo il cuore della questione: siede alla destra del Padre in quanto Dio o in quanto uomo? C’è sempre una nuova sfaccettatura per capire il mistero dell’unione ipostatica.

Ora, nell’art. 2 san Tommaso si chiede se la sessione alla destra del Padre sia la sessione di Cristo in quanto Dio. San Tommaso si muove due obiezioni fondamentali. La prima: sedere alla destra è legato all’ascensione; anche nel Credo lo colleghiamo in qualche modo all’ascensione e dunque sembrerebbe che il mistero della sessione di Cristo alla destra del Padre riguardi la sua umanità, perché propriamente è l’umanità che ascende (vi rimando alle lezioni dedicate). La seconda obiezione invece riguarda l’uguaglianza con il Padre e con lo Spirito Santo. Essendo il Figlio, in quanto Dio, uguale al Padre e uguale allo Spirito Santo, allora necessariamente questo sedere alla destra, che indicherebbe un’inferiorità, lo si può dire solo dell’umanità e non della divinità del Figlio. Quindi, sono due condizioni importanti che sembrerebbero escludere che si possa parlare della sessione di Cristo alla destra del Padre in quanto Dio.

Invece, le cose sono un po’ più articolate e san Tommaso, per rispondere alla domanda, si chiede cosa significa questo “stare alla destra”. L’uno, come abbiamo visto, è il potere del giudice. L’altro, stare alla destra del Padre, cioè stare sullo stesso piano, allo stesso livello (non è stare al di sotto o sopra), indica chiaramente la gloria della divinità. E ancora indica la beatitudine suprema, perfetta, che deriva anche da questa gloria della divinità. Dunque, gloria della divinità, beatitudine e potere di giudice sono tre prerogative che spettano al Figlio come Dio. Dunque, se sedere alla destra del Padre significa queste tre cose ed esse sono prerogative del Figlio in quanto Dio, la sessione alla destra del Padre si dice della divinità del Figlio e non della sola umanità. Quindi, la divinità non solo non è esclusa, ma è in qualche modo richiamata necessariamente dal senso di questo sedere alla destra. La natura divina “esige” la gloria della divinità, la beatitudine perfetta e il potere di giudice. Queste prerogative, legate al sedere alla destra del Padre, il Figlio in quanto Dio le ha precisamente perché è Dio, non perché le ha acquisite.

Vediamo la risposta alle obiezioni dell’art. 2 e 3. La prima, ricordiamo, è: sedere alla destra di Dio sembrerebbe legato all’ascensione, quindi all’umanità. Posta così la questione, i tre significati di questo sedere alla destra del Padre spettano ab origine e per necessità al Figlio in quanto Dio. Dunque, non sono unicamente legate all’ascensione, ma sono invece necessariamente legate all’essere Dio. Se si è Dio, ne consegue la gloria della divinità, la beatitudine perfetta in quanto essenziale, non ricevuta – Dio è la beatitudine, evidentemente – e il potere di giudice. Viceversa, dove abbiamo questi tre aspetti in modo proprio e non derivato, abbiamo Dio.

La seconda obiezione riguarda la questione dell’uguaglianza con il Padre e con lo Spirito Santo; sembrerebbe che questo sedere alla destra ponga in uno stato di inferiorità. San Tommaso risponde: alla destra non indica una inferiorità, indica invece «la distinzione delle persone e l’ordine di origine» (III, q. 58, a. 2). Quando abbiamo parlato della Trinità, abbiamo visto che il grande mistero ci dice che abbiamo tre persone e un’unica natura divina. La distinzione non è nelle proprietà della divinità, ma è esclusivamente nelle persone, dunque nella relazione delle persone tra di loro. Ora, questo vuol dire che c’è un ordine di origine nella Trinità; è il Figlio che è generato dal Padre e non il contrario, sebbene non ci sia un prima e un poi, perché quando parliamo di Dio parliamo dell’eternità. Eppure non possiamo affermare che il Figlio generi il Padre; quindi nell’ordine della Trinità c’è il Padre che è generante (non proseguo con lo Spirito Santo perché ne abbiamo già parlato). Questo significa che tutto ciò che ha il Figlio lo riceve dal Padre; e quindi sedere alla destra del Padre non indica propriamente una inferiorità, il che escluderebbe che la sessione alla destra del Padre si possa dire della divinità del Figlio, ma indica un ordine di origine all’interno della Trinità, essendo il Padre generante, il Figlio generato. Dunque, il Figlio riceve la divinità e tutto quello che è la divinità dal Padre, e non il contrario. Anche qui, quindi, nell’analisi di san Tommaso vediamo la profondità teologica di questa piccola espressione, «siede alla destra del Padre».

