La grazia di Cristo capo – Il testo del video
San Tommaso si focalizza su una verità enorme: Cristo capo della Chiesa. Tre caratteristiche: nobiltà, perfezione, virtù. I diversi gradi in cui Cristo è capo di tutti gli uomini. Il conseguente dovere della Chiesa: l’evangelizzazione. Cristo e i capi che fanno le sue veci.
Proseguiamo il nostro percorso dedicato alla grazia di Cristo. L’altra volta abbiamo visto le caratteristiche, la pienezza di questa grazia. Abbiamo già accennato che questa pienezza in Cristo è destinata ad essere il bacino, la riserva di tutta la grazia che viene riversata sugli uomini. E oggi ci occupiamo proprio di questa verità di fede, straordinariamente bella.
Vedremo la quæstio 8 della terza parte della Summa di san Tommaso d’Aquino, quæstio che è una delle più belle e consolanti per noi uomini. Nell’articolo 1 della q. 8, san Tommaso spiega perché Cristo è capo. Capo di che cosa? Capo evidentemente della sua Chiesa, del corpo mistico. L’idea del corpo mistico è stata riscoperta in teologia abbastanza di recente, più o meno nel periodo del pontificato di Pio XII. Ma in realtà essa è presente nella tradizione della Chiesa da molti secoli prima e la troviamo anche in san Tommaso. La troviamo nei testi della Rivelazione, specialmente nelle lettere di san Paolo. Ma come spesso succede, ci sono delle verità di fede che vengono un po’ trascurate, in un certo momento, perché ci sono altre priorità e poi vengono recuperate; questo è normale, data la nostra condizione di esseri umani; si tratta della modalità con cui noi conosciamo, non abbiamo la possibilità di conoscere tutto quanto ictu oculi, in un colpo d’occhio. Dobbiamo avvicinarci parte per parte, perciò approfondiamo un aspetto per poi lasciarne inevitabilmente un altro nelle retrovie.
Dunque, san Tommaso si focalizza su questa verità enorme: Cristo capo della Chiesa. Capo della Chiesa perché c’è un’analogia tra il corpo umano – quindi la testa e le membra – e il corpo mistico della Chiesa: la testa, che è Cristo, e le membra, gerarchicamente ordinate, che siamo noi. Ora, quali sono le tre caratteristiche del capo, della testa, che ci dicono appunto che Cristo è il capo della Chiesa?
La prima caratteristica è la nobiltà. La testa è la parte più nobile dell’uomo, non solo perché viene prima, ma perché è più in alto e la colleghiamo alle attività più elevate dell’uomo. Questa nobiltà in Cristo è fuori discussione. Perché? Perché la sua natura umana è unita ipostaticamente al Verbo e dunque non esiste nulla di creato che possa avere una nobiltà tale da essere unito ipostaticamente a Dio. Questa è la nobiltà per eccellenza, il primato ineguagliabile per qualunque creatura.
C’è poi una seconda primazia, che è quella della perfezione. La scorsa volta abbiamo visto che in Cristo c’è la perfezione, la pienezza della grazia. E con la grazia le virtù, i doni dello Spirito Santo, le grazie gratis datæ. Questa perfezione, che è strettamente collegata alla grazia d’unione, fa sì che in Cristo risieda ogni pienezza di perfezione, ogni pienezza di grazia e di verità.
Terzo aspetto. Ciò che caratterizza il capo è il fatto di esercitare una virtù, un’influenza su qualcun altro, sennò non sarebbe il capo di qualcosa e di qualcuno. Il termine “essere capo” indica proprio la possibilità di influenzare qualcuno, per autorità, capacità, eccetera. Nella relazione Cristo-Chiesa noi sappiamo che questa pienezza straordinaria è data a Cristo non solo in virtù della sua persona, non solo in virtù della sua unione ipostatica, ma perché fosse comunicata a tutti coloro che si trovano uniti a Cristo, cioè alle sue membra, per richiamare di nuovo l’analogia capo-corpo. E dunque Cristo ha ricevuto la virtù di comunicare questa grazia che Egli ha in pienezza, ha perfettamente in Sé.
