Avvenire appoggia la carriera alias, tradendo Cristo
In una risposta per la pagina delle lettere del quotidiano della Cei, il direttore Marco Tarquinio avalla la «carriera alias», uno strumento che nasce dall’ideologia trans. Si nega così la legge naturale, espressione del Logos divino e a cui da anni fanno la guerra anche tanti cattolici.
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Ho letto con interesse lo scambio tra Maria Rachele Ruiu e il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, sulle pagine dell’edizione di domenica scorsa. L’episodio all’origine del dibattito è quello accaduto al Liceo Cavour di Roma. In realtà non ho molto da commentare sulla lettera dell’amica Maria Rachele; i motivi di rimuginamento stanno tutti nella risposta del giornalista.
Il dottor Tarquinio non ha nulla da eccepire sulle cosiddette «carriere alias», cioè il riconoscimento da parte della scuola di nome e sesso scelti dallo studente diversi da quelli assegnatigli dai genitori e dal buon Dio. Potrebbe sembrare un gesto di condiscendenza nei confronti di studenti con difficoltà; oppure, un tentativo di aggirare la normativa italiana, l’ennesimo modo per mettere gli italiani di fronte al fatto compiuto. Un po’ quello che è accaduto con le unioni civili, ormai percepite come «matrimoni gay». Ma c’è dell’altro: in fondo, si tratta di uno strumento per negare che l’identità sia «data» e non scelta; che l’uomo debba accettare la realtà e non crearla a suo piacimento, come se fosse Dio; e, in ultima analisi, che esista una legge naturale, espressione del Logos divino, di fronte al quale l’uomo è tenuto ad inginocchiarsi. In buona sostanza, di fronte alla scelta posta dal Logos incarnato («Chi non è con me, è contro di me», Lc 11, 23), il direttore di Avvenire si pone serenamente dall’altra parte.
Saltiamo altri punti problematici e planiamo verso la fine della risposta, quando il direttore scrive: «Ci vuole scienza, civiltà, senso della misura e anche del proprio limite. E nessun infuocato derby». Traduco: l’importante è rispettare i sentimenti di tutti, non metterli a disagio, farli sentire accolti così come sono (o come si sentono). Consultiamo l’Enciclopedia dell’italiano Treccani, alla voce «Politically correct»: «L’espressione angloamericana politically correct (in ital. politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone». Non è forse quello che ha scritto il dottor Tarquinio? Non importa quale sia la verità, l’importante è mantenere toni pacati e rispettare tutti. C’è qualcosa di male, nel politicamente corretto? Sì. Non è altro che un randello da tirare in testa a chi crede nella legge naturale. Chi ha una certa età (come me) ci è già passato.
Un tempo, quando i nemici della legge naturale erano in minoranza, si ripeteva allo sfinimento: «Bisogna sempre sentire entrambe le campane, bisogna dar modo anche a chi non la pensa come noi di esprimersi»; si citava un falso Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa farlo»; si sventolava la Lettera sulla tolleranza di Locke; bisogna, si diceva, affrontare le cose dal punto di vista scientifico, non dogmatico. Tutto questo, ripeto, quando i nemici erano in minoranza. Bene, ci siamo cascati. Abbiamo pensato che fossero regole tutto sommato ragionevoli e accettabili per un dibattito sereno; abbiamo concesso loro cinema parrocchiali, pulpiti, pagine dei giornali cattolici, li abbiamo invitati a kermesse internazionali. Se qualche cattolico si mostrava troppo apologeta, zelante o irritato dal megafono offerto all’errore, lo si allontanava al grido di «Bigotto, medievale, intollerante». E poi? Poi è successo che i nemici sono diventati maggioranza.
Chi la pensa in modo diverso dal mainstream viene insultato, lasciato senza lavoro e stipendio; i crocefissi sono scomparsi dai luoghi pubblici e se una giornalista televisiva si presenta al lavoro con un crocefisso al collo, apriti cielo! Chi manifesta in silenzio, leggendo un libro, viene insultato, deriso e persino aggredito fisicamente. Non esiste più il contraddittorio perché non si può dare spazio a certe posizioni retrive e fuori dalla storia. Potrei continuare, ma ci siamo capiti: queste regole tutto sommato ragionevoli e accettabili sono a senso unico. Servono semplicemente per mettere a tacere chi crede nella legge naturale.
Perché dico «chi crede nella legge naturale» e non, semplicemente, i cattolici? Perché - e la risposta del dottor Tarquinio lo conferma - negli ultimi anni sembra che i peggiori nemici della legge naturale siano proprio i cattolici, almeno gran parte di essi o la parte più rappresentativa di essi. Con l’aggravante, rispetto a massoni, liberali e post-comunisti (le due categorie sono sempre più confuse) di rivolgersi a persone legate, da obbedienza o affidamento, ai rappresentanti della Chiesa cattolica (l’editore di Avvenire è la Conferenza Episcopale Italiana).
Non posso far altro, a questo punto, che chiudere con due rimandi; il primo alla Divina Commedia. Dante dedica il nono cerchio dell’Inferno, l’ultimo, ai traditori di chi si fida; e la quarta zona del nono cerchio, quella più vicina alle bocche di Lucifero, ai traditori dell’autorità suprema. Qui si trova Giuda, che ha tradito Cristo, il Logos incarnato. Il secondo rimando è al libro del profeta Isaia, il più misterioso e cristico dei profeti, colui che ha profetizzato in modo impressionante la venuta e la morte di Gesù. Tra le sue profezie leggiamo queste terribili parole: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is 5, 20).
Ognuno faccia i suoi conti.