Benedetto XVI due anni dopo, una lezione da non dimenticare
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Il 31 dicembre 2022 moriva Joseph Ratzinger, lasciando un'eredità di pastore e maestro oscurata da molti nell'attuale confusione, ma a cui è necessario tornare proprio per correggere la rotta. Anche nei suoi aspetti incompiuti.
Il 31 dicembre 2022 moriva Joseph Ratzinger, Pontefice per otto anni con il nome di Benedetto XVI. Non si sono notate in questo periodo in vista dell’anniversario grandi iniziative di commemorazione, a parte un volume de Il Timone con scritti di cardinali e vescovi che intervengono sulla sua “eredità e lezione”. Bisogna riconoscere, in generale, che Benedetto XVI rischia di essere trascurato se non dimenticato.
Nella confusa situazione della Chiesa cattolica in questo nostro tempo non molti sono interessati alla sua eredità e alla sua lezione. Egli sembra come schiacciato tra coloro che lo venerano contrapponendolo a Francesco e quanti, per lo tesso motivo ma rovesciato nel suo senso, lo esecrano. Poi ci sono anche i “continuisti” di diversa matrice che vedono i due pontificati come in continuità e anche in questo caso Benedetto XVI viene appiattito più che considerato per quello che è stato. Sembra proprio che la dottrina dell’ermeneutica della riforma nella continuità non abbia funzionato nemmeno in questo caso, ossia su colui che ha formulato questa dottrina. Sia che venga contrapposto a Francesco sia che venga visto come suo precursore, Benedetto non fa una figura degna del suo valore. Si può anche prevedere che questa tendenza si accentuerà nel prossimo futuro, per questo commemorare oggi la sua nascita al cielo può avere un significato particolare.
Non bisogna dimenticare papa Benedetto per due motivi complementari tra loro: per le grandi cose che ha recuperato e per le occasioni che ci ha fornito per recuperare quanto di buono egli non era riuscito a fare fino in fondo. Il suo insegnamento ha permesso di correggere la rotta in molti punti della vita della Chiesa, ma non lo ha fatto fino in fondo, sia per contingenze che glielo hanno impedito sia perché alcuni punti del suo pensiero non glielo permettevano. Per questi ultimi temi, però, egli stesso ha fornito delle implicite indicazioni, ha suggerito dei percorsi, ha posto le basi dalle quali si può partire per completare il suo lavoro. Tanto per essere chiari: se ci sono, e senz’altro ci sono, spunti sviluppati poi da Francesco, non sembra che il pontificato attuale abbia inteso recepire quelle implicite indicazioni di completamento del lavoro di correzione di rotta nella vita della Chiesa. Questo, invece, è il lavoro che bisognerebbe fare. Ma per farlo, occorre “tornare a Benedetto XVI” per mettere a fuoco i due aspetti visti sopra: le grandi cose che ci ha lasciato come correzione di rotta e gli spunti per completare – anche contro la lettera di alcune sue posizioni – questa correzione incompiuta.
Tra le cose che ci ha lasciato in eredità e che erano servite a correggere tante tendenze post-conciliari distruttive della vita della Chiesa bisogna ricordare prima di tutto la centralità del tema della verità e il giusto rapporto tra la ragione e la fede, che gli avevano permesso di impostare su solide basi il dialogo anche con laici ed atei, senza fondarlo su una carità sentimentale perché avulsa dalla verità. Questo permetteva sia di ribadire l’autonomia legittima della ragione, sia di confermare il primato della fede. Questa, infatti, secondo il suo insegnamento, non chiede alla ragione di cessare di essere ragione e di diventare fede, ma le chiede di verificare come l’aiuto della fede le permetta di essere maggiormente ragione. Il Dio dal volto umano, come egli disse a Verona nel 2006, non pretende che il cristiano smetta di essere uomo, ma che l’uomo ritrovi in Cristo la conferma di tutte le più alte esigenze della sua umanità. La ragione avrebbe così compreso che non esiste un piano puramente naturale, ma o essa accoglie la luce dall’altro e sale in umanità, o scende in basso e corrompe se stessa. Papa Benedetto insegnava che non c’è via di mezzo, al punto di chiedere ai laici almeno di vivere come se Dio fosse, rovesciando la tesi del naturalismo di Grozio considerata da Benedetto come destinata al fallimento. Innumerevoli sono le conseguenze più particolari di questa impostazione che ora ho presentato nella sua forma sintetica: il ritorno al diritto naturale, una teologia morale che non respinga la nozione di legge naturale e non si affidi completamente alla storia dimenticando la natura, la dottrina dei principi non negoziabili, la pastorale come debitrice della dottrina, la riscoperta della creazione e delle conseguenze anche politiche del peccato delle origini, il recupero della Dottrina sociale della Chiesa e così via.
Tra le incompiutezze, che tuttavia avevano nel suo insegnamento anche le basi per essere affrontate, rientra, sul piano molto generale, quella dei conti non definitivamente chiusi con il pensiero moderno. La sua concezione del liberalismo, espressa soprattutto nei dialoghi con Marcello Pera, non ha completamente convinto. Eppure, la sua nozione di diritto naturale, di legge morale naturale, e della libertà come connessa fin dall’inizio con la verità potevano essere punti di appoggio per una chiusura della problematica e rimangono tuttora degli spunti per farlo. Nemmeno il concetto di laicità e del ruolo pubblico della Chiesa può essere considerato come chiuso. Se, come egli insegnava, la religione vera è indispensabile perché la politica sia veramente tale fino in fondo, allora la politica ha un bisogno sostanziale della religione vera, con il che, però, la laicità liberale, anche di tipo lockiano americano e non solo di tipo francese, non riesce a garantire, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul tema della società multireligiosa. Eppure, anche in questo caso, come si è visto nelle righe precedenti, ci sono nel suo pensiero gli spunti indiretti per portare il problema a soluzione.
In questo articolo non c’è modo di segnalare altri temi importantissimi come quello liturgico, oppure il suo insegnamento circa la Tradizione, vista non più come una delle due fonti della rivelazione, ma come l’interpretazione dell’unica fonte della Scrittura e così via.
Anche per questi aspetti, come per gli altri segnalati sopra, vale lo stesso principio di “tornare a Benedetto XVI”, non per ripeterlo ma per conoscerlo sia nei solidi insegnamenti con cui ha evitato deragliamenti nella Chiesa, sia nelle tematiche da lui affrontate ma non chiuse e che possono ancora essere recuperate e chiuse proprio utilizzando alcune sue implicite indicazioni.
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