Bertelli: «Il decreto sui nuovi Lea discrimina i cattolici»
«Il governo Gentiloni ha inserito nei nuovi Lea solo le tecniche di fecondazione in vitro, cioè quelle a cui i cattolici non possono accedere in retta coscienza, creando così una discriminazione pazzesca». Lo dice alla Nuova BQ il genetista Matteo Bertelli, che chiede un tavolo di confronto con l’attuale esecutivo. Dai nuovi livelli essenziali d’assistenza è rimasta esclusa la naprotecnologia, cioè l’alternativa cattolica (e all’avanguardia) alla fecondazione artificiale.
«Il governo Gentiloni ha inserito nei nuovi Lea solo le tecniche di fecondazione in vitro, cioè quelle a cui i cattolici non possono accedere in retta coscienza, creando così una discriminazione pazzesca». A parlare alla Nuova Bussola è il genetista Matteo Bertelli, presidente della Magi Onlus, una realtà all’avanguardia nella ricerca genetica orientata su temi cattolici, che collabora con strutture come il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e la Casa Sollievo della Sofferenza (fondata da san Pio da Pietrelcina) di San Giovanni Rotondo. Per affrontare meglio la questione posta dal dottor Bertelli facciamo prima un passo indietro.
I lettori ricorderanno il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 12 gennaio 2017 che ha aggiornato i livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire su tutto il territorio italiano. In quel decreto, come già notava a suo tempo il dottor Renzo Puccetti su questo quotidiano, spicca l’inserimento nei Lea della cosiddetta procreazione medicalmente assistita (Pma) con tutto il suo carico di gravi problemi morali, dalla produzione in laboratorio di embrioni al loro congelamento, per finire spesso con l’aborto di quelli considerati “imperfetti” dalla mentalità eugenetica odierna. Senza dimenticare ciò che sta a monte della fecondazione artificiale, anche se omologa (con uso di gameti propri degli sposi), vale a dire l’illecita separazione tra la procreazione e l’atto coniugale, una tematica chiarita in modo approfondito nella Donum Vitae.
Dunque, per aiutare economicamente le coppie che non riescono ad avere figli, il precedente governo ha inserito tra le prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale la Pma ma ha escluso dal decreto, al quale manca ancora un passaggio per entrare in vigore, quella che è chiamata l’alternativa cattolica alla fecondazione artificiale, ossia la NaProTecnologia (Natural Procreative Technology), di fatto un acronimo che sta a indicare un insieme di tecniche ed esami per favorire la procreazione naturale. «La naprotecnologia si basa su un principio completamente opposto a quello della Pma», spiega proprio Bertelli [nella foto]: «L’idea di fondo della naprotecnologia è quella di conoscere la causa dell’infertilità e da lì agire in modo mirato per rimuovere, quando possibile, quella stessa causa. L’approccio iniziale alla coppia infertile è molto più approfondito, perché facciamo molti più esami, di tipo genetico, biochimico, endocrinologico, endoscopico, proprio per individuare il problema alla base e poi attraverso lo studio del ciclo naturale intercettare il picco di fertilità».
Un insieme di tecniche evidentemente all’avanguardia, che non pongono problemi morali e sono anche meno costose. «Il fine dei nostri test sulle coppie infertili è appunto quello di trovare una soluzione mirata, specifica per una data coppia. A volte a livello genetico identifichiamo anche delle cause che non sono curabili per le conoscenze attuali, però in questi casi lo diciamo con franchezza alle coppie. Così c’è un risparmio, fondato sull’onestà, perché se una coppia ha una determinata causa di infertilità, e non la conosce, potrà anche fare tutti i cicli di Pma coperti dalla legge ma senza successo, perché ci sono difetti genetici con cui la Pma non funziona. La Pma, che è poi la tecnologia della “standardizzazione e dei grandi numeri”, è basata infatti su un protocollo uguale per tutte le coppie, che non prevede l’individuazione di cause di infertilità anche molto grossolane, che cioè si possono facilmente rilevare con degli esami di screening poco costosi. Così si arriva ad assurdi per cui un bambino in braccio con la Pma, per donne di 43 anni, può arrivare a costare 500.000 euro. E ci sono regioni che vorrebbero innalzare questa soglia per la Pma a 46 anni».