Sulla base di queste considerazioni, per le tre caratteristiche che abbiamo detto, san Tommaso conclude che Cristo è vero capo della Chiesa. Abbiamo usato, in modo quasi sinonimico, la dizione “Cristo capo della Chiesa” e “Cristo capo degli uomini”. Andiamo a vedere un po’ più da vicino questa realtà. Nell’art. 2 e nell’art. 3, san Tommaso si chiede rispettivamente se Cristo sia capo di tutto l’uomo, cioè di tutte le dimensioni che costituiscono la nostra umanità, e se sia capo di tutti gli uomini che sono comparsi e che compariranno sulla faccia della terra. E poi allarga ulteriormente la visione, chiedendosi se Cristo sia anche capo degli angeli. Andiamo con ordine. Occupiamoci della prima di queste questioni, trattata dall’art. 2 della q. 8.
San Tommaso spiega così: «Dobbiamo affermare che l’umanità di Cristo possiede un potere di influsso in quanto è congiunta al Verbo di Dio, al quale il corpo è unito mediante l’anima» (III, q. 8, a. 2). Chiaro, no? Abbiamo visto che con l’unione ipostatica la natura umana di Cristo è unita alla persona del Verbo. E con quale ordine? Lo abbiamo appena letto: in quanto l’anima influisce sul corpo; cioè, è in gioco tutta l’umanità di Cristo, anima e corpo, ma con un ordine, perché nell’essere umano l’anima influisce sul corpo, è forma del corpo. «Perciò tutta l’umanità di Cristo, secondo l’anima e il corpo, influisce sugli uomini quanto all’anima e quanto al corpo, ma principalmente quanto all’anima, secondariamente quanto al corpo» (ibidem).
In sostanza, san Tommaso ci sta dicendo che tutta l’umanità di Cristo, anima e corpo, è unita alla persona divina, all’essere capo della Chiesa, e dunque questa umanità integra di Cristo – ricordiamo le discussioni dottrinali in cui si cercava in qualche modo di ridurre l’umanità di Cristo a una sola dimensione e come la Chiesa abbia rigettato queste eresie – è capo di tutto l’uomo. Tutto Cristo, anima e corpo, influenza tutto l’uomo, esercita la sua virtù su tutte le dimensioni dell’uomo, cioè sull’anima e sul corpo, con questa sottolineatura: «principalmente quanto all’anima, secondariamente quanto al corpo»; non perché il corpo non sia importante ma perché c’è un ordine: è l’anima ad essere forma del corpo, non viceversa. Da cui, questo ordine, che non è uno svilire il corpo.
Dunque, Cristo è capo di tutto l’uomo, cioè esercita la sua influenza, la sua signoria, la sua sovranità su tutto l’uomo. Ecco perché mai nella storia della Chiesa si è sostenuto che si debba servire Dio solo con l’anima, perché questo implicherebbe due errori gravi: 1) l’errore di pensare che l’uomo possa essere ridotto a una sola dimensione, o che la sua dimensione più nobile – l’anima – possa essere a tal punto isolata da escludere, da svilire il corpo; 2) il secondo errore, più di ordine cristologico, starebbe nel non tenere conto del fatto che Cristo è vero uomo, dunque anima e corpo. E, in questa duplicità che caratterizza la natura umana, esercita la sua signoria su tutto l’uomo, anima e corpo.
Così si capiscono anche i testi di san Paolo, dove si parla del corpo che deve essere posto al servizio del Signore, perché il corpo è il tempio del Signore (cf. 1Cor 6, 15-20). Si capiscono i gesti della liturgia, l’incensazione per esempio del corpo di un defunto. Si capisce l’importanza di dare degna sepoltura al corpo e tutti i gesti che accompagnano questa sepoltura, la benedizione del loculo, eccetera. Si capisce l’importanza della partecipazione del corpo nella preghiera e nella liturgia, cosa che era assolutamente scontata per i nostri padri. Il corpo ha i suoi gesti che accompagnano la parte, per così dire, che l’anima ha nella preghiera. Dunque, sono importantissime le ripercussioni di questo articolo.