Quanto abbiamo detto fin qui sembrerebbe escludere che il sedere alla destra del Padre si addica all’umanità di Cristo. Se si addice alla divinità, non si addice all’umanità? No, ancora una volta vediamo l’et-et della prospettiva cattolica: affermare che spetta alla divinità non significa escludere che spetti anche all’umanità. Significa invece distinguere e vedere cosa spetta all’una e cosa all’altra, e perché all’una e perché all’altra. Per rispondere, per spiegare come questa sessione si addica anche all’umanità di Cristo, san Tommaso nell’art. 3 si sofferma di nuovo sulla preposizione “alla”.

Faccio un inciso: vedete come dei dettagli – come una preposizione – nascondono un mondo, e mutarli significa ridurre il mistero quando non addirittura proclamare un errore. Quindi, bisogna fare sempre grande attenzione; anche se è vero che le parole umane non sono in grado di esprimere totalmente il mistero di Cristo, tuttavia non significa che allora esse possano essere utilizzate a caso o che la loro scelta nella formulazione dei dogmi non abbia un significato importante.

Dunque, in questa analisi della preposizione alla («alla destra del Padre»), san Tommaso presenta tre sensi importanti. Il primo lo abbiamo appena visto: che il Figlio sieda alla destra del Padre significa la distinzione della persona e dunque dell’ordine di origine ma anche l’uguaglianza della natura. Lo abbiamo visto con l’art. 2, spiegando che la sessione alla destra del Padre si addice alla divinità di Cristo. Ma non è tutto, perché in realtà questo sedere alla destra del Padre indica anche una distinzione di natura e una unità di persona; non tra il Figlio e il Padre evidentemente – perché tra il Figlio e il Padre è esattamente l’opposto, non c’è distinzione di natura e non c’è uguaglianza, unità di persona –, ma è in riferimento al Figlio stesso, cioè all’unione ipostatica. In virtù dell’unità del supposito, cioè dell’unica persona con le due nature, quando noi diciamo «siede alla destra del Padre» stiamo parlando non solo della natura divina ma anche della natura umana, che è la seconda natura dell’unica persona di Cristo. Lo abbiamo visto tante volte, quando parliamo di Cristo non possiamo parlare di una persona umana, ma noi parliamo di una persona con due nature: la natura divina e la natura umana. Propriamente parlando, è la persona del Verbo.

Ancora, questo senso di sedere alla destra del Padre indica anche un’acquisizione, cioè Cristo siede alla destra del Padre non solo in quanto Dio, non solo in quanto uomo in virtù dell’unione ipostatica, ma anche in virtù della sovrabbondanza della grazia abituale che risiede nella sua umanità. Se questo sedere, come detto dall’art. 1, indica la pienezza della beatitudine, nessuno più di Cristo in quanto uomo gode di questa beatitudine, appunto in virtù di questa sovrabbondanza della grazia di cui abbiamo parlato a proposito dei misteri della persona di Cristo, prima che dei misteri della sua vita. Questa pienezza attribuisce a Cristo l’eccellenza della beatitudine e la potestà giudiziaria, perché questa sovrabbondanza della grazia lo porta al di sopra di tutte le creature, di tutti gli uomini e gli dà la potestà di poter esercitare su di loro una regalità e un potere giudiziario vero e proprio. Dunque, anche dell’umanità di Cristo, non solo della sua divinità, si dice propriamente che siede alla destra del Padre.