L’esclusione della naprotecnologia dai nuovi Lea - che entreranno in vigore quando verrà pubblicato il nuovo nomenclatore - è data nello specifico dall’esclusione di molti test genetici, che sono proprio uno strumento indispensabile per la naprotecnologia stessa. «Nel momento in cui entrerà in vigore il decreto del 2017, molti test genetici - per ora coperti dal Servizio sanitario nazionale - rimarranno esclusi, nonostante si tratti di test presenti nell’elenco di Orphanet. Oggi in Italia esistono più di 200 centri di Pma e soltanto 2-3 centri di expertise che si occupano di metodi naturali più il centro di ricerche e diagnosi genetiche da me presieduto, in Trentino Alto Adige. Il rapporto è di circa 70 a 1, il che rende ancora più incomprensibile questa esclusione dai Lea. Di fatto non viene coperta la tecnologia meno costosa e più efficiente. Ho dedicato tutta la mia vita a questa materia e se entra in vigore il decreto così com’è forse dovrò emigrare, perché ci taglia le gambe». Ma che cosa si può fare intanto? «In questa fase transitoria», afferma ancora Bertelli, «è ancora possibile chiedere una revisione del decreto anche perché nello stesso decreto c’è scritto che essendo la tematica molto innovativa la commissione si deve riunire ogni anno, proprio a febbraio tra l’altro, per aggiornare o correggere eventuali errori. Ci aspettiamo che prima che entri in vigore possano accogliere e integrare nel decreto le nostre osservazioni».
Il genetista italiano lamenta anche il fatto che sono stati fin qui ignorati un paio di lavori svolti in collaborazione con istituti scientifici cattolici del nostro Paese e che riguardano l’epoca prenatale: lavori che hanno il fine di salvare bambini. «La premessa è che noi siamo una realtà pro vita. In epoca prenatale tutti i test genetici sono stati troppo spesso utilizzati esclusivamente con un fine abortista e poco o niente, invece, con un fine salvavita. Con il professor Giuseppe Noia abbiamo pubblicato un lavoro, e un altro ancora l’ho pubblicato con un gruppo di Trieste, per spiegare i test genetici che stiamo perfezionando e che servono per identificare in fase prenatale quelle forme benigne che spesso si confondono con forme maligne di malattie: abbiamo dimostrato che risolvendo questa confusione, come nel caso dell’igroma cistico e della polidattilia, si possono ottenere risultati meravigliosi salvando molti bambini, spesso abortiti anche quando sono completamente sani. Ci tengo a precisare che si tratterebbe di test da fare solo ex post, cioè se a monte ci segnalano che una mamma potrebbe decidere di abortire perché nell’ecografia è stata individuata una possibile forma maligna; allora, se ci presentano il caso, diciamo: “Aspettate, perché magari si tratta di un’anomalia benigna, che spesso guarisce naturalmente o si può curare facilmente quando il bambino nasce”. Si tratterebbe quindi di aiutare a salvare bambini che altrimenti verrebbero abortiti».
Aggiunge ancora Bertelli: «Per uno di questi lavori sono stato chiamato a tenere una relazione a Ginevra all’Oms: pensi che non c’è al mondo un centro più laico dell’Oms, eppure il lavoro è stato apprezzato da tutti. Ora, per esempio, il test sulla polidattilia non sarà coperto dai nuovi Lea. Se non si porrà rimedio a questa situazione sarà un danno enorme per tutti. Per questo chiediamo un tavolo di confronto con l’attuale governo».