Altrettanto denso è l’art. 3, nel quale san Tommaso si chiede se Cristo sia il capo di tutti gli uomini. Ora, verrebbe da pensare – poiché san Tommaso si muove queste obiezioni – che non sia così: non sia così perché esistono gli infedeli; non sia così perché, anche tra i fedeli, ci sono coloro che vivono nel peccato e dunque in qualche modo non sono più nell’unione della grazia con Cristo; verrebbe da dire così perché Cristo è venuto in un certo tempo della storia: e come possiamo considerare sue membra tutti gli uomini che lo hanno preceduto, se il capo compare solo in un certo momento storico? San Tommaso, come sempre, trae la risposta da due testi fondamentali: in questo caso 1Tm 4,10, dove san Paolo dice che Cristo «è salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono»; e poi 1Gv 2,2, dove si dice che «egli è vittima di espiazione per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo». Quindi, tra i tanti testi delle Sacre Scritture, abbiamo questi due che ci parlano del fatto che Cristo è capo di tutti gli uomini.
E allora san Tommaso, a questo punto, spiega: «Dobbiamo quindi affermare che, abbracciando tutti i tempi, Cristo è capo di tutti gli uomini, ma secondo gradi diversi» (III, q. 8, a. 3). Dunque, si deve dire che Cristo è capo di tutti gli uomini, ma non intendere che questo essere capo di tutti gli uomini sia esattamente nello stesso senso, perché ci sono dei gradi diversi con cui possiamo e dobbiamo affermare che Cristo è capo di tutti gli uomini.
Adesso san Tommaso ci presenta questi gradi differenti: «Innanzitutto e principalmente è capo di coloro che sono uniti a lui nella gloria» (ibidem). Perché innanzitutto e principalmente? Non perché il Signore “discrimini” e ad alcuni dia più grazia e quindi sono più sue membra, ma perché nello stato di gloria non c’è più da parte dell’uomo alcun limite alla grazia: la morte e la glorificazione tolgono da noi qualsiasi ombra, qualsiasi macchia, qualsiasi filo che ci lega al peccato, qualsiasi minimo ripiegamento su noi stessi. Quindi, la grazia può risplendere nelle anime beate senza più alcuna limitazione da parte dell’uomo.
«In secondo luogo lo è [capo] di coloro che gli sono uniti in atto mediante la carità» (ibidem). Ora, «uniti mediante la carità» sono sicuramente i beati, ma abbiamo anche quanti sono ancora in questa vita quaggiù, nella Chiesa militante, uniti a Cristo nella carità, cioè – come diciamo oggi nel nostro linguaggio – sono in grazia di Dio e crescono di grazia in grazia. Dunque, la carità crea un vincolo fortissimo, che è lo stesso vincolo che hanno i beati in Paradiso, ma quaggiù sempre con alcune limitazioni che noi stessi diamo all’opera della grazia, un freno che in qualche modo noi diamo al dilagare della carità.
«In terzo luogo [Cristo è capo] di coloro che gli sono uniti attualmente nella fede» (ibidem). Di chi stiamo parlando? Stiamo parlando di coloro che purtroppo hanno perso la grazia a causa del peccato mortale, ma non hanno perso la fede. Questa è una precisazione importante: noi con il peccato mortale non perdiamo la fede; perdiamo la fede con alcuni peccati specifici, che sono il peccato di eresia, il peccato di apostasia, ma non è che ogni peccato ci fa perdere la fede. Invece, ogni peccato grave, ogni peccato mortale ci fa perdere la carità. E dunque, in questo ordine, coloro che hanno perso la grazia, la carità, a causa del peccato mortale, sono comunque uniti nella fede, pur non essendolo nella carità. E dunque hanno un legame meno forte rispetto ai primi due casi che abbiamo visto.
