Biden adotta la politica di Trump sugli immigrati
Ascolta la versione audio dell'articolo
Le nuove regole contro l’immigrazione illegale negli Stati Uniti saranno ancora più dure di quelle dell’amministrazione Trump. Venendo da un governo di sinistra, saranno contestate meno. Ma si basano sulla creazione di hot spot fuori dal territorio americano e sull'espulsione di tutti gli immigrati entrati illegalmente, anche se chiedono asilo.
Le nuove regole contro l’immigrazione illegale negli Stati Uniti saranno ancora più dure di quelle dell’amministrazione Trump. Verrebbero molto probabilmente accusate di razzismo, se a promuoverle e a prepararsi ad applicarle non fosse l’amministrazione Biden, la più a sinistra della storia recente americana. Due le caratteristiche fondamentali: chi attraversa il Messico ed entra illegalmente negli Usa deve essere espulso, che chieda o meno l’asilo. Perché avrebbe potuto e dovuto chiederlo, o in un hot spot di confine, o in un Paese sicuro lungo la rotta dell’America centrale. L’altra caratteristica è la delocalizzazione del processo di accertamento dell’identità degli emigranti e dei richiedenti asilo: nuovi centri statunitensi saranno presto aperti in Colombia e Guatemala, due Paesi stabili e alleati, per accertare se l’emigrante abbia effettivamente il diritto di asilo o le carte in regola per emigrare.
“L'intero modello è quello di raggiungere le persone dove si trovano, di tagliare fuori i contrabbandieri e di far loro evitare il pericoloso viaggio che troppi fanno”. Ha spiegato il Segretario per la Sicurezza Interna Alejandro Mayorkas in una conferenza stampa giovedì, insieme al Segretario di Stato Antony Blinken. “Voglio essere chiaro: il nostro confine non è aperto e non lo sarà dopo l’11 maggio”. Perché proprio l’11 maggio? Perché in quella data finisce l’emergenza Covid. E con essa finisce anche il periodo di applicazione del Titolo 42, norma che ha consentito, dal 2020 ad oggi, di rimandare in Messico o di rimpatriare nei loro Paesi di origine, tutti gli immigrati illegali, senza lasciar loro la possibilità (salvo alcune eccezioni) di chiedere asilo.
La misura era stata introdotta dal presidente Trump, all’inizio della pandemia, per evitare che immigrati richiedenti asilo, in attesa di un verdetto (per cui occorrono mesi o anni) affollassero centri di accoglienza, con il pericolo di diffusione del contagio. Nonostante una campagna elettorale tutta incentrata sui toni dell’accoglienza, l’amministrazione Biden, una volta insediatasi nel gennaio 2021, non ha potuto far altro che mantenere il Titolo 42. Fino alla fine dell’emergenza, almeno, Biden si è comportato come Trump. Nonostante tutto, ha dovuto far fronte alla peggior crisi di attraversamenti illegali della frontiera meridionale dell’ultimo mezzo secolo. Perché è bastato il messaggio di apertura e accoglienza della nuova amministrazione per incoraggiare l’immigrazione di massa.
Per questo motivo, anche dopo la fine dell’emergenza, Biden si prepara a mettere in pista regole che subentreranno al Titolo 42 per rendere la frontiera meridionale ancor più impermeabile. Sono previste eccezioni per chi arriva da Paesi in cui la persecuzione politica è molto forte e che non collaborano con gli Usa, quali Cuba, Nicaragua e Venezuela, oltre alla disastrata Haiti. Gli emigranti di quei Paesi, se avranno uno sponsor in grado di sostenerli, avranno un permesso di soggiorno provvisorio di due anni. Tutti gli altri dovranno verificare il loro status nei futuri hot spot in Colombia e Guatemala, oppure lungo la frontiera meridionale. O saranno espulsi.
I principi ispiratori di questa nuova politica, che sono, appunto, “raggiungere le persone dove si trovano, di tagliare fuori i contrabbandieri e di far loro evitare il pericoloso viaggio che troppi fanno”, sono analoghi a quelli del governo conservatore britannico e della sua Rwanda Policy, grazie alla quale gli immigrati illegali, che provengono da altri Paesi sicuri, non avranno diritto di asilo e saranno trasferiti in Ruanda. Corrisponde anche ai principi della politica di Trump detta “transit ban”: i migranti non hanno diritto all’asilo, se non hanno chiesto protezione in un Paese lungo il percorso verso il confine con gli Stati Uniti, come il Messico. Ebbene: questa stessa politica era stata bocciata da un tribunale federale nel 2020. In Unione Europea, la politica di creare hot spot all’estero è stata introdotta per prima dalla Danimarca.
Il punto è che la richiesta di asilo politico da parte di immigrati illegali, privi di documenti e provenienti da altri Paesi sicuri che hanno almeno attraversato durante il percorso, è ormai riconosciuto come un “cavallo di Troia”. È un espediente legale per entrare illegalmente, approfittando delle inevitabili lungaggini e inefficienze del processo di identificazione e accertamento. Occorre un fortissimo tasso di ideologizzazione per non vedere il problema. Media e in alcuni casi anche la magistratura hanno fatto esercizio di doppiopesismo, nel momento in cui condannano questa politica quando è promossa da un governo conservatore e tacciono quando un’amministrazione progressista fa le stesse cose. Negli Usa, questo doppiopesismo è stato particolarmente evidente. Ma il punto è che questa è l’unica politica possibile. Ed è l’unica che può salvare vite, fermando i viaggi della fortuna, nelle carovane del Messico, così come sui barconi del Mediterraneo.