Consiglio Europeo, dopo la Merkel sarà il diluvio
Ultimo Consiglio Europeo a cui partecipa la Merkel, unica leader che sa ricucire le tensioni. Poi avverrà quasi certamente una spaccatura su tutti i temi più forti in discussione. Ursula von der Leyen si fa portavoce dei Paesi occidentali contro i valori cristiani di Polonia e Ungheria. E anche sull'immigrazione l'Ue è profondamente divisa.
Il Consiglio Europeo dei giorni scorsi, 21 e 22 ottobre, non ha lasciato spazio ad ambiguità: l’Europa è divisa su tutto e ha perso, con l’uscita di Angela Merkel, l’unico leader politico capace di evitare scontri all’arma bianca. Partiamo dai documenti ufficiali la convocazione e le conclusioni della due giorni di intensi incontri tra i capi dei governi dei Paesi europei.
Nella lettera di convocazione inviata dal Presidente Charles Michel ai capi dei governi, si segnalavano i punti all’ordine del giorno: “i prezzi dell'energia che colpisce duramente i nostri cittadini e le imprese... l'attuale situazione della COVID-19…i recenti sviluppi relativi allo stato di diritto... commercio… i vertici imminenti come la COP 26 e la COP 15 sulla biodiversità… il tema della migrazione… trasformazione digitale dell'Europa”. Importante è il passaggio conclusivo della lettera del Presidente Michel: «Sono sicuro che avremo un incontro produttivo, in uno spirito di fiducia e di dialogo. Come dimostrato in passato, l'unità è la nostra risorsa più forte». Una unità che si è trovata solo nella vaghezza del documento finale e per nulla apparsa nelle cronache delle due giornate di scontri. Nel documento finale, è ben vero che si riprendono tutti i punti dell’ordine del giorno, ma si usano termini che lasciano un ampio margine di interpretazione a ciascun primo ministro, mentre non si fa alcun cenno alle polemiche sullo ‘stato di diritto’ né al ‘blocco’ dei fondi di Recovery per Polonia e Ungheria. Ci sono stati scontri veri sul piano del ‘Green europeo’ e sulla incapacità di calmierare i prezzi energetici. In particolare Ungheria, Polonia e Repubblica ceca hanno chiesto di posticipare le misure del ‘Fit for 55’ , mentre Spagna, Belgio, Lituania, Finlandia, Grecia hanno chiesto alla Commissione maggiore impegno per calmierare i costi energetici che stanno colpendo famiglie ed imprese. Grecia, Francia, Ungheria, Slovenia, Irlanda ed Ungheria hanno difeso la loro idea di investire sul nucleare. Altri paesi, tra cui Belgio, Olanda, Germania, Danimarca ed Estonia si schieravano compattamente con gli obiettivi e le follie ‘verdi’ della Commissione.
Sulla risposta alle migrazioni illegali e alla guerra ‘ibrida della Bielorussia’ ai confini di Polonia e dei Paesi baltici, i leader di dieci Paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia) con l’appoggio di Austria e Cipro hanno chiesto, ma non ottenuto, aiuti per la costruzione di muri e barriere ai confini. L’Europa invece predilige la soluzione di pagare altri Paesi non europei per controllare i flussi di migranti e rimanere, per esempio, in balia della Turchia. Nella discussione sullo ‘stato di diritto’, ci sono visioni opposte sul futuro europeo, emerge vivida l’immagine di un continente diviso da una ‘cortina di ferro’ geografica e culturale.
Innanzitutto, lo scontro in atto ed i ricatti di Commissione, Parlamento ed alcuni Paesi verso la Polonia, ha tenuto banco nella riunione dei primi ministri. Angela Merkel, sin dall’arrivo per il primo giorno, lo ha definito un contrasto serio, non solo della Polonia, su «come i singoli membri immaginano il futuro dell'Ue»: Una unione che và verso il centralismo o si sviluppa nel rispetto della identità degli stati?. Il Polacco Morawiecki ha ribadito le stesse ragioni presentate nella lettera di inizio settimana sulla legittimità delle sentenze della Corte Costituzionale, una posizione che ha avuto il pieno e ufficiale sostegno dell’Ungherese Orban. La presidente von der Leyen, ormai impegnata in una personalissima guerra contro la Polonia (e Ungheria), chiedeva ai leader del Consiglio di sostenerla nello scontro sui ‘valori europei’. Certamente polemici Irlanda, Lussemburgo, Belgio e sulla stessa lunghezza d’onda, con sua una lettera, il Presidente del Parlamento Sassoli che pretendeva una discussione franca e conclusiva sulla radicale questione dello ‘stato di diritto’ e dei valori europei.
Nello stesso pomeriggio di giovedì, in cui si infuocava la discussione al Consiglio, il Parlamento europeo approvava una Risoluzione (502 favorevoli su 671 votanti) contro la decisione della Corte Costituzionale polacca che veniva definita un «attacco alla comunità europea di valori e leggi» e chiedeva alla Commissione europea e al Consiglio europeo di attivare un meccanismo di infrazione per la Polonia, di bloccare i fondi europei ed attivare la procedura dell’articolo 7 del trattato per spogliare Varsavia del proprio diritto di voto al Consiglio. Dopo due giorni di dibattito, nessuna conclusione del Consiglio contro la Polonia, né altri Paesi sul tema dello ‘stato di diritto’, grazie anche alla Merkel, suo ultimo Consiglio europeo, che ha evitato lo scontro finale.
Il Presidente Macron, da gennaio 2022 inizierà la presidenza francese del Consiglio dei paesi Ue, ha auspicato che ci sia rispetto e dialogo, mentre Ursula von der Leyen si è mostrata ancora una volta paladina dei giacobini Paesi del Benelux, minacciando con ogni strumento Varsavia. Al prossimo Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre, con l’entrata in gioco del nuovo governo tedesco a trazione socialista, la ‘guerra radicale’ già in atto farà vittime. La visione europea di ‘unità nella diversità’ (e rispetto delle identità) e quella del ‘centralismo democratico’ socialista sono inconciliabili. Lo scontro sulla decisione della Corte Costituzionale polacca è folle. In nome dello ‘stato di diritto’ l’Europa chiede al governo della Polonia di violare il principio della ‘separazione dei poteri’ e di cambiare le decisioni indipendenti dei giudici supremi.
Siamo al paradosso più estremo, pari a quello già visto nelle decisioni contro l’Ungheria, quando in nome di indefiniti ‘valori europei’, si chiedeva a Budapest di rinunciare ai chiari valori cristiani e ai diritti fondamentali dei genitori, per abbracciare i dogmi totalitari LGBTI. Lo spirito dei popoli cristiani dell’oriente europeo è stato ricordato da Orban nel suo discorso del 23 ottobre a Budapest, alle celebrazioni del 65°anniversario della rivolta del 1956:”Noi non dimenticheremo mai…e dobbiamo tutti prender parte anche oggi alla lotta per la libertà e per il nostro destino”. Bruxelles è avvisata.