San Tommaso dedica la risposta alla seconda obiezione proprio a questo tema: «Ci sono però dei peccati, quelli mortali, da cui sono immuni coloro che sono membra di Cristo per l’unione attuale della carità. Coloro invece che commettono tali peccati non sono membra di Cristo in atto [quanto alla carità], ma in potenza, se non forse imperfettamente mediante la fede informe, che unisce a Cristo sotto un certo aspetto e non puramente e semplicemente, senza cioè far conseguire la vita della grazia, poiché la fede senza le opere è morta, come dice san Giacomo. Tuttavia costoro ricevono da Cristo un certo atto vitale, che è il credere, come se uno riuscisse a muovere in qualche modo un membro paralizzato» (ibidem). Tommaso usa questa immagine: un membro paralizzato non riesco ad usarlo e tuttavia non è del tutto morto, è come se avesse un segnale di vita, un qualche movimento, sebbene non sia il movimento che gli è proprio; una gamba è fatta per camminare, per muoversi, e così l'anima, se non c’è la carità, non può “muoversi”. E tuttavia, se permane la fede, c’è un qualche movimento, ci dice san Tommaso, c’è un qualche atto vitale che è dato appunto dalla fede. Ma noi sappiamo che la fede senza le opere è morta; dunque, possiamo avere la fede senza la carità, cioè senza le opere che sgorgano dalla carità, senza la carità verso Dio e verso il prossimo; questa fede è morta, e tuttavia non è un nulla, ci dice Tommaso.
«In quarto luogo, [Cristo è capo] di coloro che gli sono uniti soltanto in una potenza non ancora ridotta all’atto, ma che passerà all’atto secondo la predestinazione divina. In quinto luogo, di coloro che gli sono uniti in una potenza che non passerà mai all’atto, come gli uomini viventi in questo mondo e non predestinati, i quali però cessano totalmente di essere membra di Cristo quando lasciano questo mondo, non essendo più in potenza all’unione con Cristo» (ibidem).
Allora, riguardo al quarto e al quinto grado, san Tommaso ci sta dicendo che sono gradi più bassi, ma non sono un puro nulla. Cristo è capo anche di tutti gli uomini che non sono ancora uniti a Lui effettivamente, cioè in atto, ma lo sono in potenza, ossia sono comunque orientati a Lui e sono chiamati a divenire uniti a Cristo. Tra costoro c’è una differenza: alcuni diventeranno uniti effettivamente, altri no. Questi ultimi noi ovviamente non li conosciamo, come noi non sappiamo se quelli che attualmente sono uniti a Cristo nella fede o anche nella carità persevereranno in questo: non possiamo saperlo di noi come di nessun altro, possiamo solo, come ci esorta san Paolo, attendere alla nostra salvezza con timore e tremore (cf. Fil 2, 12), cioè vivere e crescere nelle virtù, nella preghiera, per rendere in qualche modo salda questa chiamata di salvezza. Dunque in questa categoria ci sono quelli che chiamiamo infedeli, cioè coloro che ancora non sono membra della Chiesa, non hanno ricevuto il Battesimo, non hanno ricevuto l’annuncio di Cristo. San Tommaso – attenzione – ci dice che costoro non sono al di fuori della signoria e dell’influenza esercitata da Cristo, ma Cristo la esercita in loro perché possano divenire membra in atto della Chiesa.
Dunque, tutto il senso dell’azione apostolica della Chiesa è proprio questo: corroborare, confermare coloro che sono già uniti nella fede e anche nella carità, perfezionare questa carità, farla crescere. Ma verso coloro che sono orientati a questo solo in potenza, cioè non lo sono ancora effettivamente, la Chiesa ha il diritto e il dovere dell’evangelizzazione, dell’amministrazione dei sacramenti. Altro che “niente proselitismo”! Chiaramente, se per “proselitismo” intendiamo una forzatura, una violenza fatta sulle persone, anche in maniera subdola, non è quello che la Chiesa è chiamata a fare, perché non è quello che ha fatto Cristo. Ma se per proselitismo intendiamo fare proseliti, nel senso di raggiungere le anime perché conoscano Cristo, perché possano essere unite a questo corpo mistico, quindi divenire membra di questo corpo, allora è il senso della Chiesa quaggiù, insieme alla glorificazione di Dio. Non comprendere questo vuol dire non capire il senso della Chiesa, non capire in fondo Cristo. Non stiamo ancora facendo il commento del Credo nella sezione dedicata alla Chiesa, ma stiamo ancora parlando di Cristo: ma Cristo, nella sua integralità, è capo della Chiesa, capo di tutti gli uomini nel senso che abbiamo detto. C’è sempre un doppio errore: un errore in ecclesiologia difficilmente non è anche un errore in cristologia.