Nell’art. 4, l’ultimo della quæstio, san Tommaso si pone un’altra questione. Abbiamo visto che Cristo siede alla destra del Padre in quanto Dio e in quanto uomo. Ma c’è qualcun altro che può sedere alla destra del Padre o è qualcosa che spetta solo a Lui? Abbiamo dei testi neotestamentari in cui si parla degli apostoli chiamati a giudicare le dodici tribù di Israele (cf. Lc 22, 28-30). Allora, questo potere giudiziale sembra che non appartenga solo a Cristo. L’essere con Lui nella gloria oppure sedere alla sua destra e alla sua sinistra, come chiede la mamma dei due apostoli Giacomo e Giovanni (Mt 20, 21), non è negato dal Signore, cioè il Signore non nega questa possibilità nei Vangeli. Come dobbiamo interpretare questo fatto? È solo a Cristo che spetta questo o no? C’è una contraddizione tra l’affermare che solo Cristo siede alla destra del Padre e che anche altri possono sedere con Lui alla destra del Padre, esercitare con Lui il potere legale, giudiziale?

La risposta di san Tommaso di nuovo non è un aut-aut, è un et-et, i cui due nodi non sono uguali, sono diversi, ma non si escludono. Nel concreto, nel modo di Cristo spetta solo a Cristo sedere alla destra del Padre e a nessun altro. Perché? Ripassiamo le ragioni che abbiamo detto prima: nessun altro – all’infuori del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – ha la natura divina. Nessun altro, all’infuori di Cristo, ha l’unione ipostatica: solo a Cristo spetta sedere alla destra del Padre, in virtù dell’unione ipostatica. E nessun altro ha sovrabbondanza, pienezza della grazia abituale. Sotto questi punti di vista, dunque, solo a Cristo spetta sedere alla destra del Padre in questo modo, nel modo che gli è proprio in quanto Dio e uomo nella pienezza della sua santità.

Però queste tre prerogative che sono proprie di Cristo non escludono la partecipazione di altri alla sessione di Cristo alla destra del Padre. Qui tocchiamo un punto fondamentale nella teologia cattolica, che san Tommaso riassume nella risposta alla prima obiezione dell’art. 4: «Essendo Cristo il nostro capo, ciò che è stato conferito a lui, è stato in lui conferito anche a noi» (III, q. 58, a. 4, ad 1).

Torna di nuovo questo tema su cui san Tommaso insiste molto: Cristo non è il Cristo “solo”; il Cristo solo è per le prerogative sue proprie: nessun altro è Dio, nessun altro è l’uomo-Dio nell’unione ipostatica, nessun altro ha questa sovrabbondanza della grazia che deriva dall’unione ipostatica. E tuttavia questo non significa che Egli sia “da solo”. Ripeto questa frase: «Essendo Cristo il nostro capo...». Abbiamo parlato della grazia capitale di Cristo, vi rimando a quella catechesi. Allora, questo significa che ciò che è in Lui in quanto Dio, ciò che gli è stato conferito in quanto uomo-Dio, è stato in Lui, in ipso (come dice il testo latino), conferito anche a noi. Non allo stesso modo, ma come a Lui, così in Lui anche a noi. Qui c’è questo fortissimo senso della partecipazione. Noi non siamo come Cristo, ma non siamo separati da Cristo: partecipiamo di Cristo, siamo in Cristo. E quindi questo in Lui permette di capire che realmente partecipiamo a ciò che è Lui, a ciò che è in Lui, in questo caso il sedere alla destra del Padre; ma non secondo le sue prerogative, che spettano solo a Lui.

Quindi, non siamo fuori, non siamo Lui, ma siamo dentro in quanto siamo in Lui. Questo è il grande mistero della Chiesa. La Chiesa è primariamente questo corpo che è in Cristo; e quindi, in quanto corpo unito al suo capo, tutta la grazia che è nel suo capo defluisce nelle membra. Da qui capite l’assurdità di pensare alla possibilità di essere in Cristo, ma non nella Chiesa. Torneremo sull’argomento.

A Dio piacendo, la prossima domenica affronteremo l’ultima quæstio relativa ai misteri della vita di Cristo. Poi faremo una sintesi, cercando di recuperare il piano generale che stiamo vedendo, per avere un po’ il senso della connessione dei diversi misteri tra di loro.



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