E che dire di tutti gli uomini che hanno preceduto Cristo? San Tommaso vi dedica la risposta alla terza obiezione, riferendosi ai santi patriarchi, ai profeti: «I santi patriarchi non praticavano i sacramenti della legge come realtà assolute, ma come immagini e ombre delle cose future. Ora, è identico il moto verso l’immagine in quanto tale e verso la realtà; perciò gli antichi patriarchi, praticando i sacramenti della Legge, andavano verso Cristo con la medesima fede e carità con la quale ci muoviamo anche noi. E così i patriarchi appartenevano al medesimo corpo della Chiesa a cui apparteniamo noi» (ibidem, ad 3). San Tommaso si riferisce ai patriarchi, cioè ai giusti dell’Antica Alleanza, ma questo lo possiamo estendere per analogia. Costoro non conoscevano Cristo, non avevano ancora i sacramenti della Nuova ed Eterna Alleanza, non avevano ancora udito propriamente il Vangelo. E tuttavia avevano delle immagini e ombre di queste cose. Coloro che seguivano quelle immagini e ombre, non in senso assoluto ma in quanto immagini e ombre di Colui che doveva venire, immagini di una realtà che doveva ancora essere posta, andavano nella stessa nostra direzione, partendo da “più indietro”. In che senso? Nel senso che vedevano ancora per immagini, noi invece conosciamo la realtà, sebbene rispetto alla visione beata anche la nostra è ancora un’ombra. Considerate questa gradazione.
Perché, per estensione, possiamo applicare a tutti il concetto espresso sopra? Perché tutti coloro che hanno seguito, che hanno colto delle immagini, delle ombre della pienezza di Dio che sarebbe venuta, erano in qualche modo membra della stessa Chiesa a cui apparteniamo noi.
Nell’art. 4, san Tommaso ci dice che Cristo è capo anche degli angeli. Perché? Ricordiamo che questa questione l’abbiamo già affrontata quando abbiamo parlato delle creature angeliche. Non esistono due fini diversi per gli uomini e gli angeli: gli uomini e gli angeli sono destinati a uno stesso fine, la visione beatifica, il godimento di Dio nella pienezza, nella patria. Ora, poiché c’è un unico fine che accomuna gli angeli e gli uomini, allora esiste un’unica Chiesa che è proprio il corpo di coloro che vivono questa visione beatifica o di coloro che sono chiamati a viverla. E quindi poiché uno è il fine degli angeli e degli uomini, e poiché una è la Chiesa, anche gli angeli sono membra della Chiesa e, perciò, Cristo è anche il loro capo. Quando parliamo della Chiesa, si vede quindi quale estensione reale abbiamo di questo significato: prima di tutto il riferimento a Cristo e poi alla varietà e alle diverse condizioni delle sue membra.
Dell’art. 5 abbiamo già parlato l’altra volta. Chiudiamo con l’art. 6, dove san Tommaso si chiede se solo Cristo sia il capo della Chiesa. Uno potrebbe dire: “In fondo il Papa è capo della Chiesa”. Non è un’esagerazione affermare che il Papa è capo della Chiesa. I vescovi, in una certa misura, partecipano a questo fatto di essere capi della Chiesa particolare che devono presiedere.
E dunque come possiamo dire che Cristo sia il solo capo della Chiesa? Richiamando la Lettera ai Colossesi (2,19), «dal capo della Chiesa tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami realizzando così la crescita secondo il volere di Dio», chiaramente questo lo si può dire solo di Cristo. Dunque, solo Cristo è capo della Chiesa. Tuttavia, secondo quella modalità tipicamente vera e cattolica di intendere le cose, questo non esclude che ci siano altri capi, ma gli altri capi sono detti veramente capi della Chiesa per partecipazione.
San Tommaso, innanzitutto, dice che Cristo è capo di tutti coloro che fanno parte della Chiesa, in ogni luogo, in ogni tempo e in ogni condizione. Invece, gli altri uomini non hanno questo tipo di estensione nel loro essere capi. Perché? Anzitutto, i vescovi sono limitati dal luogo: il vescovo non è capo di tutta la Chiesa. Poi, il Papa è capo di tutta la Chiesa, ma in un tempo determinato, nel periodo del suo pontificato, non di tutta la storia della Chiesa. E poi c’è un limite relativamente alla condizione: il Papa e i vescovi esercitano il loro essere capi sulla Chiesa militante, cioè non sono in grado di essere capi della Chiesa trionfante, dei beati. Dunque, c’è una distinzione, che soprattutto nasce dal fatto che «Cristo è capo della Chiesa per sua virtù e autorità». Ricordiamo che Cristo non ha ricevuto da nessun uomo questa virtù e autorità, che discende invece dall’unione ipostatica, «mentre gli altri sono capi in quanto fanno le sue veci» (ibidem). Ora, qui c’è tutta la forza e il limite dei capi della Chiesa, dei papi, dei vescovi, dei parroci nella loro dimensione, in quanto ricevono questa autorità da Cristo. Ciò può avvenire in modo immediato: è il caso del Papa, che non viene eletto dai cardinali; questo è un modo molto politico di intendere la cosa. I cardinali semplicemente designano un candidato, ma il Papa è investito della sua autorità direttamente da Cristo nel momento in cui egli accetta, ragione per cui solo Cristo gliela può togliere o mediante la morte o mediante la sua rinuncia. Non si può decidere per votazione che “questo non è più il Papa”. L’autorità del Papa in quanto capo viene dunque direttamente da Cristo.
L’autorità, invece, dei vescovi viene mediante la giurisdizione che viene loro data dal Papa in modo diretto o indiretto; il vescovo riceve la potestà dell’ordine sacro nel suo terzo grado, l’episcopato. Il sacerdote esercita il suo ministero, che è anche una partecipazione al governo della Chiesa; il parroco ha un’autorità sul territorio nel momento in cui gli viene data dal proprio vescovo e quindi riceve un mandato. Questa è la catena fondamentale che regge la gerarchia della Chiesa. E tuttavia, dice san Tommaso, questi capi «fanno le veci di Cristo», ricevono questa autorità perché partecipano dell’essere capo di Cristo nella misura che è loro propria.
Dunque, si capisce perché uno dei punti fermi della dottrina della Chiesa sul papato, ma anche sulla potestà dell’episcopato, è che nessuno di loro, nessuno di questi capi, ha la potestà di cambiare ciò che è di diritto divino, ciò che Dio ha stabilito e che noi conosciamo mediante le Scritture così come sono state interpretate nel corso dei secoli dal magistero della Chiesa, come vengono proposte a credere secondo i diversi gradi di pronunciamento del magistero.
Non si tratta, quindi, di sminuire il papato o l’episcopato, né si tratta di dargli un potere che non hanno: si tratta di comprendere che sono veri capi, ma per partecipazione. E dunque hanno un’autentica autorità, verso il basso, ma hanno un autentico limite, verso l’alto. E questo essere vicari di Cristo, ripeto, è tutta la loro forza, ma è anche la sfera entro la quale possono e devono muoversi: uscire da questa sfera vanifica il loro potere, non in senso assoluto, ma nel senso che non è possibile per nessuna autorità legittima della Chiesa cambiare ciò che Cristo stesso ha stabilito, ciò che Dio stesso ha stabilito. Si tratta di un potere vicario: vero, ma vicario, non costitutivo; la Chiesa non l’ha fondata il Papa, non l’hanno fondata i vescovi: l’ha fondata Cristo, dandole come centro di unità il Papa e strutturandola dentro la successione apostolica. Ma, di nuovo, Cristo è il capo pieno, mentre ogni altra autorità è esercitata per partecipazione.
La grazia di Cristo capo
San Tommaso si focalizza su una verità enorme: Cristo capo della Chiesa. Tre caratteristiche: nobiltà, perfezione, virtù. I diversi gradi in cui Cristo è capo di tutti gli uomini. Il conseguente dovere della Chiesa: l’evangelizzazione. Cristo e i capi che fanno le sue veci.
La grazia di Cristo – Il testo del video
In virtù dell’unione ipostatica, in Cristo c’è la pienezza della grazia e della verità, che Lui riversa sulle membra del suo corpo mistico. Perciò solo in Cristo c’è salvezza. Intensità e virtualità della grazia. La perfezione del timore di Dio.
Cristo e gli angeli - il testo del video
Cristo è capo della Chiesa e, in quanto tale, capo degli uomini e degli angeli. Il Verbo incarnato si trova dunque al vertice di quella cascata di luce divina che dai serafini si riversa ai livelli inferiori.